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Su in montagna per ritrovare i nostri luoghi dell'anima

di Giovanni Vasso - 17/09/2018

Su in montagna per ritrovare i nostri luoghi dell'anima

Fonte: Appenniniweb

Lungo i sentieri delle montagne, che attraversano - unendola - l'Italia, si legge di una storia lunghissima. Quella che parla lingue così antiche da sembrare fiabesche. Territori, luoghi e culture che superano ogni moda, ogni contemporeaneità. Semplicemente, esistono, rendendo obsoleto con la loro maestosa bellezza, il concetto stesso del fluire del tempo. Le nostre montagne, quelle che dall'Emilia corrono giù fino alla Calabria, sono gli Appennini. Proprio per raccontarli, è nata online una bella rivista che si chiama Appenniniweb. Il suo ideatore e animatore è Gian Luca Diamanti, ternano, fieramente umbro, e giornalista.

Cos’è e come nasce il progetto di Appenniniweb?

Appenniniweb è nato quando ho preso coscienza che gli Appennini sono la mia patria e che, dopo averci tanto camminato, forse era arrivato il momento di recuperare questo rapporto con la terra dei miei padri. Perciò mi è sembrato doveroso iniziare a parlarne, scriverne, raccontarli, per cercare di far capire che questa specie di spina dorsale dell’Italia, può essere in effetti la patria di molti. Una patria dimenticata, fisica, certo, ma anche del cuore e dell’anima. Ritengo infatti che il concetto di patria sia, come tanti altri concetti, in evoluzione. Patria è il luogo dove, dopo aver tanto vagabondato, ci si sente in sintonia con il territorio, dove il dentro fa pace con il fuori. Un poeta irlandese, Seamus Heaney, ha scritto questi versi: “I had my existence/I was there/Me in place and the place in me”. Ritrovare il luogo che ci appartiene di più, animarlo e cercare di dargli un futuro, facendolo rinascere prima di tutto dentro di noi. Questo forse è l’obiettivo di fondo di Appenniniweb che è iniziato come un blog, ovvero una raccolta di scritti, ma che sta evolvendo in una casa aperta sul web a tutti coloro che condividono la voglia di camminare insieme per i sentieri e i mille borghi d’Appennino, non solo con i piedi, ma anche con la testa, di raccontare, di condividere idee, progetti, emozioni generati dal contatto con questi luoghi.

Il mondo corre, impazzito, ad affollare le conurbazioni urbane. Perché la dimensione del borgo sta perdendo, in maniera quasi irreversibile, lo scontro con quella della metropoli?

Naturalmente per questioni economiche. La storia dello spopolamento delle cosiddette aree interne è legata al mito e al sogno del benessere cittadino. Un sogno in molti casi deludente, come capita spesso ai sogni dei migranti. Ma bisogna capire a quale economia si assegna la supremazia, se a quella finanziaria, dei bisogni indotti, dell’apparenza, piuttosto che all’economia della felicità, della bellezza, del dono e della condivisione. Il contrasto - che dura da molto - per me resta sempre tra società e comunità. La montagna, con i suoi spazi, il contatto con la natura che non sempre è benevola e con la scarsezza dei mezzi chiede, impone, un’organizzazione comunitaria e relativizza la potenza dell’individuo. La metropoli è il luogo (o il non luogo) dell’individualismo, dell’omologazione e della mercificazione, della quantità. Si tratta di un fenomeno irreversibile? Spero di no, ci sono segnali contrari, finalmente, e forse l’unica cosa davvero irreversibile nell’inconscio di ogni essere umano è il sogno (o il bi-sogno) di far parte di un gruppo di simili e di condividere orizzonti ampi, come quelli che si vedono dalle cime delle montagne, o dalla terrazza di un borgo, dove gli archetipi che danno un senso all’esistenza, a guardar bene, sono sempre in bella vista: nel modo in cui sono costruite le case e le chiese, nelle usanze e nei riti tramandati e da tramandare.

È possibile un ritorno alla terra, nel nostrocaso, ai “monti”? Quali idee sarebbero utili a capovolgere la situazione e a ripopolare le aree interne?
Di certo sarebbe sciocco pensare a un ritorno verso il mondo montano e le aree interne, con l’idea di ritrovare o di ricreare il passato. Se siamo andati via e proviamo a ritornare, lo facciamo portando con noi le esperienze accumulate altrove. Se arriviamo qui per la prima volta, spesso lo facciamo per scelta, o per aver capito i limiti di altri tipi di vita. La montagna ora però non solo è spopolata, ma spesso è in abbandono, priva dei servizi di base, per la salute, l’istruzione, e persino molti pascoli non sono più utilizzabili. Direi che servono spirito da pioniere e una politica di incentivi. Oltre a questo occorrono progetti innovativi, legati alla ricettività, all’artigianato, ai prodotti della natura, all’agricoltura di qualità, all’allevamento, alle eccellenze che vengono dalla tradizione. Tutto questo deve essere accompagnato dalle nuove tecnologie, la rete e il commercio on line per esempio. Che qui potrebbero far pace con la terra e con la realtà…
“Gente incatenata alle sue montagne, ma con una catena dorata, quella dell’Appennino, che – in effetti – è l’unica catena al mondo capace di rendere liberi”. In che modo l’Appennino disegna l’identità italiana? Ed è davvero possibile un dialogo tra zone distanti centinaia di chilometri ma accomunate dalla montagna? C’è un sostrato culturale che accomuna tutto l’Appennino?

