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La frattura con il passato

di Antonio Polito - 19/08/2018

La frattura con il passato

Fonte: Corriere della Sera


Di Maio e Salvini - come dimostrano gli applausi e i selfie durante i funerali di Stato a Genova — hanno vinto la battaglia dell’opinione pubblica in queste ore tragiche. Ma la crisi di rigetto per il Pd va affrontata perché serve un’opposizione autorevole


Gli applausi di Genova a Di Maio e Salvini ci dicono che la tragedia ha unito il Paese intorno al governo. È una reazione comprensibile: nelle emergenze si sente di più il bisogno di una guida. E positiva: vuol dire che il filo che lega il popolo alle istituzioni, anche in un momento di rabbia e sconforto, resta saldo. Non è stato sempre così: la storia nazionale è purtroppo piena di funerali in cui lo Stato è stato fischiato. Ancor più confortante è perciò l’accoglienza commossa riservata da questa nobile e sfortunata città al presidente Mattarella e ai Vigili del fuoco, entrambi a modo loro simboli dell’Italia di cui ci si può fidare. Ma quegli applausi hanno anche un innegabile significato politico: in grande maggioranza gli italiani considerano il recente risultato elettorale un cambio di regime.

Dopo due mesi di governo gli elettori sono ancora più convinti di aver fatto la scelta giusta. Caricano sui «nuovi» politici grandi aspettative, riconoscendo loro, se non ancora competenza e buon governo, certamente dirittura morale e schiena dritta. Attribuiscono invece ai «vecchi» tutte le colpe di un lungo ed evidente declino del Paese, anche quelle che magari non hanno (le contestazioni di ieri a Martina e a Pinotti, entrambi ministri nei governi del Pd, lo dimostrano).

Di Maio e Salvini hanno dunque vinto la battaglia dell’opinione pubblica in queste ore tragiche. E ci sono riusciti perché hanno continuato a fare l’opposizione. Hanno additato come colpevole un sistema di rapporti costruito nel passato tra lo Stato e il concessionario Autostrade, in cui il primo vigilava poco e il secondo guadagnava troppo. La sinistra che ha governato negli ultimi cinque anni, ma anche la destra che c’era prima, ha troppo spesso scambiato il liberalismo per debolezza del regolatore pubblico, e contraddetto la concorrenza con la nascita di nuovi monopoli privati. Per difendere se stesso, il Pd si è così trovato nella singolare condizione di dover difendere Autostrade (anzi i Benetton, secondo la personalizzazione maramalda del populismo, cui non basta accertare responsabilità, ma ha sempre bisogno di una gogna). Questo ha acuito il discredito che circonda oggi quel partito dopo cinque anni di renzismo, ormai visto come amico e protettore dei potenti. È stata misurata ieri a Genova la gravità di una crisi di rigetto dell’opinione pubblica che ha pochi precedenti nella storia della Repubblica, e che merita di essere affrontata al più presto, perché un Paese democratico non può stare a lungo senza un’opposizione credibile e autorevole.

Quanto a Di Maio e Salvini, dovrebbero ricordare che anche Silvio Berlusconi, all’inizio del suo governo nel 2008, fu accolto come un salvatore all’Aquila, sconvolta da un terribile terremoto. Dopo l’emergenza e i proclami, arriva però sempre il momento delle scelte concrete, quando bisogna sporcarsi le mani con la realtà. Per mantenere vivo il risentimento della gente, e conservarne così il consenso, il governo Conte ha usato la minaccia di revoca della convenzione con Autostrade. Ma ha calcolato quanto costerebbe ai contribuenti? E, soprattutto, ha pensato chi altri potrebbe ricostruire in pochi mesi il ponte, come Autostrade promette di fare? Oggi la gente di Genova chiede, giustamente e innanzitutto, giustizia. Domani chiederà anche una strada che renda possibile passare da Levante a Ponente, un’arteria che porti in Francia e in Europa le merci che arrivano al suo porto, e una via alternativa che non passi dentro e sopra il centro della città, su case e palazzi. La forza delle cose ha già spinto Di Maio a riconoscere che la Gronda, così a lungo avversata dai Cinquestelle, è un’opera che s’ha da fare. Forse convincerà presto il governo che la revoca della convenzione ha troppi costi e scarsi benefici. Ma gli oppositori farebbero bene a non credere che basti aspettare che il nuovo potere fallisca per riprendersi. In primo luogo perché se chi è al governo fallisce, ne paga il prezzo l’Italia tutta. E in secondo luogo perché il funerale di Genova ha dato ieri una prova di quanto profonda sia la frattura tra vecchio e nuovo, rendendo poco credibile che gli italiani, se pure il nuovo fallisse, accetterebbero di tornare al vecchio.