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Chiamatelo tradimento

di Francesco Lamendola - 28/05/2018

Chiamatelo tradimento

Fonte: Accademia nuova Italia

 

 

 

Non bisogna aver paura delle parole, non bisogna autocensurarsi per il timore di evocare fantasmi: la verità comincia dal linguaggio e, se siamo arrivati fino a questo punto, è accaduto perché da tanto, da troppo tempo, ci eravamo abituati ad accontentarci delle mezze verità, delle verità taroccate che il regime totalitario in cui viviamo, dominato dai poteri della finanza internazionale e spacciato per democrazia, ci ha rifilato per moneta buona, con perfetta ipocrisia.

Dunque, quel che è successo domenica, 26 maggio 2018, passerà alla storia, se e quando sarà possibile studiare veramente la storia (quella del 1943-45, ad esempio, non è ancora stata studiata seriamente, e dopo settant’anni continuiamo a tramandarci una versione mitologica di essa, quella creata dai vincitori e dai servi dei vincitori), come un tradimento inaudito: il tradimento dei massimi vertici dello Stato italiano nei confronti del popolo cosiddetto “sovrano”. Diciamo cosiddetto e lo scriviamo fra virgolette perché, in quel giorno, è apparso con cristallina evidenza, a chi ancora non lo avesse capito, che il popolo non è sovrano di un bel nulla; che il suo voto, liberamente espresso, non conta nulla; che la sua volontà può essere manipolata, anestetizzata, annullata, con un atto d’imperio, in qualsiasi momento, dai veri padroni della situazione. Che non sono di certo, diciamolo subito, i Mattarella; no: costoro sono solo gli esecutori di una volontà superiore. La volontà della grande finanza. I nomi e i cognomi? Draghi, Juncker, Soros; e solo in seconda battuta Merkel e Macron. Oggi non comandano più gli Stati, ma la finanza: e la finanza, sia chiaro, non è denaro, ma speculazione pura, cioè carta straccia. Gli stessi che tengono stretti alla gola gli Stati per mezzo del debito pubblico e dei relativi interessi, sono così forti da imporre la loro volontà ai popoli attuando anche, se necessario, dei golpe bianchi, senza clamore e senza spargimento di sangue. Non c’è bisogno di mandare nelle strade i carri armati, questi scenari appartengono al passato, almeno nella fase preliminare. Oggi, per fare un colpo di Stato,  basta fare quel che il 27 maggio il signor Mattarella ha fatto, negando di apporre la sua firma in calce alla lista dei ministri del governo che era stata redatta dal professor Conte, grazie a settimane di sforzi e di duro lavoro dei due partiti che hanno vinto, sino a prova contraria, le elezioni politiche del 4 marzo 2018: Movimento Cinque Stelle e Lega. Negando quella firma, e negandola a causa di uno di quei nomi, quello del ministro designato per l’Economia, Paolo Savona, il presidente della Repubblica ha attuato un incruento colpo di Stato. Non ci si lasci ingannare dalla narrazione falsificata degli eventi che subito i mass media di regime hanno cominciato a distribuire al pubblico: quel che egli ha fatto non rientra nelle sue facoltà. Non è vero che ne aveva il diritto, perché il suo rifiuto sarebbe stato giustificato solo da ragioni procedurali di carattere tecnico. Invece, nel suo drammatico messaggio agli italiani, Mattarella si è diffuso a spiegare che le sue ragioni erano di ordine politico, e si è ingolfato a descriverle dettagliatamente: la sfiducia dei mercati e il possibile danno per i risparmiatori; la vistosa e rapida risalita dello spread; perfino l’assenza dell’uscita dall’euro dal programma delle forze politiche del futuro governo.

