Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Belli, vero?

Belli, vero?

di Francesco Lamendola - 17/07/2018

Belli, vero?

Fonte: Accademia nuova Italia

 

 A Partinico, vicino a Palermo, i professori di un liceo scientifico si son fatti trovare dagli studenti, impegnati negli esami di maturità, tutti vestiti con la maglietta rossa, quella invocata da don Luigi Ciotti e sostenuta da intellettuali del calibro di Roberto Saviano, Alessandro Gassman e Vanessa Incontrada (!), per ricordare i naufragi nel Mare Mediterraneo e chiedere la riapertura dei porti italiani a tutti i migranti in arrivo, contro la decisione del ministro dell’Intermo, Matteo Salvini, di chiuderli. Alla faccia della terzietà della scuola rispetto a una questione più politica che etica, e della serenità dovuta agli studenti che si accingono a coronare il loro percorso scolastico con il raggiungimento del diploma d’istruzione superiore. Ma, almeno, ora è chiaro a tutti, anche a quelli che non volevano saperlo, né vederlo, quale sia l’atteggiamento costante di molti insegnanti della scuola pubblica nei confronti della loro professione: l’uso di un palcoscenico, o di un pulpito, dal quale dare spettacolo e indottrinare gli studenti, per fare loro il lavaggio del cervello e indurli ad introiettare le loro stesse convinzioni, invece di guidare i giovani all’autonomia intellettuale e all’acquisizione del senso critico, ossia, detto in parole più semplici, a imparare a pensare e a giudicare le cose con la propria testa. Questi professori, figli ideologici, se non anagrafici, della cultura del Sessantotto, non si prendono neppure la briga di fingere un minimo di obiettività e di distacco professionale di fronte agli studenti, ma entrano ogni giorno a gamba tesa nelle questioni politiche e non esitano a dare pesanti e continui giudizi a favore di questi, ma soprattutto a condanna di quelli. Per essere più precisi: a favore degli uomini e delle idee della sinistra, e contro gli uomini e le idee della destra. Il fatto che “destra” e “sinistra”, come le abbiamo conosciute fino a qualche decennio fa, e come ancora vengono descritte nei libri di testo, non esistono più, o, se esistono, si sono più o meno scambiate i rispettivi ruoli sociali e culturali; il fatto che oggi gli sponsor della sinistra mondialista e immigrazionista siano, oltre a Bergoglio e alla neochiesa, Soros, Rockefeller, la Banca Mondiale e la Banca centrale europea, tutto questo non turba minimamente i nostri bravi professori post-sessantottini, agghindati con le loro magliette rosse, in linea con Boldrini, Lerner e Saviano; perché dovrebbe? In fondo, sono sempre stati in ritardo di cinquanta o cento anni; sono sempre arrivati a tavola sparecchiata, convinti di essere i precursori, le avanguardie del progresso e della modernità. Poveretti, bisognerebbe compatirli, con tutti i loro rancori e le loro frustrazioni, ma soprattutto con il loro ditino sempre alzato, convinti, come sono, di incarnare il Bene, il Bene Assoluto, e perciò di aver sempre ragione e di dover sempre fare la lezione e dare la pagella a tutti gli altri; se non fosse che, oltre ad essere patetici, sono anche altamente scorretti, per non dire disonesti. Non hanno alcun rispetto dei giovani che sono affidati loro dallo Stato; non hanno rispetto per le loro famiglie, gente che lavora, e che non va sugli attici e col Rolex al polso, per sfoggiare la maglietta rossa di don Ciotti; vanno a lavorare, e a lavorare duramente, anche per mantenere i figli a scuola e anche per pagare le tasse a questo Stato che, poi, consente che la scuola pubblica sia usata per indottrinare i loro figli con l’opera dissennata di questi professori di sinistra, che abusano del loro piccolo potere per premiare gli alunni che la pensano come loro, e si servono spesso del registro per “punire” quelli che osano mostrare indipendenza di pensiero. Queste cose, peraltro, le sanno tutti, ma nessuno ne parla. E perché parlarne, poi? Ciò disturberebbe gli interessi del Pd, azionista di maggioranza, per non dire monopolista, della scuola pubblica; un partito che ha avuto il coraggio di mettere al ministero della Pubblica istruzione una personaggio come Valeria Fedeli, sprovvista di laurea e perfino di diploma di scuola superiore, ma, in compenso, bugiarda conclamata per aver cercato di far credere il contrario. Al Pd questi professori vanno bene, benissimo; e più ancora vanno bene ai radicali e alle associazioni LGBT, interessate a servirsene per far entrare nella scuola i loro “esperti”, a parlare di orientamento sessuale e far propaganda a favore dell’ideologia di genere, partendo dall’asilo infantile e arrivando fino al liceo.

