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Schierarsi contro il "politicamente corretto"

di Enrica Perucchietti - 31/05/2018

Schierarsi contro il "politicamente corretto"

Fonte: Enrica Perucchietti



Quando Gianluca Marletta ed io pubblicammo l’edizione aggiornata e ampliata di Unisex scoppiò un putiferio. Venimmo insultati e minacciati di morte. Molti ci scrissero che avrebbero bruciato i nostri libri in piazza e nel rogo avrebbero messo volentieri anche noi. Questa violenza era “giusta” e tollerabile in quanto avveniva in nome di una buona causa: il politicamente corretto contro cui noi avevamo invece osato schierarci.

Non andò meglio con Utero in affitto, in cui, per aver criticato la maternità surrogata che paragonavo a una sofisticata forma di schiavismo moderno e a una eugenetica da supermercato, grazie a un ribaltamento concettuale mi fece guadagnare l’accusa di “nazismo”. Sembra infatti che trattare alcuni temi non sia “di sinistra” e quindi sia da biasimare pubblicamente. Ti devi semplicemente “vergognare” a pensare e a promuovere certe posizioni. Devi persino iniziare a dubitare della tua sanità mentale. Ti sei infatti macchiato di psicoreato.

 

La teoria della gradualità: trasformare "a fuoco lento" l'immaginario di massa

Nel giro di pochi anni, si è prodotta una campagna di propaganda che, facendo ricorso alla teoria della gradualità da una parte e al metodo della desensibilizzazione e del bloccaggio ha trasformato la mentalità e l’immaginario di massa rispetto ad alcuni temi fino a poco tempo fa ritenuti “impensabili”.

Così il poliamore, il gender, il cambio di sesso ai bambini e il bombardamento di ormoni per i preadolescenti, le ricerche sull’utero artificiale o pratiche come la maternità surrogata sono gradualmente penetrati nell’opinione pubblica come fari del politicamente corretto e del progresso. E se non le condividi sei un fascista, un reazionario, un retrogrado. Potresti persino essere affetto da turbe psichiche e da qualche patologia che troverà presto spazio sulla prossima edizione del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali.

 

A Torino si vende la deomofobina

Come avevamo predetto in Unisex, questo processo non si sarebbe fermato qui.

A Torino, da dove vivo e scrivo, è scattata la caccia agli omofobi in nome del politicamente corretto.

È infatti in vendita un nuovo farmaco, la Deomofobina contro «gli stati di disinformazione acuta, i disturbi legati al pregiudizio, all’omofobia e alle discriminazioni basate sull’identità sessuale». Insomma, le farmacie comunali sono diventate un luogo di propaganda lgbt e chi dissente dall’ideologia di regime sarà bollato come un malato da curare. Una campagna di “sensibilizzazione” degna della peggior distopia.

 

Il falso moralismo: il nuovo pilastro del pensiero unico

La modernità è contraddistinta da valori in apparenza buonisti, che però camuffano semplicemente l’egoismo e l’individualismo tipici della borghesia.

L’Età dei Lumi ha così fatto nascere il mito del progresso e del progressismo etico e dalle ceneri delle rivoluzioni e dei grandi Imperi è nata un’ideologia dei diritti dell’uomo. Come scrive Alain de Benoist, nella nostra società «anche l’egoismo è presente, camuffato da umanitarismo, avvolto in un discorso che gronda piagnisteo, ottimismo, frasi fatte e buone intenzioni».

Nel suo libro La cultura del piagnisteo, lo scrittore Edward Hughes metteva alla berlina l’ipocrisia del politicamente corretto:

«La cultura del piagnisteo è il cadavere del liberalismo degli anni Sessanta, è il frutto dell’ossessione per i diritti civili e dell’esaltazione vittimistica delle minoranze». Per Hughes si trattava cioè di un atteggiamento falso e stucchevole che impedisce di esprimere il proprio parere per non offendere nessuno, soprattutto le “minoranze”.

L’ossessione per i diritti civili ci ha fatti sprofondare nell’esaltazione di qualsiasi minoranza, meglio se perseguitata. Nella cultura del piagnisteo Hughes disprezzava in particolare il falso moralismo che oggi possiamo constatare essere diventato il pilastro del pensiero unico.

Il politicamente corretto, infatti, come scrive Roberto Pecchioli «si è trasformato in una vera e propria ideologia comportamentale, in una precisa modalità cognitiva e riuscita programmazione neurolinguistica al servizio del nuovo potere globale, quello del liberismo economico libertario e cosmopolita […] Liberisti in economia, privatizzano il mondo, libertari nella società, privatizzano i desideri, esaltandoli come diritti».