Non staremo qui a polemizzare punto per punto con tali argomenti addotti dal presidente Mattarella. Sarebbe troppo facile ironizzare sul fatto che lo spread, l’abbiamo imparato dopo il 2011, è un cane che abbaia, ma non morde, e serve solo a spaventare chi ha un cuore di coniglio; che l’Italia non corre alcun rischio di default, tra l’altro perché l’Europa si guarda bene dal desiderare una cosa del genere, che manderebbe l’euro a catafascio; e che gli italiani sono commossi dalla sua sollecitudine verso i loro risparmi, ma non si erano accorti che il presidente si fosse preso tanto a cuore i loro interessi mentre il Monte dei Paschi di Siena o la Banca Popolare di Vicenza o le altre banche gestite in maniera criminale volatilizzavano risparmi di migliaia e migliaia di italiani. Il punto veramente grave è l’altro, quello relativo all’uscita dall’euro e al programma elettorale. Adducendo quelle motivazioni, Mattarella si è messo a far politica e ha lasciato cadere la maschera dell’arbitro imparziale per mostrare apertamente la sua vera natura di uomo politico che non ha, e non ha mai avuto, alcuna intenzione di fare l’arbitro, ma di scendere in campo alla prima occasione, come ora sta facendo, con un intervento scandaloso e incostituzionale, a gamba tesa. Non era mai successo che un presidente della Repubblica si spingesse fino a questo punto, o, se si preferisce, che scendesse così in basso: che si mettesse a far politica, a entrare nel merito delle questioni politiche, quando il suo mandato e le sue funzioni sono di tutt’altro genere. Egli deve semplicemente vigilare affinché i processi della democrazia si svolgano nel rispetto della volontà popolare: questo è il suo compito. E lui ha fatto esattamente il contrario: ha preso la volontà popolare e l’ha calpestata con la massima disinvoltura, assumendosene tutta intera la responsabilità. Nessuno gli chiedeva una valutazione politica sulle conseguenze della nomina del ministro Paolo Savona; nessuno gli chiedeva di vigilare affinché il programma elettorale delle forze politiche che hanno vinto le elezioni del 4 marzo fosse rispettato: senza contare che quel governo doveva ancora nascere e lui l’ha strangolato, non nella culla, ma ancora nel ventre di sua madre. Il che significa che ha fatto un processo alle intenzioni: ha “deciso” che la nomina di Paolo Savona, di per sé, avrebbe significato una sfida all’Europa e una minaccia intollerabile contro l’euro. Ha fatto tutto lui, ha deciso tutto lui, e poi se n’è vantato. Si è presentato ai microfoni e ha detto a milioni di italiani: voi avete votato in un certo modo il 4 marzo scorso; avete mandato a casa il Partito democratico, avete bastonato le forze europeiste, avete espresso la volontà di un cambiamento radicale: e io, per usare l’espressione del guardacaccia del principe di Salina, ho preso la vostra volontà, l’ho masticata e ruminata, e alla fine l’ho cacata fuori, trasformata come pareva giusto a me. Io ho deciso che l’Italia non può, e non deve, non diciamo uscire dall’euro, ma neppure essere sospettata di voler uscire dall’euro. Io ho deciso che, per tutelare anche le intenzioni del futuro governo, quel ministro non poteva essere approvato. E l’ho fatto per tranquillizzare i mercati: cioè, per dir le cose chiaramente e per chiamare i fatti con i loro nomi, l’ho fatto per dar soddisfazione alla Banca centrale europea. Si è pubblicamente assunto la responsabilità di aver ignorato e calpestato la volontà del popolo sovrano, per essere ligio ai desiderata di Bruxelles. Ha lasciato intravedere di aver subito pressioni; e, del resto, le dichiarazioni provenienti da Bruxelles, da Berlino e da Parigi, negli ultimi giorni, erano fin troppo chiare. L’Italia è stata minacciata, insultata, ricattata con toni da malavita organizzata; gli italiani sono stati offesi e ammoniti come un popolo d’incapaci, di buoni a nulla, di disonesti e di pasticcioni; e il futuro governo, non ancora nato, è stato avvertito di stare bene attento a quel che avrebbe fatto. Gli Juncker, i Moscovici e tutta quell’altra spazzatura degli euroburocrati hanno osato rivolgersi al popolo italiano con gli stessi toni già adoperati verso il popolo greco. Quei signori non hanno imparato niente, nemmeno la virtù della decenza. E Mattarella si è spaventato al solo udire il suono di quelle minacce, di quelle intimidazioni.

Dice di aver agito come ha agito, di aver negato di apporre la sua firma sotto il nome di Savona, per il bene del popolo italiano. Si è dimenticato che il presidente della Repubblica, in Italia, non è un autocrate, come lo era lo zar di tutte le Russie. Nessuno gli ha mai chiesto, e nessuno gli avrebbe mai chiesto di rendere conto, di vigilare sui contenuti della politica italiana. Soprattutto, non ci risulta che egli, al momento di essere eletto, abbia giurato sulla Costituzione dell’Unione europea, e che si sia così impegnato a far sì che nulla, mai, mettesse in discussione l’adesione dell’Italia ad essa, nonché alla sua moneta. Queste sono decisioni politiche, che spettano alla politica; cioè spettano ai partiti, al parlamento e, in ultima analisi, al popolo sovrano. Noi viviamo in una Repubblica parlamentare, non in una monarchia assoluta. Quel che è il bene e quel che è il male per il popolo italiano, lo decide il popolo stesso. Non lo decidono Juncker e Moscovici; non lo decide la B.C.E.; e non lo decide nemmeno il signor Mattarella. Questi ha giurato sulla Costituzione della Repubblica italiana, e si è impegnato a difenderla, ma non lo ha fatto; al contrario, ha fatto e sta facendo qualcosa di completamente diverso. Sta servendo gli interessi della B.C.E., a scapito della volontà del popolo sovrano. Dovrà renderne conto, per intanto sul piano morale, e poi, forse, anche su quello politico e giuridico. Moralmente, ha tradito il suo mandato, ha infranto il patto di fiducia esistente fra il Quirinale e i cittadini. I cittadini, dal 26 maggio 2018, sanno che l’inquilino del Colle non è l’arbitro della politica italiana, ma è sceso in campo per giocare una partita tutta sua. Pertanto gli italiani sanno di non avere in lui un difensore, un attento custode della loro volontà, ma una superbalia che si riserva di trattarli come tanti fanciulli incapaci di capire quel che stanno facendo e di valutare le conseguenze delle loro scelte. È come se avesse detto che il popolo italiano è formato da una massa d’immaturi e che, quindi, non è degno della democrazia.