E i professori, si piacciono? Vogliamo dire, piacciono a se stessi? Certo che sì. Non guadagneranno come i loro colleghi francesi o tedeschi, questo è ceto, però, fra gli altri vantaggi, a cominciare da quello della impunità e della inamovibilità (perfino a un maestro che picchia e insulta i bambini, come è accaduto recentemente in provincia di Treviso, la massima pena che può toccare è il trasferimento in una scuola a pochi chilometri di distanza dalla precedente), c’è quello della totale autoreferenzialità. Possono dire e fare praticamente qualsiasi cosa, purché politicamente corretta, vale a dire di sinistra, e quindi gradita al Pd e alla neochiesa. Proviamo a immaginarci cosa sarebbe successo se, in un liceo di Bergamo (tanto per fare un esempio) i professori si fossero presentati, in sede di esami di maturità, indossando tutti la camicia verde. Qualcuno se lo immagina? Sarebbe successo il finimondo: la stampa si sarebbe scatenata, le televisioni avrebbero fatto sevizi non-stop, talk-show di approfondimento e incursioni a gogò delle Iene; illustri filosofi e sociologi avrebbero detto la loro dal piccolo schermo, nobili intellettuali avrebbero si sarebbero stracciati le vesti, avrebbero protestato, indetto scioperi della fame, girotondi e sit-in; associazioni civili d’ogni tipo sarebbero scese sul piede di guerra, ispettori ministeriali sarebbero accorsi, interrogazioni parlamentari sarebbero fioccate sul governo. Ovunque si sarebbe parlato di fascismo, di razzismo, d’intolleranza, di xenofobia e, soprattutto, d’intollerabile commistione di politica ed educazione. Proprio quello che i signori della sinistra fanno tutti i santi giorni, con la stessa naturalezza con cui respirano: ma loro possono farlo, gli altri no. Qualcuno potrebbe obiettare che le magliette rosse avevano un significato morale e civile, mentre la camicie verdi sono un richiamo esplicitamente politico. Balle. Lo sanno anche i gatti che le magliette rosse di don Ciotti sono rosse anche in senso ideologico; e se qualcuno  non è disposto ad ammetterlo, allora vuol dire che ha le fette di salame sugli occhi, oppure - cosa più probabile - che è in perfetta malafede, perché è cosa notoria che le morti in mare dei migranti, impropriamente chiamate stragi (come se qualcuno sparasse su quei poveretti, o speronasse i loro barconi, o comunque ne provocasse volontariamente il naufragio, mentre è vero il contrario, cioè che fanno tutto da soli, si mettono in condizioni di pericolo e proprio su di esse fanno il ricatto per essere salvati, accolti, spesati, mantenuti, nonché fatti cittadini con soli diritti e nessun dovere) sono solo un pretesto per fare pressioni sul governo, attaccare Salvini e la Lega, costringere le autorità a riaprire i porti, cioè scavalcare la volontà espressa dalla maggioranza del popolo sovrano con  le elezioni del 4 marzo 2018. Ma che gliene frega del popolo sovrano, ai signori delle magliette rosse? Il popolo sono loro, si sa: si sono sempre considerati i soli rappresentanti del popolo. Anche col Rolex al polso e anche se vivono negli attici. I professori, è vero, non possiedono né attici né, verosimilmente, orologi di gran marca (tranne forse quelli che fanno il doppio lavoro, specie i professori universitari: un’altra illegalità sui cui da sempre si passa tranquillamente sopra e si fa finta di non conoscerla); ma che importa? Anche loro, come Alessandro Gassman e Vanessa Incontrada, si considerano “popolo”: loro, e solamente loro. Quei milioni di italiani che hanno votato contro le politiche della immigrazione selvaggia e della accoglienza indiscriminata, secondo loro non sono il popolo; anzi, non sono nemmeno uomini (hanno detto che c’è un’emorragia di umanità) e dunque non avrebbero neanche il diritto di parlare. I leghisti, i grillini, i populisti, i sovranisti, sono solamente feccia, per loro. Chi lo dice? È evidente, perché lo dicono loro, e loro sono il Bene Assoluto. Sono talmente buoni che un loro caratteristico esponente, lo scrittore Edoardo Albinati, ha detto, nei giorni del caso Aquarius, durante la presentazione di un suo libro: Ieri ho pensato, ho desiderato che morisse qualcuno sulla nave Aquarius. Ho pensato: Adesso, se muore un bambino, io voglio vedere che cosa succede per il governo (app. di Blitzquotidiano).

