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Grazie ai giudici, l’Italia è il paradiso dei criminali

di Francesco Lamendola - 15/09/2018

Grazie ai giudici, l’Italia è il paradiso dei criminali

Fonte: Accademia nuova Italia

 

 

Il  18 luglio 2018 i giudici del Tribunale del Riesame di Milano hanno dato ragione all’avvocato difensore di un gambiano di 31 anni, spacciatore recidivo arrestato in flagranza di reato, per assenza di gravi indizi, in quanto l’ultima volta che lo avevano colto sul fatto aveva con sé “solo” cinque pasticche di ecstasy, una quantità contenuta, a loro dire, che rendeva errata la decisione del tribunale ordinario che lo aveva spedito in cella per direttissima. E poco importa che quel signore fosse incorso già per la terza volta nel medesimo reato, collezionando una prima denuncia il 23 gennaio, una seconda il 23 giugno e un precedente arresto addirittura il 19 novembre 2016; senza contare altre due denunce, fra il 2017 e il 2018, una per aver dato falsi dati sulla sua identità, l’altra per ricettazione. Perciò da quasi due anni questo galantuomo se ne va in giro a spacciare droga; arrestato in Svizzera, è stato espulso come clandestino e foto-segnalato, dopo di che è tornato nel Paese di Cuccagna di tutti i criminali e gli aspiranti tali, l’Italia, e ha ripreso tranquillamente il suo onesto mestiere. Il quale mestiere, essendo la sua sola fonte di reddito, a parere dei giudici va guardato con una certa indulgenza: infatti, nella sentenza di scarcerazione, è scritto che non avendo alcun provento derivante da attività lavorativa, lo spaccio gli appare come l’unico modo per mantenersi. Parole che andrebbero incorniciate e appese in tutti i luoghi pubblici per ricordare agli italiani che il loro Paese, grazie ai giudici di quel tipo, è divenuta il Paradiso di tutti i criminali, attirati dalla prospettiva della scarcerazione facile, oltre che dalla detenzione straordinariamente mite. Un ispettore di polizia romeno, venuto in Italia per aggiornarsi sulle strutture carcerarie dell’Europa occidentale, è rimasto sbalordito e ha detto ai colleghi italiani: Ma voi siete pazzi; le vostre carceri sono alberghi, in confronto alle nostre, addirittura con tre pasti al giorno. Da noi, un piatto al giorno e pedate nel sedere dalla mattina alla sera: è questa la nostra ricetta per scoraggiare i delinquenti; è così che si manda un messaggio chiaro a quanti accarezzano l’idea di mantenersi facendo i delinquenti. E i fatti gli danno ragione: basta confrontare i dati sulla criminalità nel suo Paese e nel nostro. Il fatto è che in Italia non comandano i politici, rappresentanti - bene o male - del popolo sovrano, ma i giudici, che non sono stati eletti da nessuno, ma che, in compenso, hanno la testa piena dei libri progressisti, marxisti e cattocomunismi che hanno letto, in ritardo di almeno tre secoli sulla realtà: vale a dire impregnati dei miti fasulli dell’illuminismo, del buon selvaggio, della società cattiva e dell’individuo buono, più gli altri miti fasulli, ma più recenti, del ’68: proibito proibire, vietato vietare, il delinquente è solo un prodotto della società ingiusta, così come lo è il malato mentale; rifacciamo la società in senso socialista e spariranno sia la delinquenza che la follia. E avanti con tante altre amenità dello stesso tenore.

