Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Qual è la lezione di Genova?

Qual è la lezione di Genova?

di Francesco Lamendola - 19/08/2018

Qual è la lezione di Genova?

Fonte: Accademia nuova Italia

 

 

Di Genova e del Ponte Morandi, crollato la vigilia di ferragosto 2018 mentre vi transitava l’abituale, intenso traffico automobilistico, portando con sé nell’abisso una cinquantina di sventurati esseri umani, si è parlato moltissimo fin dalle prime ore, dai primi minuti in cui la notizia è rimbalzata nel resto d’Italia, è entrata in tutte le case, ha suscitato sorpresa, incredulità, cordoglio, amarezza, rabbia. Forse se ne sta parlando anche troppo, si rischia di farne un tormentone estivo, con la prospettiva che in autunno si comincerà già a dimenticarlo, o quanto meno ad archiviarlo, come sempre finora è avvenuto per tutte le tragedie pubbliche italiane. Ognuno vuol dire la sua, e ognuno vuole evidenziare il particolare decisivo che agli altri è sfuggito: ma la realtà è che non sappiamo praticamente nulla e che forse non sapremo mai nulla di sicuro, come per ciò che accadde alla stazione di Bologna o per l’abbattimento dell’aereo civile nei cieli di Ustica. I giornali e le televisioni ovviamente non lo hanno detto, ma in rete circola l’atroce sospetto di un attentato, di un brillamento del famoso pilone, reso possibile dal temporale che infuriava al momento del crollo, tanto è vero che inizialmente si è molto parlato della possibilità che il “colpevole” sia stato un fulmine, dato che molti testimoni hanno notato un bagliore in coincidenza con il drammatico cedimento. Se fosse così, forse i servizi stranieri di qualche Paese “amico”, a cominciare dalla Francia (vedi Ustica, appunto) potrebbero saperla lunga, tanto più con la Tav tuttora impantanata nel solito mare di polemiche e di decisioni contraddittorie. Ma è probabile che una tale eventualità non verrà mai ufficialmente ammessa, neppure se emergessero indizi più che sospetti, come del resto è accaduto per il crollo di Gran Zero l’11 settembre del 2001.

Non bisogna credere che le stragi senza un nome e un colpevole siano una specialità italiana: stanno diventando, invece, una costante della politica internazionale. Gli attentati terroristici in Francia, i cui autori si son fatti alla fine ammazzare con i documenti d’identità addosso, o che li hanno “dimenticati” sul luogo degli attacchi, lasciano intravedere una realtà infinitamente più complessa, più angosciante e più triste di quel che si poteva immaginare: e cioè che il vero pericolo per i cittadini di qualunque nazione, di questi tempi, viene più da dentro che da fuori i confini (per quel poco che contano ancora i confini). Un po’ come nei delitti che lasciano una scia di sangue dentro le case della gente comune: si cerca sempre il mostro al di fuori, ma nove volte su dieci lo si dovrebbe cercare dentro. Nove volte su dieci, o giù di lì, è un familiare, un parente, un amico, uno che si è unito al lutto generale, o che, nel caso di una scomparsa, si è unito alle ricerche, volonteroso, instancabile, preoccupato quanto gli altri, con la faccia di circostanza come gli altri. Uno che non si è tradito neanche quando il corpo della vittima è stato alla fine ritrovato in qualche cassonetto, in qualche bosco, in qualche anfratto vicino o lontano da casa; e che ai funerali ha pianto come gli altri, ha stretto le mani dei congiunti insieme agli altri. Ecco: così bisogna pensare alle stragi che colpiscono il mondo in questi ultimi anni, e specialmente il mondo occidentale: ci si immagina sempre che gli autori vengano da fuori, che siano gli altri, e invece, nove volte su dieci, vengono da dentro, oppure hanno trovato aiuti e facilitazioni dentro. La strategia delle stragi è internazionale: voluta dai poteri finanziari che controllano il mondo, non si cura di dettagli come la nazionalità o la cittadinanza. Chi ha provocato il crollo delle Twin Towers era quasi certamente americano, il cervello dell’operazione è stato quasi certamente di matrice americana, e non si è  fatto alcuno scrupolo di decretare la morte di alcune migliaia di connazionali ignari. Tanto meno quelle menti si fanno scrupoli a seminare qualche milione di morti in Afghanistan, in Iraq o in Siria, o di spingere qualche milione di africani attraverso il deserto, e poi attraverso la rotta del Mediterraneo, mettendosi nelle mani dei mercanti di carne umana, su barconi fatiscenti e sovraccarichi. Figuriamoci quel che gliene può importare degli effetti collaterali che centinaia di migliaia di clandestini provocano nei Paesi in cui arrivano: dello spaccio di droga, del giro di prostituzione, dei furti, delle rapine, degli stupri, delle aggressioni e degli omicidi ai danni delle popolazioni “ospitanti”, quasi sempre anziani, donne o ragazzini, quasi sempre abitanti dei quartieri e dei condomini degradati delle periferie, non certo dei quartieri alti, dove vivono i politici strenuamente fautori di questa invasione quotidiana. Per quelle menti, le persone comuni sono nulla, sono numeri, sono bestiame: provocare la morte di cinquanta o di cinquanta milioni, magari con qualche virus “pilotato”, così, tanto per sperimentare nuove tecniche batteriologiche e per sfoltire certe aree del mondo, da essi giudicate strategiche, ma sovrappopolate. Noi, per loro, siamo come le formiche, siamo insetti da eliminare con il DDT.

