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Ristabilire la sicurezza, l’identità e la sovranità

di Francesco Lamendola - 23/04/2018

Ristabilire la sicurezza, l’identità e la sovranità

Fonte: Accademia nuova Italia

 

 

Rovesciando il celebre aforisma di Carl von Clausewitz che definisce la guerra come la prosecuzione della politica con altri mezzi, si può affermare, con altrettanta verità, e specialmente ai nostri giorni, che la politica è la prosecuzione della guerra con altri mezzi. Dopo due guerre  mondiali  combattute nei suoi territori e nelle sue città, dalle quali è uscita politicamente e moralmente distrutta, e sotto l’incubo di una terza, che avrebbe segnato la fine della sua storia, l’Europa ha deciso che di guerre guerreggiate ne aveva abbastanza; e tutti gli Stati europei hanno tacitamente riposto per sempre nel cassetto l’opzione “guerra”, tranne che nel caso di conflitti locali periferici, al suo interno (Bosnia, Kosovo, Serbia), o ai suoi margini (Ucraina) o all’esterno (Iraq, Libia, Siria); e anche in questo caso, praticamente mai per decisione del tutto autonoma, bensì, in un modo o nell’altro, a rimorchio della politica imperiale statunitense. Ciò non significa, però, che gli Stati europei abbiano perso la voglia di farsi la guerra, secondo le necessità delle loro politiche di potenza o della tutela del loro “interesse nazionale”; semplicemente, ora la parola è passata dalle armi alla diplomazia, alla competizione industriale, e soprattutto alle manovre speculative dei vertici del potere finanziario.

A non rendersi conto di tutto questo, strano ma neanche tanto, pare siano stati solo i responsabili della politica italiana, interna ed estera. Solamente loro, a  partire dal 1945, e nonostante il Trattato di Parigi che ha inflitto all’Italia la sorte destinata a un Paese nemico e sconfitto, hanno continuato a trastullarsi, fino ai nostri giorni, con la favola bella di un mondo delle Nazioni Unite dove i conflitti sono finiti per sempre e tutti gli Stati ad altro non pensano, né si preoccupano, se non della pace, del bene e della collaborazione universale. Questa narrazione mitologica era del resto funzionale al bisogno di nascondere a se stessi e agli altri la dura realtà di una disfatta irreparabile dell’intera nazione, che ne avrebbe compromesso il futuro per chissà quante generazioni, e di auto convincersi che anche il popolo italiano era uscito dall’immane conflitto (e dalla guerra civile, ma questo non veniva detto, anzi, la guerra civile veniva trasformata nel termine magico e soteriologico di “resistenza”), grazie appunto alla Resistenza, un po’ vincitore, Dio solo sa come, anche lui. Del resto, i “liberatori” angloamericani erano venuti a casa nostra per liberarci, e sia pure a suon di bombe, delle quali non avevano certo fatto economia; e noi stessi, per esser degni di cotanto onore, avevamo contribuito alla lotta per la libertà (macchiandoci le mani di sangue fraterno, ma questo non veniva certo ricordato, anzi veniva energicamente negato): e dunque, come pensare, anche solo lontanamente, che, terminata la lotta e deposte le armi, non saremmo ritornati tutti quanti meravigliosamente amici, una sola famiglia umana in cui tutte le nazioni si sarebbero date la mano con le più pure e benevole intenzioni di questo mondo? Quelli che avevano voluto dominare sui popoli europei erano stati sconfitti, annientati, e ormai  erano scomparsi dalla scena; c’erano, è vero, i sovietici, che solo i comunisti più intransigenti e fanatici seguitarono ancora per un pezzo a descrivere come “liberatori” dell’Europa dal fascismo (e lo fecero anche per l’Ungheria nel 1956, e perfino per la Cecoslovacchia nel 1968: i sovietici intervenivano coi carri armati, ma sempre per salvare i popoli dal “fascismo”, mica per altro). Ma gli americani e gli inglesi (i francesi non contano, dal 1940 avevano perso ogni peso internazionale, e solo per un calcolo machiavellico gli angloamericani li avevano rimessi in sella, nel 1944, facendo finta di credere che i “veri” francesi fossero quelli di De Gaulle e non quelli di Pétain, che aveva trovato l’accordo con Hitler), quelli erano e restavano i liberatori per antonomasia; ogni anno l’Europa rendeva (e rende) loro omaggio, commemorando lo sbarco in Normandia; per essi fu inventata una categoria meta-storica e metafisica, quella dei liberatori che vanno in casa d’altri per liberarli disinteressatamente dai loro governanti e restituire loro la democrazia (cioè la schiavitù del dollaro e della borsa di Wall Street), e versano lacrime e sangue senza alcun secondo fine, senza alcuno scopo occulto da realizzare. Può sembrare incredibile, ma questa narrazione di fantasia ha retto, più o meno, per settant’anni, vale a dire fin parecchio tempo dopo il crollo del Muro di Berlino e la fine della Guerra fredda, con l’auto-dissoluzione dell’”Impero del male”. Almeno in Italia: e ciò per le particolari caratteristiche della classe politica italiana.