L’ultimo e più eclatante episodio è stato quello della magistratura siciliana che ha deciso di porre ufficialmente sotto inchiesta il ministro dell’Interno, Matteo Salvini, per sequestro aggravato di persona, abuso d’ufficio e altro, il tutto per aver trattenuto alcuni giorni nel porto di Catania i clandestini presi a bordo da una nave della Guardia Costiera, dove peraltro ricevevano tutte le forme di assistenza possibile, dal cibo alle cure mediche, e dopo che i minorenni erano già stati autorizzati a sbarcare, sin dall’inizio. Il mondo intero, senza dubbio, ha riso di noi: di un Paese dove un ministro che fa il suo dovere di proteggere i confini, e che, comunque, agisce nell’esercizio del suo mandato, viene trattato dai magistrati alla stregua di un potenziale delinquente, e la sua onorabilità viene infangata davanti a tutti, solo perché qualche giudice di provincia ha ravvisato nel suo operato una violazione dei fondamentali diritti umani. Addirittura. La stessa filosofia che ha spinto i giudici milanesi del riesame a scarcerare lo spacciatore gambiano, che ora starà svolgendo tranquillamente la sua onorata professione ai giardinetti e sui viali del capoluogo lombardo. Infatti, è ben vero che quegli stessi giudici ne avevano descritto, nero su bianco, il grado elevato di pericolosità sociale; però avevano creduto di “risolvere” il problema intimandogli di non risiedere più in città, ma di spostarsi altrove, libero, evidentemente, di riprendere a spacciare droga in qualche altra città del Bel Paese. Piccolo particolare, riportato da Il Giornale del 29 agosto (articolo di Paola Fucilieri): i poliziotti milanesi, rischiando la pelle (perché non è raro che i pusher africani reagiscano all’arresto tirando fuori il coltello e sferrando coltellate all’impazzata contro di loro) avevano arrestato, solamente in giugno, in via dei Transiti, una dozzina di spacciatori africani, dieci del Gambia, uno del Sudan e uno del Mali: tutti fra i 20 e 25 anni e tutti richiedenti asilo. Ma c’è la guerra, c’è la carestia, in Gambia, nel Sudan e nel Mali? E se anche ci fossero, come mai i “profughi” sono sempre e solo dei giovanotti pieni di salute e di ormoni, quasi mai anziani o persone denutrite? E, soprattutto: vengono in Italia a chiedere lo status di rifugiati e si mettono spacciare a tempo pieno, addirittura in bande organizzate? Ma quale Paese serio potrebbe tollerare una simile infamia, una simile slealtà? Come: tu vieni a casa mia, dici di essere in fuga da pericoli gravissimi, e mentre io ti accolgo, ti ospito, ti nutro, mi occupo del tuo incartamento, il tutto gratis per te e a spese mie, tu mi ripaghi dandoti alla criminalità quotidiana? Tu fai circolare la droga che uccide i miei giovani, mentre sei ospite in casa mia, sistemato, vestito, assistito in casa mia? E tutto questo al ritmo di settecento reati al giorno: settecento, solo ad opera degli stranieri! E in tali situazioni ci sono dei giudici i quali non trovano di meglio che ammettere la pericolosità sociale di questi soggetti, ma rimetterli ugualmente in libertà, dopo che le forze dell’ordine, con loro rischio e pericolo, li hanno arrestati, e dopo che i loro colleghi del tribunale ordinario ne abbiano deciso la detenzione immediata? Ma che razza di Paese è questo, che funziona in questo modo? Un Paese dove i clandestini sono trattati coi guanti bianchi, e pur essendosi presentati in maniera illegale alle frontiere marittime, cioè appunto da clandestini (se bisognosi, è tutto da verificare), e se il ministro non è disposto a farli sbarcare immediatamente, pur non avendo negato loro alcuna forma di assistenza, lo si mette sotto inchiesta come un delinquente? Il delinquente è il ministro, mentre i clandestini sono già portatori di diritti, benché non solo non si tratti di cittadini, ma non si sappia ancora né chi siano, né da dove vengano, né se abbiano la benché minima probabilità di vedersi riconosciuto lo status di profughi, né infine, di quali malattie siano eventualmente portatori?

L’Italia, infatti, è il Paese dove chi viola la legge ha, per principio, più diritti di chi la rispetta. Se un clandestino si installa nella seconda casa di un cittadino italiano, provate a farlo sloggiare: il solito giudice di sinistra dirà che, non avendo altri luoghi dove andare, quel clandestino ha il “diritto” di rimanere a casa vostra, perché lui si trova in stato di necessità, voi no. Dunque, voi pagate fior di tasse sulla seconda casa, forse quella che vi hanno lasciato in eredità i vostri genitori, dopo una vita di lavoro onesto e di duri sacrifici, per mantenere gratis una famiglia di clandestini che voglia di lavorare non ne hanno, come non hanno intenzioni oneste,  e che arrotondano i proventi spacciando droga e rendendo invivibili i nostro condomini di periferia, i nostri quartieri dove un tempo si poteva girare senza paura, anche la notte. E se un capotreno si permette di far scendere alla prima fermata un clandestino che viaggia senza biglietto, subito un magistrato di sinistra apre un procedimento contro di lui (che si è preso pure un paio di ceffoni dal galantuomo africano) per abuso d’ufficio e Dio sa che altro. La dittatura del buonismo catto-comunista, appunto, imposto per legge.  La cultura buonista in cui siamo letteralmente immersi, alimentata dai cascami del marxismo in dissoluzione, ma rinvigorita da potenti iniezioni di uno spurio cattolicesimo di sinistra, e quotidianamente predicata e benedetta dal signore argentino che è stato eletto alla cattedra di san Pietro, ci ha ormai familiarizzati con l’assurdo. Visto da fuori, l’Italia è un Paese assurdo, un Paese masochista, un Paese che non si vuol bene, che fa di tutto per soffrire; ma noi, che ci viviamo, ci siamo pressoché abituati all’assurdità quotidiana. Ci siamo abituati ad avere almeno settecentomila clandestini in giro per le strade, secondo le fonti ufficiali, e a dire che siamo pronti e ben disposti ad accoglierne ancora chissà quanti altri: e a vivere di cosa, se non di spaccio, di furti, di rapine, di stupri, o anche peggio? Eppure, questo è quanto dice, tutti i santi giorni, il signore argentino vestito di  bianco; questo è quanto dicono i vescovi che si autodefiniscono (contenti loro) di strada; questo è quanto predicano dall’ambone decine e centinaia di preti sinistrorsi, che sfruttano l’abito che indossano e la cerimonia sacra per fare incessante propaganda a favore di questa quotidiana, silenziosa, inesorabile auto-invasione, con relativa sostituzione di popolazione, di religione, di civiltà, ossia con questa rapida islamizzazione dell’Italia (si vedano i dati demografici dell’ultima generazione, rispettivamente degli italiani e degli immigrati islamici).