 

Spersonalizzare l’uomo per controllarlo

Siamo di fronte a un’ideologia che è strumentale a quella rivoluzione antropologica e non solo culturale che stiamo vivendo. Lo scopo ora è chiaro e ne parlavo già in Unisex e in Fake news: modellare un’umanità docile, spersonalizzata, terrorizzata dal potersi esprimere liberamente, progressista, asservita ai miti del consumo compulsivo, schiacciata sotto il peso dell’indefferenziazione, votata a rivendicare diritti individuali a scapito di quelli sociali e collettivi, convinta che ciò che è nuovo sia sempre migliore del vecchio, liquida persino nella propria identità sessuale oltre che nelle proprio orientamento.

L’umanità doveva diventare a-morfa (senza forma), per poter essere meglio controllata e plasmata: occorreva un’ideologia felpata, suadente come il sussurro del demonio e al tempo stesso ipnotica che fosse in grado come certe pubblicità o come alcuni grandi relatori di abbassare le nostre difese inconsce e penetrare nel nostro immaginario senza che le nostre difese ci avvertissero del pericolo. Il falso buonismo imperante produce un livellamento delle coscienze mirante a cancellare ogni identità e a controllare meglio i cittadini.

Siamo di fronte a una ideologia che porta con sé un ferreo codice verbale e morale, che comporta il biasimo collettivo e successivamente  il castigo per chi traligna e che ha riassunto in sé le caratteristiche tipiche della neolingua orwelliana (riscrive infatti i termini svuotandoli del proprio significato simbolico) e dello psicoreato. Il rischio è quello di risvegliarci presto in un mondo in cui la “persona” in quanto tale non esiste più, dove ogni sorta di “identità” è abolita e dove l’individuo è perfettamente amorfo e “resettato”, naufrago solitario in un oceano di non-senso.

 

La (psico)polizia del politicamente corretto

Il totalitarismo del buoni sentimenti (“buoni” solo in apparenza) ha i suoi cani da guardia, la sua psicopolizia, pronti a riportare all’ovile chiunque dissenta od osi manifestare pubblicamente dei dubbi.

E le conseguenze sono tanto feroci quanto implacabili.

«Quando esiste una sorveglianza su ciò che si dice si vive in un regime dittatoriale, il cui destino è vivere stabilendo divieti e decretando punizioni», osserva ancora Pecchioli. Si vuole cioè evitare la possibilità di pensare, di esprimersi liberamente. Si vuole neutralizzare la coscienza critica e censurare qualunque forma di dissidenza. Per chi sgarra la prima sanzione è «l’avvertimento in stile mafioso», scrive Pecchioli, con lo scatenamento delle armate mediatiche o dei cyberbullisti o i troll dei social network.

Si possa poi all’esclusione dal dibattito, infine alla punizione. Chi dissente dal pensiero unico va censurato, silenziato, deve arrivare a vergognarsi non solo di quello che ha detto ma di quello che ha “osato” pensare. Potrà pertanto essere riaccettato nella comunità solo a patto di umiliarsi e chiedere pubblicamente perdono (ve li ricordate quei processi mediatici a quei vip che si sono macchiati di psicoreato, da Barilla a Predolin?).

Denigrando e perseguitando gli intellettuali e le menti critiche si spera così di disincentivarli dal continuare le loro ricerche. Se questi si ostinano a continuare, verranno puniti attraverso le sempre più numerose norme e attraverso l’introduzione del reato d’opinione (ci siamo quasi…).

 

La dittatura del politicamente corretto

Di certe tematiche non si deve parlare per non urtare alcune minoranze che sembrano aver preso in ostaggio il senso critico. Chi si permette di farlo dovrebbe ritagliarsi una fascetta di tessuto, ricamarci l’iniziale di “E” di eretico, e cucirsela a bella vista sui vestiti. In fondo anche la stregoneria quando venne perseguitata era assimilata all’eresia. Anche essere politicamente scorretti è una forma di eresia: significa rifiutarsi di conformarsi al pensiero unico, dissentire dall’Ortodossia di Stato, forgiarsi una propria opinione alternativa alla maggioranza e difenderla a rischio di, citando Ernst Jünger, “darsi al bosco”.

E per tutti gli altri ci saranno i farmaci (come il “soma”, la droga di Stato del Mondo nuovo di Aldous Huxley) o il conformarsi ai costumi libertari e progressisti del pensiero unico.