Qui si vede come i grandi nodi della storia vengono sempre al pettine, prima o poi, nonostante le misere furbizie di certe classi politiche che a forza d’ingannare i propri popoli, pensano di poter ingannare anche il resto del mondo. La classe dirigente italiana non volle capire, né il 25 luglio del 1943, né il successivo 8 settembre, che ciò a cui miravano i così detti Alleati erano l’eliminazione dell’Italia dallo scenario delle potenze che contano, non abbattere il fascismo (che, infatti, avevano approvato ed elogiato per molti anni, fino a quando la sua politica etera non era entrata in conflitto con i loro interessi, cosa che, a quanto pare, non avevamo previsto). Si illuse, o volle credere, che Churchill e Roosevelt facessero la guerra contro Mussolini, non contro l’Italia; invece la guerra era proprio contro l’Italia, e il suo obiettivo era quello di metterla definitivamente fuori gioco, in tutti i sensi. L’atteggiamento tenuto dalle potenze alleate nel Trattato di Parigi avrebbe dovuto aprire gli occhi ai nostri uomini politici; ma, se anche fu così, essi fecero di tutto per nascondere questa realtà al popolo italiano, e, in buona sostanza, ci riuscirono in pieno, per parecchi decenni. Sì, il destino subito dagli italiani della Venezia Giulia non era stato equo (ma delle foibe, per carità, non si doveva parlare); l’averci sottratto le colonie era stato un arbitrio; l’averci privato della Marina, un gesto non troppo amichevole; e non parliamo, per carità di Patria, dell’articolo 16, che proibiva alle nostre autorità di procedere per alto tradimento contro quegli italiani che, fin dal 10 giugno 1940, cioè dal primo giorno di guerra, avevano collaborato con loro, vale a dire che avevano pugnalato alle spalle i nostri fanti, marinai e aviatori che avevano versato il proprio sangue sulle terre, sui mari e nei cieli di mezzo mondo, per più di tre anni; ma insomma, gli Alleati restavano pur sempre i nostri liberatori e i grandi, sinceri amici del nostro popolo; e come dimenticare gli inestimabili benefici del Piano Marshall?

Così, in una Europa che, già all’indomani dell’ultimo colpo di cannone del 1945, ricominciava a farsi la guerra con altri mezzi, l’Italia, e solo l’Italia (almeno, fra gli Stati più importanti) si beveva la favoletta che i tempi della competizione erano finiti e che per il nostro continente, anzi, per il mondo intero, cominciava l’era della pace perpetua e della buona volontà di tutti verso tutti, senza più contese, senza più egoismi. Ciò avvenne, secondo noi, perché la coscienza nazionale italiana, già debole nel 1940 (come lo era stata nel 1915, e anche nel 1866) non aveva retto alle tensioni della guerra (e della guerra civile) e si era sfarinata, era largamente evaporata, lasciando in piedi l’ossatura di uno Stato senza popolo, quindi senza una politica – e una classe politica - degna di questo nome. Dal 1945, i politici italiani non fanno più politica, perché per fare politica bisogna avere una identità e soprattutto la sovranità; da allora si sono auto-degradati a semplici amministratori, per conto di interessi stranieri: i quali, oggi, sono rappresentati dai grandi poteri finanziari. Solo così si spiega che in Italia, e solo in Italia (fra gli Stati principali) i politici accettano qualsiasi sacrificio a danno dell’interesse nazionale, nell’agricoltura, nell’industria, nel commercio (vedi le sanzioni contro la Russia di Putin) perché ce lo chiede l’Europa; in Italia, e solo in Italia, si pensa che l’Europa sia una entità supernazionale equa e imparziale, che pensa al bene di ciascuno e della quale ci si può fidare; in Italia, e solo in Italia, pare non si sia capito che l’Europa vuol dire la Banca centrale europea, e la Banca centrale europea vuol dire la rapina dei popoli ad opera della élite finanziaria privata. Gli altri Stati cercano di difendersi, cercano di proteggere i propri interessi: cioè fanno la loro politica; l’Italia non fa nulla e spinge la sua ingenuità fino al punto d’immaginarsi che gli altri Pesi le dovrebbero mostrare un po’ più di gratitudine perché lei si fa carico del problema dei migranti, pattugliando il Mediterraneo “per salvare le vite” (così la narrazione mitologica imposta, appunto, dalla élite finanziaria; e non per attuare una sistematica invasione africana e islamica del nostro continente). Gratitudine? Se potessero, ci strozzerebbero a mani nude: possibile che l’episodio di Bardonecchia non abbia fatto riflettere alcuno? Ma tutto nasce dall’equivoco anzidetto: che i politici italiani vivono nel mondo delle favole, i politici degli altri Paesi vivono nel mondo reale. E i dirigenti polacchi, ungheresi, slovacchi, che non vogliono né l’euro, né i migranti, non sono “egoisti”, come da noi si dice, ma semplicemente pensano, come è logico e naturale, a difendere i loro interessi vitali. E lo fanno molto bene, sia detto fra parentesi, visto che da loro, senza l’euro e senza i migranti, l’economia corre, vola; mentre noi siamo regrediti in dieci anni dal rango di quarta potenza industriale planetaria a Paese povero, o meglio impoverito, che non riesce a ripartire e che non conta più nulla a livello internazionale.