Sappiamo tutti come è andata a finire la faccenda dei poveri profughi della Diciotti, quelli che sono costati l’incriminazione al ministro Salvini. Venti se li è presi l’Albania, venti l’Irlanda, tutti gli altri, in teoria, la Chiesa cattolica, nelle sue strutture, beninteso in territorio italiano: ma pochi giorni dopo erano tutti uccel di bosco. Identificati a Roma e in altre città, sono stati lasciati liberi, anzi, forniti di un documento di identità provvisorio. Liberi di andare dove vogliono, di fare quel che vogliono. Perché, come si è affrettato a dichiarare il responsabile della struttura di accoglienza di Rocca di Papa, da cui sono fuggiti (pardon, se ne sono andati, com’era nel loro pieno diritto), non si tratta di detenuti, quindi non potevano essere trattenuti contro la loro volontà. Questo dovrebbe aprire gli occhi ai buonisti in buona fede, ma certo non basta per i buonisti ideologici, quelli che preferiscono dare torto alla realtà piuttosto che alle loro chimere. Dei veri profughi, delle persone in buona fede, che abbiamo un minimo di dignità e di rispetto per il Paese che li ha salvati, che li ha accolti, che li ha presi in carico, non si comportano così. Ma loro se ne infischiano della gratitudine e non sanno cosa sia la dignità: per loro l’Italia è solo un trampolino, un corridoio, una via di transito. Vogliono andare in Francia, in Germania: dove poi, se verranno beccati, ce li rispediranno prontamente indietro. Con l’aggiunta della figuraccia di fronte al resto d’Europa: i soliti italiani che non sanno gestire i migranti, che li scaricano furbescamente in casa d’altri. Mettendoci dal lato del torto, quando abbiamo ragione da vendere su tutto il resto. Nessuno, però, di quei signori che erano andati sul molo di Catania a protestare contro il “sequestro” dei poveri migranti; nessuno dei signori in maglietta rossa che strepitano sempre contro la violazione dei diritti umani, ha avuto l’onestà e la decenza di scusarsi. Che i finti profughi siano spariti in quattro e quattr’otto, una volta messo piede a terra, per loro è una cosa naturalissima, e non c’è motivo di sollevare alcun problema. Loro non erano detenuti, dunque sono liberi di andare dove? Se passeranno le frontiere, entreranno illegalmente in altri Stati, i quali non sono larghi di manica come il nostro, e ce li rispediranno indietro; se resteranno in Italia, di cosa vivranno, se non violando la legge per mantenersi, come il povero pusher trentenne del Gambia? Il quale è venuto in Italia così anziano, disperato, così denutrito, così stremato da privazioni e pericoli, da non poter prendere neanche in considerazione l’idea di vivere nel Paese che lo ospita, rispettando le sue leggi, ma vendendo la droga che ammazza i suoi giovani.

Il problema, a questo punto, prima ancora dell’invasione africana e della folle politica della cosiddetta accoglienza, è, ancora una volta, la magistratura. Finché non verrà posta mano alla riforma della giustizia, l’Italia non si risolleverà mai, non tornerà neppure ad essere padrona di se stessa, della sua sovranità, delle chiavi di casa sua. Il problema più grave, in questo momento, è rappresentato dalla presenza e dall’onnipotenza di una super-casta di magistrati intoccabili e irresponsabili, liberi di fare tutto quel che vogliono e di imporre al popolo italiano la loro sovranità, anche incriminando i rappresentati eletti liberamente mediante le urne. E non solo producono danni materiali incalcolabili alla nostra economia – quale imprenditore straniero è invogliato ad aprire un’attività in un Paese che ha una simile magistratura? -, ma stanno anche decidendo il nostro destino a livello politico, sociale e culturale. Questi magistrati hanno una mentalità anti-stato: gli uni perché, da buoni meridionali, l’hanno sempre avuta, per retaggio secolare, gli altri perché, da buoni settentrionali laureati nelle università post-sessantottine, hanno sempre masticato ideologie di sinistra e odiano la società così com’è, sognano la rivoluzione, beninteso conservando tutti i loro spropositati privilegi. Sognano la società multietnica, ma conservando intatto il loro stile e tenore di vita; un po’ come i militanti dei vari movimenti LGBT sognano la Repubblica di Sodoma e Gomorra e, insieme, l’invasione islamica, e non si rendono conto che sarebbe la loro fine, visto quel che dice il Corano del loro modo di vivere, altro che matrimoni omosessuali e bimbi in adozione. Per non parlare delle signore femministe alla Boldrini: ci piacerebbe sapere quel che passerà loro per la testa quando l’islamizzazione e la negrizzazione dell’Italia saranno fatti compiuti, e loro non potranno più nemmeno uscir di casa da sole, tanto meno con la gonna corta e il capo scoperto.  Ma speriamo di non vederlo mai, quel giorno. Non per loro, che se lo meriterebbero, ma per noi tutti…