Paolo Rumiz, con un’espressione efficace e fortunatissima, ha definito gli Appennini come i “monti naviganti”, una catena lunghissima protesa in mezzo al Mediterraneo. In effetti si tratta di qualcosa di eccezionale, non solo dal punto di vista geografico, del paesaggio, ma anche della biodiversità. Nella storia d’Italia tutto è iniziato tra queste montagne, che sono dunque il cuore della nostra patria. Perciò penso che oggi gli Appennini siano prima di tutto un grande serbatoio culturale, o – se preferisci – una sorgente incontaminata alla quale attingere. Sulle montagne, in gran parte spopolate resta la parte più vera e genuina del carattere degli italiani; il genius loci delle montagne, dei valichi, delle forre, dei paesi e delle pievi, in parte abbandonati, o sconquassati dai cento terremoti che li tormentano periodicamente,  è quello stesso che ha ispirato la più grande arte e letteratura italiane. E sta ancora lì, perché fa parte di quei luoghi e in qualche modo ispira ancora il modo di vivere di tutti coloro che sono restati e che sono tornati, il loro carattere, da Nord a Sud dalla pietra di Bismantova e dal passo della Cisa fino al Pollino e all’Aspromonte. Giovanni Lindo Ferretti fa bene, in questo senso a proclamarsi prima di tutto montano, poi appenninico e infine italiano. Quindi sì, può nascere un comune spirito di appartenenza all’Appennino che vada oltre la divisione tra Nord e Sud. In questo senso l’Italia potrebbe essere tenuta insieme proprio da questa catena, che però – paradossalmente – potrebbe renderla di nuovo libera.

In Campania c’è l’Irpinia e il Sannio che a Roma hanno dovuto soccombere. Forse anche sotto il profilo della memoria storica, archeologica e culturale. È davvero così?
Come dice il mio amico Nicola Mastronardi che ai Sanniti ha dedicato un bellissimo romanzo storico (Viteliù, il vento della libertà), i popoli italici e quindi soprattutto i Sanniti stessi, ma anche gli Irpini, i Sabini non solo sono stati i principali antagonisti di Roma, ma pur nella sconfitta hanno fortemente influenzato lo stile di vita, la cultura e il modo stesso di combattere dei Romani. D’altra parte sono stati i pastori che scendevano dall’Appennino alle origini stesse di Roma e sono stati questi fieri popoli appenninici a riunirsi per la prima volta in una lega che si è data il nome di Italia. L’eredità culturale appenninica e italica è ancora oggi fortissima, solo che tendiamo a rimuoverla e a soppiantarla con altre culture che mal si accordano, inevitabilmente, con la tutela e il rispetto delle nostre montagne e del nostro territorio, non sono armoniche, perché essendo nate altrove o frutto della globalizzazione preferiscono l’idea (o l’ideologia) del non luogo.

Quali sono per te i luoghi, fisici o letterari, iconici dell’Appennino campano?
Ho fatto conoscenza con l’Appennino campano grazie a delle guide d’eccezione, Vinicio Capossela innanzitutto, del quale amo moltissimo musica e scrittura. Lo Sponz Fest di Calitri è un’esperienza di immersione totale nel territorio dell’Alta Irpinia, nel paese dei coppoloni e in tutta la galassia dei piccoli borghi bellissimi a volte vuoti, ma sempre pronti a raccontarti storie, se hai orecchie allenate. Poi ci sono stati i libri di Franco Arminio, la sua paesologia e le atmosfere e i problemi dei paesi tra Lacedonia e Candela. A livello personale sono rimasto meravigliato dalla bellezza straordinaria, dalla purezza dei paesaggi e dall’ampiezza degli spazi (perfino quando sono invasi dalle torre eoliche) che francamente nel mio pezzo d’Appennino centrale raramente incontro. Uno dei territori che ho apprezzato di più è quello al confine tra Campania e Basilicata. Un entroterra verde, con caratteristiche che fanno davvero pensare a una Contea tolkieniana, come hai scritto recentemente anche tu, e che è abitato da gente tosta, appenninica, appunto. Dove bisogna per forza tornare…