Questi professori, dunque, frustrati, mal pagati, socialmente rancorosi, trovano uno sfogo e una compensazione alla loro amarezza nell’impancarsi a giudici e giustizieri, idealmente parlando, dei soliti cattivi che spadroneggiano e sfruttano i “poveri”, gli “ultimi”: che non sono Soros & Rockefeller; non sono nemmeno gli sceicchi che pagano i viaggi dei disperati e neppure gli scafisti e i mafiosi che ci si arricchiscono; no: sono quei milioni di italiani, che, costretti a vivere nei quartieri degradati, pieni di puttane e di spacciatori nigeriani e di cento altri Paesi d’Africa e d’Asia (oh, ma questo è scorretto, non si può dire: così si alimenta il razzismo!), hanno votato Lega e Cinque Stelle anche perché venga messo un argine all’invasione e all’islamizzazione dell’Italia, il che fa di loro, automaticamente, dei populisti, dei razzisti e – dicono Bergoglio, Paglia e Galantino – dei cattivissimi cristiani. Già: Bergoglio e la sua neochiesa. Non è certo un caso che a lanciare la giornata delle magliette rosse sia stato don Luigi Ciotti, quello che non ha paura delle mele marce, tanto le mele marce infettano i quartieri e le città degli altri, mica il Vaticano: insomma, la solita filosofia che consiste nel “rischiare” il fondoschiena con il fondoschiena degli altri. E a questo proposito non possiamo passare sotto silenzio le dichiarazioni dell’ex vescovo di Caserta, il friulano Raffaele Nogaro, il quale ha dichiarato che, se ciò potesse salvare le vite dei poveri migranti in pericolo sul Mediterraneo, e contribuire a far riaprire i porti italiani, lui cederebbe tutte le chiese cattoliche all’islam, affinché ne faccia altrettante moschee. A questo punto d’impudenza e di follia siamo arrivati: e il buon popolo cristiano deve ascoltare in silenzio, avvilito e con la coda fra le gambe, simili bestemmie; senza che, ovviamente, dall’alto giunga il minimo rimprovero, la minima precisazione davanti allo scandalo immenso rappresentato da tali parole. Eppure, se un don Minutella si permette di dire che la Chiesa sta sbagliando a politicizzarsi e ad abbandonare la sua fondamentale missione spirituale, ecco che viene cacciato prontamente dalla sua parrocchia e, come pare, scomunicato dal suo vescovo. Ma quel che ha detto monsignor Nogaro è forse acqua fresca? Io lascerei che tutte le chiese vengano trasformate in moschee. Ogni tanto gli scappa di bocca la verità, a questi signori, maestri di doppiezza e dissimulazione: questo è realmente ciò che pensano, che hanno sempre pensato. L’Europa che sognano è un’Europa islamizzata. Perché? Semplicemente perché si sono stancati e annoiati del cristianesimo, e in particolare del cattolicesimo. Ne hanno fastidio, è venuto loro a noia. Come la famiglia era venuta a noia ai giovani del ’68, e come la Patria è venuta a noia ai professori di sinistra e ai progressisti in maglietta rossa. La patria è una parolaccia; la famiglia è una schifezza (a meno che sia la famiglia arcobaleno, nel quale caso è un prodigio di amore purissimo; e perfino il matrimonio gay diventa un nobilissimo traguardo di vita, benché il matrimonio fra uomo e donna, di per sé, sia una galera che non si augura più nemmeno ai cani), e il cattolicesimo è diventato una brutta parola pure quello. E pure per i neopreti. Il signor Bergoglio ha dato il la, dichiarando apertis verbis che Dio non è cattolico. Più chiaro di così…

In tal modo, si è formata l’alleanza indissolubile dei rancorosi, dei frustrati, degli scontenti, dei falliti, dei trombati, degli inutili, dei residuati di ideologie morte e sepolte: gli orfani del marxismo, e in primo luogo gli insegnanti della scuola pubblica (non tutti, ma molti) e i neopreti, neovescovi e neocardinali della neochiesa, progressista e modernista, sempre muta quando si parla di aborto ed eutanasia, ma sempre loquace quando si parla di diritti civili, d’inclusione e di non discriminazione, al punto da tenere apposite veglie di preghiera… contro l’omofobia, cioè contro quanti ricordano che la sodomia è un vizio contro natura ed è uno dei quattro peccati capitali, quelli che gridano vendetta al cospetto di Dio. I giovani del ’68 giocavano alla rivoluzione, i preti di strada giocano all’islamizzazione: gli uni e gli altri fanno il tifo contro Dio (il loro), la famiglia e la patria. A quanto pare non si sono mai chiesti che ne sarà di loro, dei cristiani, dei progressisti, delle femministe, degli omosessuali che si sposano in municipio e presto anche in chiesa, quando, in un futuro non lontano, l’islam sarà divenuto maggioranza in questo Paese. Chissà, forse allora ai Saviano, alle Boldrini e ai Lerner passerà la voglia d’indossare le magliette rosse per affrettare la invasione islamica dell’Italia. O forse no. Quelli che hanno l’attico a New York, con o senza scorta, semplicemente smetteranno di bazzicare in Italia, senza che il loro tenore di vita ne risenta più di tanto. I professori che guadagnano millecinquecento euro al mese, o le maestre che ne guadagnano milleduecento, con le ferie non pagate, non se la passeranno altrettanto bene; e non  potranno optare per la loro residenza di Miami o San Francisco. Faranno un po’ di autocritica, almeno a quel punto? Ne dubitiamo. Chi si è abituato a vivere col ditino sempre puntato verso gli altri, e a dare sempre la pagella, senza mai lasciarsela dare da nessuno, è costituzionalmente incapace di autocritica. Preferirebbero sprofondare, piuttosto che avere un moto di umiltà e una resipiscenza di consapevolezza: andranno a fondo, ma sostenendo sino all’ultimo d’aver ragione, e d’averla sempre avuta. Daranno la colpa al Salvini di turno, al mondo intero se necessario, mai a se stessi. Con quale diritto parliamo così dei professori? Perché li conosciamo: lo siamo anche noi, da oltre quarant’anni.