Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Sulla sua pelle

Sulla sua pelle

di Lorenzo Pennacchi - 16/09/2018

Sulla sua pelle

Fonte: L'intellettuale dissidente

Il nuovo film di Alessio Cremonini getta luce sugli ultimi giorni di vita di Stefano Cucchi: un ultimo, deceduto mentre era nelle mani dello Stato.
 

15 ottobre 2009, via Lemonia, Roma. Il trentunenne Stefano Cucchi viene fermato da una pattuglia di carabinieri, che lo trovano in possesso di ventuno grammi di hashish e due grammi di cocaina. Dopo la notte passata in caserma, viene processato per direttissima. In tribunale il ragazzo presenta difficoltà a parlare e a camminare, nonché evidenti ematomi agli occhi. Eppure, nessuno sembra accorgersene. Accusato di detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti, la sua difesa viene affidata ad un avvocato di ufficio e il giudice convalida l’arresto, nella misura di custodia cautelare al carcere di Regina Coeli, in attesa della prossima udienza. Le condizioni fisiche di Stefano peggiorano rapidamente. Una visita all’ospedale Fatebenefratelli permette di mettere a referto i numerosi traumi: lesioni alle gambe, frattura della mascella, emorragia alla vescica e due fratture alla colonna vertebrale tra le altre. Le condizioni del ragazzo continuano a deteriorare nel corso dei giorni e per questo viene ricoverato all’ospedale Sandro Pertini. Qui, il 22 ottobre, Stefano muore. Pesa trentasette chilogrammi, sei in meno di una settimana prima. In questo lasso di tempo, dal giorno del processo a quello della sua morte, la famiglia non è riuscita a mettersi in contatto con lui, a causa di procedure istituzionali diverse di ora in ora, tanto che il suo decesso viene comunicato loro attraverso la notifica per l’autorizzazione all’autopsia.

La famiglia Cucchi. Stefano, la sorella Ilaria, la madre Rita e il padre Giovanni.

Quella di Stefano Cucchi è una storia drammatica, una vicenda in grado di sollevare molti interrogativi e, purtroppo, ancora in attesa di troppe risposte. Chi la riporta si trova a chiedersi se e quanto il suo contributo possa risultare di aiuto a ciò che la famiglia Cucchi e gran parte della società civile ha atteso in questi anni: il riconoscimento della verità e l’applicazione della giustizia. Del resto, il rischio di strumentalizzare Stefano è sempre dietro l’angolo. Nonostante ciò, come ha sostenuto Ilaria Cucchi negli studi di La7 nel giugno 2013, in riferimento alla vicenda di suo fratello: l’unica arma è parlarne. Fortunatamente in questi anni se ne è parlato parecchio, a volte a sproposito certo, ma l’attenzione mediatica sul caso è rimasta costante, soprattutto grazie all’impegno della famiglia del ragazzo e dell’avvocato Fabio Anselmo.

Già nel 2011, infatti, viene realizzato il documentario 148 Stefano – Mostri dell’inerzia, diretto da Maurizio Cartolano. Il titolo si riferisce al fatto che Cucchi è stato registrato come il centoquarantottesimo deceduto all’interno delle carceri italiane nel 2009. Il lavoro, servendosi di una notevole quantità di contributi diretti, cerca di gettare luce sui fatti, nel corso dei primi anni di indagini, le quali si complicano maggiormente nel corso del tempo. La sentenza di primo grado (5 giugno del 2013) condanna sei medici del Pertini a differenti anni di reclusione, mentre assolve gli infermieri e le guardie penitenziarie. Tuttavia, la sentenza della Corte d’appello (31 ottobre 2014) assolve i sei medici precedentemente condannati. Dopo il ricorso alla Corte di Cassazione da parte della famiglia Cucchi, l’assoluzione degli imputati viene confermata il 16 luglio 2016. Parallelamente, nel luglio 2017, l’inchiesta bis porta al rinvio a giudizio dei cinque carabinieri presso i quali Stefano Cucchi è stato in custodia tra il 15 e il 16 ottobre. Decisive nel corso del processo risultano le dichiarazioni del carabiniere Riccardo Casamassima, con tutte le conseguenze ad esse correlate.

Il 29 agosto 2018 viene presentato alla 75ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia il film Sulla mia pelle, distribuito dal 12 settembre nelle sale cinematografiche e su Netflix. In una recente intervista il regista Alessio Cremonini sostiene che il suo non è un film politico. Il suo intento non è quello di sostituirsi alla magistratura, conferendo risposte preconfenzionate, bensì:

Quello di raccontare una storia con quello che di cui siamo oggettivamente sicuri. Quando leggevo le diecimila pagine di verbali dei processi con Lisa Nur Sultan (con cui ho scritto la sceneggiatura), ero sconvolto dallo stato fisico in cui versava Stefano Cucchi. E ho capito che mostrare quel percorso di sofferenza fosse la strada giusta per il film: Stefano Cucchi ha perso sette chili in meno di sette giorni e aveva due vertebre rotte. Insomma, volevo che lo spettatore seguisse passo passo il calvario di quel ragazzo e Alessandro Borghi è stato assolutamente straordinario nell’interpretarlo. È riuscito ad incarnarlo perfettamente.

Sulla mia pelle non vuole celebrare Stefano Cucchi come fosse un eroe, né portare lo spettatore a conclusioni affrettate. In poco più di un’ora e mezza molto intensa non fa versare lacrime di coccodrillo, ma fa emozionare sinceramente e allo stesso tempo ragionare sulle varie sfaccettature della vicenda. Permette di vivere il dramma dalla prospettiva di Stefano, mostrando le ripercussioni che questo ha prodotto sulla famiglia, la società e lo Stato. Come Ilaria ha dichiarato negli scorsi giorni il film racconta la morte di un essere umano che è diventato un ultimo. Del resto, nel corso degli anni ha più volte sostenuto come il fratello, in quanto tossicodipendente a più riprese, occupasse gli ultimi gradini della scala sociale. Questa condizione avrebbe portato ad un forte pregiudizio nei suoi confronti, sia nel corso della detenzione che durante le indagini e i relativi processi. Ancora oggi questo pregiudizio sopravvive all’interno della stessa società civile. Basta buttare un occhio ad alcuni commenti al post relativo al film sulla pagina Facebook di Netflix per capire di cosa si sta parlando.

Quella di Stefano Cucchi non è una storia unica nel suo genere, come testimoniano i casi di Federico Aldrovandi, Giuseppe Uva e molti altri. Stefano non era certamente un santo (l’accusa di spaccio è stata rafforzata dalle grandi quantità di hashish e cocaina ritrovate in un appartamento della sua famiglia, denunciate dai suoi stessi familiari nel novembre del 2009) e per questo avrebbe dovuto pagare per i suoi reati. Tuttavia, questo ragazzo è morto mentre era nelle mani dello Stato, l’organismo che dovrebbe garantire la tutela e il rispetto di tutti i cittadini, Stefano Cucchi e familiari compresi. Questo è un fatto, da cui non si torna indietro, che le sentenze giudiziarie potrebbero ulteriormente rafforzare. Per il momento, nove anni di processi dagli esiti parziali contraddittori e surreali continuano a non conferire giustizia a delle persone che, nonostante tutto, continuano a credere nel sistema, lottando con tutti i mezzi leciti per far emergere la verità, affinché la giustizia possa essere applicata. Sulla sua pelle è stato già fatto tanto, troppo. Sarebbe ora di dare delle risposte a chi le merita.