Comunque, quasi certamente non sapremo mai. Vi sono delle verità che restano indicibili, perché non possono essere dette. E poi, dopotutto, può anche essersi trattato semplicemente di un cedimento strutturale: un ponte fatto male, una manutenzione insufficiente, una leggerezza criminosa, il solito palleggio di responsabilità, il solito gioco dei quattro cantoni. E tuttavia, gli italiani questa volta hanno intuito che il crollo del Ponte Morandi apre un nuovo capitolo della loro storia. Venti famiglie su trentanove hanno rifiutato i funerali di Stato, e questo è di per sé un fatto altamente eloquente: significa che il cittadino percepisce se stesso come totalmente separato dal mondo delle istituzioni. Lo sapevamo già, ma almeno in casi come quello di Genova, eravamo abituati a un rassegnato unanimismo nel dolore, al solito copione con la richiesta di verità da parte sia dei parenti, sia dei politici. Anche stavolta abbiamo udito il presidente Mattarella parlare di una tragedia inaccettabile, ma è un inaccettabile che appartiene al solito vocabolario del ritualmente corretto, che si sfoga nell’ambito delle parole e si esorcizza da se stesso nell’atto di dirsi; si intuisce che, per quanto riguarda i politici, anche questa tragedia finirà per essere, se non accettata, almeno archiviata; con la segreta speranza che la archivierà anche la coscienza dei cittadini comuni. E invece, questa volta, forse no. Il fatto che più di metà delle famiglie abbia rifiutato i funerali di Stato è un segnale. Poi c’è il segnale lanciato dallo stesso governo; un segnale chiaro e non fasullo, fin dalle prime ore, fin dai primi minuti: chi ha sbagliato dovrà pagare. Per la prima volta gli italiani nel loro insieme si stanno accorgendo che i poteri forti esistono davvero, non sono un vaneggiamento di qualche isolato giornalista complottista; che i loro interessi economici e finanziari sono enormi; che non si fanno alcuno scrupolo nel difenderli; e che tutti i governi che si sono succeduti negli ultimi decenni, tranne quest’ultimo, sono stati proni ai loro voleri, perché erano sostanzialmente sul loro libro paga. Può darsi che un numero non piccolo di persone – gli anziani che non guidano più, per esempio e i giovani che non guidano ancora la macchina – ignorassero, puramente e semplicemente,  che le autostrade sono gestite  da Autostrade per l’Italia, una società per azioni che appartiene al gruppo Atlantia, che possiede il 100% del capitale sociale (qualcosa come 10 miliardi di euro) e che fa riferimento alla famiglia Benetton; e che, dal 2002, quando i poteri forti internazionali decisero la svendita dei gioielli di famiglia dello Stato italiano, in nome di una politica delle privatizzazioni il cui scopo era dare il colpo di grazia a un’economia già spodestata della propria sovranità monetaria e incatenata a una moneta unica europea pensata e calibrata sulla misura del marco tedesco e contro la lira italiana, cioè di far fuori l’Italia come Stato sovrano e come quarta potenza economica del pianeta, ha ottenuto la concessione di gestire le tratte autostradali, con l’obbligo della relativa manutenzione. Sempre socializzando i costi e privatizzando i profitti, che sono stati notevoli, visto che da allora i pedaggi autostradali sono cresciuti del 65%, contro il 37% dell’inflazione; come si addice ai grandi capitalisti di casa nostra, che amano pochissimo rischiare e che preferiscono vincere facile, specie avendo a che fare con uno Stato più che sensibile ai loro desiderata: al punto da lasciar andare all’estero la Fiat di Marchionne, con tutti i capitali e con i mancati introiti fiscali, dopo averla finanziata più che generosamente, nel corso degli anni e dei decenni, con denaro pubblico sonante, prelevato dalle tasche dei cittadini. E gli italiani hanno scoperto, quasi nello stesso momento, con i cadaveri di Genova ancora caldi e ben prima che avessero luogo i funerali, che le autostrade sono gestite dai Benetton, quelli degli United Colors di Oliviero Toscani, quelli che da anni reclamizzano l’idea della società globalista, con ragazzi e bimbetti bianchi, neri e gialli, tutti fraternamente abbracciati e preferibilmente nudi: modelli e modelle scelti apposta in modo che i maschi paiano un po’ femmine, e le femmine un po’ maschi, perché oltre che senza pregiudizi etnici, la società futura dovrà essere anche senza pregiudizi omofobi. E che, coi cadaveri ancora caldi, i Benetton non parlavano di rammarico, non porgevano le condoglianze alle vittime, non indossavano, nemmeno per finta, l’atteggiamento mesto che si addice alla circostanza, ma ringhiavano al governo che non avrebbe potuto revocare la delega alle