E non  solo gli altri Stati, quelli principali, fanno la loro politica di difesa degli interessi nazionali; fanno anche una politica di potenza. La Francia, in particolare (una potenza-bluff, messa in piedi artificialmente nel 1944, quando era già andata a gambe all’aria, al primo urto, quattro anni prima) si è messa in testa di rinverdire la propria passata grandeur e non perde un’occasione per fare di testa sua, scavalcando l’Europa e prendendo l’Italia a calci negli stinchi. L’intervento in Libia, oltretutto voluto da Sarkozy per nascondere gli inconfessabili finanziamenti ricevuti dal colonnello Gheddafi, è stata decisa soprattutto per strappare al nostro Paese lo sfruttamento privilegiato delle risorse petrolifere libiche. E quanti sanno che non solo la Libia di Gheddafi, ma anche l’Iraq di Saddam e la Siria di Assad avevano l’Italia come primo partner commerciale? Quelle guerre, che oltretutto ci hanno “regalato” centinaia di migliaia di profughi, sono quindi state volute anche per fare fuori l’Italia come competitore commerciale da quei mercati: la prosecuzione della guerra (del 1939-45) con altri mezzi, appunto. La Germania e il Giappone, almeno, l’hanno capito e cercano, bene o male, di tutelare i loro interessi vitali. Intanto la Francia e la Gran Bretagna, potenze nucleari grazie all’esito della Seconda guerra mondiale e non perché “pesino” di più delle potenze dell’ex Tripartito, ancora nel 2018 sognano le vecchie glorie imperiali e coloniali e non si vergognano di scatenare aggressioni militari inventandosi pietose frottole sulle armi chimiche usate dal dittatore di turno (benedetti dittatori: ce ne fossero ancora, come Gheddafi e Saddam, Nordafrica e Medio oriente sarebbero infinitamente più stabili). Non c’è da invidiare alla Francia una nullità come Macron, o alla Gran Bretagna un’altra nullità come la signora May: però, nullità per nullità, quelli almeno fanno gli interessi dei loro Paesi (e anche qualcosa di più, fino allo sgambetto verso gli altri), mentre le nostre nullità, i nostri Monti, Letta, Renzi e Gentiloni, non fanno neppure quello: si limitano a lucidare le scarpe degli altri e ad inchinarsi, con la kippah in testa, al potere finanziario mondiale. E tanto peggio per gli agricoltori italiani, i produttori di latte italiani, i pescatori italiani, gli imprenditori italiani, i lavoratori italiani, gli studenti italiani e i pensionati italiani. L’Europa ce lo chiede: e si manda giù un altro taglio alla nostra spesa pubblica, un altro sfregio alle nostre possibilità produttive. Il senso di umanità ce lo comanda: e ci si prende in casa altri falsi profughi africani. Gli amici americani ce lo chiedono: ed ecco le sanzioni contro la Russia, che penalizzano noi soli, mentre gli stessi Usa si guardano bene dal rispettarle. Gli alleati inglesi lo gradirebbero: e la nullità Gentiloni, oltretutto premier uscente, si permette di offendere la Russia, che non ci ha fatto assolutamente nulla, espellendo due suoi diplomatici, per far vedere che “stiamo dalla parte dell’Europa” (cioè delle banche). Si può scendere più in basso di così: essere perfino più servi di quel che è strettamente necessario, governando l’Italia come farebbero i proconsoli di una potenza straniera? E aggiungere al danno la beffa, come quando Monti battezzò il suo primo decreto, che massacrava la nostra economia secondo le pretese di Bruxelles, decreto salva Italia?

In conclusione. Non c’è alcun motivo per cui la nostra economia non potrebbe correre come quella della Polonia; per cui i nostri confini non dovrebbero essere difesi come quelli dell’Ungheria; per cui non dovremmo proseguire i nostri fruttuosi commerci con la Russia; o per cui non avremmo dovuto opporci all’infame aggressione contro la Libia, e poi a quella contro la Siria, mentre invece abbiamo prestato le basi per la prima, e abbozzato per la seconda. Non c’è alcun motivo per cui dobbiamo accettare le quote latte che penalizzano i nostri allevatori, o le norme sulla pesca che penalizzano i nostri pescatori (e meno ancora per vendere bracci di mare alla Francia, come ha fatto il passato governo); così come non c’era motivo di accettare l’euro fatto su misura per l’economia tedesca, col preciso obiettivo di far fuori la concorrenza italiana. Il solo motivo di tali scelte suicide è la mancanza di una politica italiana e, a monte, di una vera classe politica. Pertanto è da qui che si deve ripartire. Ma, per avere dei politici che vogliano e sappiano pensare all’interesse nazionale, si deve ricreare uno spirito nazionale. Perciò si deve tornare a parlare di sicurezza, identità e sovranità.