Del resto, chi voleva capire, aveva già capito di che pasta fosse fatto il presidente Mattarella e cosa ci si potesse, o non ci si potesse, aspettare da lui. La prima cosa che avrebbe dovuto fare sarebbe stata quella di affidare ai vincitori delle elezioni del 4 marzo l’incarico di formare, o di provare a formare, un nuovo governo: e i vincitori delle elezioni sono stati i partiti della coalizione di centro-destra. Questa non è una opinione, ma un fatto. Capiamo bene che al signor Mattarella, organico al centro-sinistra per la sua formazione, la sua storia personale, la sua cultura, la sua sensibilità, e per la sua stesa nomina, una tale soluzione non piacesse: ma il presidente della Repubblica non è chiamato a fare quel che gli piace, ma quel che gli compete sotto il profilo istituzionale. Il centro-destra ha vinto le elezioni; e il centro-destra doveva avere la possibilità di formare un proprio governo, andando a cercarsi il sostegno in Parlamento. Il fatto che Mattarella non abbia seguito questa strada, avrebbe già dovuto far capire quali fossero i suoi veri sentimenti e soprattutto le sue intenzioni. La sua ricostruzione della vicenda che lo ha portato a rifiutare di approvare la nomina di Paolo Savona al dicastero dell’Economia è falsa e tendenziosa. Non è vero che egli ha sfoggiato il massimo della buona volontà, e persino dell’arrendevolezza; e l’argomento che aveva offerto quello stesso ministero a Giancarlo Giorgetti è non solo inconsistente, ma prova il contrario di quel che dovrebbe provare secondo lui e secondo i suoi numerosi paladini e sostenitori. Non spetta al presidente decidere chi è degno e chi non è degno di fare il ministro, o, almeno, non sulla base di considerazioni politiche: mentre il suo “no” nei confronti di Savona era solo ed esclusivamente di ordine politico. Egli ha preteso di dire ai partiti che hanno vinto le elezioni chi può e chi non può fare il ministro; una cosa inaudita, e che infatti non era mai accaduta. È inutile che i soliti signori, più realisti del re, ci vengano a spiegare che, in realtà, era già accaduta, perché è falso: non era mai accaduta in questi termini, cioè sulla base di una valutazione strettamente politica. Mattarella ha detto “no” a Savona perché Savona è critico nei confronti dell’euro: e non gli è bastata nemmeno una dichiarazione di quest’ultimo, relativa al fatto che l’uscita dall’euro non è un punto all’ordine del giorno del futuro ministero. Ma l’assoluta mancanza di imparzialità di Mattarella si era già vista anche nei suoi numerosi interventi, durante questi tre mesi di non-governo, tutti improntati al “dovere”, per l’Italia, di restare nell’Unione europea e di tenersi l’euro come moneta: interventi intollerabili, scandalosi, perché, con essi, egli ha mostrato di non considerarsi il presidente del Repubblica italiana, ma l’avvocato difensore dell’Unione europea. Ha dimostrato di avere a cuore altri interessi, di voler garantire altri assetti, che non quelli del popolo sovrano.

Del resto, è un bene che il bubbone sia scoppiato e che finalmente tutti vedano come stanno le cose. È venuto al pettine, dopo settant’anni di ipocrisia, il nodo della sovranità italiana: ora si vedrà se l’Italia ha o no il diritto di essere uno Stato sovrano, padrone di se stesso e delle sue scelte. La Repubblica italiana nasce nel 1946, ma le sue origini sono nella sconfitta del 1945 e nella guerra civile del 1943-45. Il vergognoso articolo 16 del trattato di pace di Parigi impose al governo italiano di non perseguire gli italiani che hanno tradito la Patria, servendo il nemico fin dal 10 giugno del 1940, cioè quelli che hanno sabotato lo sforzo bellico dell’Italia e pugnalato alle spalle le forze armate e il popolo italiano. Come si vede, siamo rimasti fermi allo stesso punto: l’Italia è tuttora governata da un classe politica di servitori dei vincitori della Seconda guerra mondiale, i quali si limitano a vigilare sui loro interessi, mentre si sforzano di far digerire al popolo italiano una serie di decisioni che non tutelano il suo interesse e il suo bene, ma l’interesse e il bene di poteri stranieri. Ogni volta che i dirigenti italiani hanno fatto qualche tentativo per sottrarsi alla servitù, è partita una reazione: si ricordi come sono finiti Mattei, Moro e Craxi, i quali avevano una cosa in comune: l’idea che l’Italia dovesse riprendersi almeno una parte della sua sovranità effettiva, innanzitutto in campo economico, e poi anche in ambito politico. Che gli Juncker e i Moscovici dipingano Salvini e Di Maio come due pericolosi sovversivi, rientra nella logica delle cose. Ma che altri italiani, per i loro giochi di partito, si mettano al loro seguito, è ripugnante. Ora si vedrà chi è italiano, e chi no…