autostrade, perché, se lo avesse fatto, avrebbe dovuto sborsare una penale altissima. Gli italiani esterrefatti, increduli, hanno udito quei signori parlare di soldi invece che di lutto: perfino in quei momento, perfino in quelle ore. E hanno cominciato a capire. Anche i più buoni, anche i più miti, anche i più ingenui e sprovveduti. E hanno cominciato a farsi due domande. Per esempio, chi governava questo Paese nel 2002, quando le autostrade vennero date in gestione alla famiglia di quei signori così progressisti, così United Colors, e così pazzescamente attaccati alla logica del profitto, da commettere la gaffe imperdonabile, nella foga di difendere i loro interessi, di lasciar cadere la maschera, per un attimo, del politically correct, e lasciar intravedere il loro vero volto, cinico e usuraio. I fischi di Genova, al momento del funerale di Stato, hanno avuto quel significato: gli italiani fischiavano quei politici progressisti che, dietro la maschera del buonismo, della accoglienza, della solidarietà, hanno svenduto l’Italia ai poteri forti e hanno fatto strame dello Stato sociale, delle garanzie minime di tutela dei cittadini, come la garanzia di non crollare nel vuoto insieme al ponte autostradale sul quale si sta viaggiando, dopo aver pagato il pedaggio al casello d’entrata (particolare pirandelliano: perfino le ambulanze sono state segnalate come inadempienti dai caselli, avendo transitato senza pagare il pedaggio). Gli italiani hanno cominciato a capire cosa c’era e cosa c’è dietro il progressismo dei D’Alema, dei Prodi, degli Amato, dei Draghi, dei Delrio (quest’ultimo, come ministro delle infrastrutture, poco prima di lasciare ha prorogato fino al 2030 la concessione delle autostrade a Benetton). Gli italiani, forse, stanno uscendo dallo stato d’ipnosi in cui erano caduti, dopo decenni di ritornelli dei mass media in senso politicamente corretto; e cominciano a chiedersi, per la prima volta, chi siano davvero i buoni e chi i cattivi. Sospettano che le cose non stiano come sembrava, cioè come hanno sempre raccontato loro. Perché il problema, ora, è proprio questo: che anche se il Paese reale si sta svegliando, e la nascita del governo giallo-verde ne è il primo, incoraggiante segnale, tutto il baraccone mediatico è ancora sul libro paga di quegli stessi poteri forti che ora, nella tragedia di Genova, hanno lasciato intravedere, per un attimo, il loro vero volto, e che gli italiani, probabilmente per la prima volta, hanno intuito essere una presenza reale, non una vaga entità evocata, di tanto in tanto, da qualche visionario complottista o da qualche autore di romanzi distopici. Perfino i cattolici stanno cominciando a svegliarsi e a capire: per esempio, che tutto questo gran parlare, martellante, ossessivo, di accoglienza, di solidarietà e d’inclusione verso i clandestini africani, e bocche cucite, o quasi, su aborto, eutanasia, unioni civili e adozioni gay, non è tutto oro, non è tutto carità cristiana, non è tutto trasparente, ma ha in sé qualcosa, e più di qualcosa, di torbido; qualcosa che somiglia stranamente, in modo inquietante, a ciò che dicono Soros, Rockefeller, Goldman Sachs e i signori del potere finanziario mondiale, gli stessi che, guarda caso, finanziano le navi per le missioni umanitarie delle o.n.g. Perfino a molti cattolici i sermoni quotidiani di Bergoglio, di Bassetti e di Galantino cominciano a dar fastidio, non perché troppo evangelici, ma perché troppo smaccatamente globalisti.

Attenzione: questo è un momento pericoloso. È pericoloso il momento in cui gi schiavi prendono coscienza di essere tali, e si accorgono che quelli che hanno ai polsi non sono monili, ma catene; e che colui che credevano l’amico e il protettore, è un cinico e spietato tiranno. Quando i poteri forti si sentono minacciati nei loro interessi, diventano ancor più feroci; sono capaci di qualsiasi cosa. perciò, nei prossimi mesi, bisogna aspettarsi di tutto, stare pronti e non lasciarsi sgomentare, Priveranno in ogni modo a far cadere questo governo, a colpi di spread o a  colpi di attentati; ci proveranno tutti insieme, i banchieri e i vescovi, il Pd e i frammassoni, perché in fondo si tratta di un unico partito trasversale, quello di chi comanda, sceso in campo contro un unico partito, quello della gente comune, che incomincia a capire come stanno in realtà le cose. E più si andrà avanti, più i nodi verranno al pettine: ci saranno altri casi come quello di Genova, altri nodi da sciogliere come quello della Società Autostrade; se ne è avuto sentore con la nomina di Marcello Foa a viale Mazzini, anzi, prima ancora, con la (mancata) nomina di Paolo Savona al ministero dell’Economia...