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La società libertina non può che autodistruggersi

di Francesco Lamendola - 27/09/2018

La società libertina non può che autodistruggersi

Fonte: Accademia nuova Italia

 

 

Uno dei tratti salienti della anti-civiltà moderna è il libertinismo, inteso non solo come assoluta licenza sessuale, ma anche come libertà negativa del pensiero, che rivendica ogni forma possibile di libera esplicazione delle pulsioni dell’individuo, a cominciare, ovviamente, dalla sfera sessuale. Quindi è qualcosa di più complesso e raffinato della semplice sfrenatezza sessuale: è una filosofia di vita che proclama il diritto, e quindi la liceità, di tutti i comportamenti che danno piacere all’individuo. È una forma di estremismo intellettuale che si riflette direttamente nell’esasperazione della vita sessuale: se il mio io è il centro e il fine di ogni cosa, allora posso concedermi ogni forma di esperienza, a cominciare proprio dalla sfera sessuale, suscettibile di procurarmi piacere o di accrescerlo oltre i limiti normali. C’è, tuttavia, un altro aspetto, non meno tipico, dell’anti-civiltà moderna, destinato a confliggere fatalmente con questo: l’ossessione democraticista e la regolamentazione dei diritti civili, non del singolo individuo, ma dell’individuo in generale, cioè dell’Uomo, così come è stato concepito a partire dal giusnaturalismo: una strana creatura artificiale, che nasce già fornita di diritti dal ventre di sua madre, come la dea Atena nasce già adulta ed armata dalla testa di Zeus.

Uno dei pilastri del politically correct è la pretesa inderogabile che il sesso sia sempre “rispettoso”, che non si configuri in alcun modo come violenza, e, soprattutto, che la donna – beato femminismo – sia sempre un soggetto assolutamente alla pari con il maschio, ammesso e non concesso che abbia voglia del maschio e che non preferisca le altre donne oppure la soddisfazione solitaria (dal momento che nella cultura oggi imperante è del tutto impensabile che esista un’altra possibilità, quella di vivere in maniera casta, specialmente se non si hanno legami affettivi profondi con alcuno). Ma che succede se i due partner vogliono una certa percentuale di violenza, e sia pure di violenza rituale, nel loro rapporto sessuale? Che succede se, in particolare, la donna vuole essere presa brutalmente, vuole essere maltrattata, vuole essere legata, vuole essere sodomizzata, e così via? Come distinguere la violenza consensuale da quella che consensuale non è, e dunque è violenza a tutti gli effetti e brutalità a tutti gli effetti? Esiste una netta linea di separazione fra le due cose? E, soprattutto: una cultura che erotizza tutto, anche la pubblicità della pastasciutta o del detersivo, che esaspera l’eros, che predica la liberazione degli istinti, che esorta alla trasgressione continua e che deride, come repressione e censura, tutto ciò che sa di limitazione, di continenza, di morigeratezza, una cultura che incita addirittura a scatenare tutte le proprie voglie, ad abbattere le frontiere della morale, a emanciparsi da qualunque regola o forma di soggezione, come fa, dopo aver lasciato briglia sciolta agli impulsi primordiali, a porre dei limiti, a stabilire dei confini, a pretendere il rispetto di certe norme ben precise, senza cadere in flagrante contraddizione con se stessa, come colui che pretenda di avere, nello stesso tempo, la botte piena e la moglie ubriaca? Non è forse vero che una società, nella quale si predicano, contemporaneamente, il rispetto più rigido dei diritti civili e una sempre maggiore libertà nella sfera dell’erotismo, finisce per creare un corto circuito fra gli uni e l’altra, una situazione d’inestricabile sovrapposizione di diritti ad altri diritti, nella quale è arduo, per non dire impossibile, trovare il bandolo della matassa? E non è forse vero che stuzzicare e ridestare gli istinti sessuali più profondi e, sovente, anche i più “proibiti”, equivale ad aprire la gabbia dei leoni, cosa che poi rende incongruo il grido d’allarme di chi si trova le belve feroci libere di girare per il salotto di casa, o meglio, la camera da letto?

Così scrive la psicoterapeuta americana Esther Perel, figura assai nota alla televisione statunitense, nel suo libro L’intelligenza erotica, in un capitolo significativamente intitolato Democrazia contro sesso bollente (titolo originale: Matting in Captivity, 2006; traduzione dall’inglese di Valentina Daniele, Milano, Ponte alle Grazie, 2007, pp. 82, 83-85):

 

Alcune delle caratteristiche migliori dell’America (la fede nella democrazia, l’uguaglianza, la costruzione del consenso, la lealtà e la tolleranza reciproca), se portate con troppo puntiglio in camera da letto, possono dare come risultato un sesso molto noioso. Il desiderio sessuale e il senso civico non giocano secondo le stesse regole. E pur rappresentando una delle più grandi conquiste della società moderna, l’egualitarismo illuminato può esigere un prezzo troppo alto nel regno dell’erotismo. (…)

La dura realtà della violenza, dello stupro, del commercio sessuale ella pornografia infantile e dei crimini violenti richiede un polso fermo sugli abusi che pervadono la politica del sesso. La poetica del sesso, tuttavia, è spesso politicamente scorretta, e si nutre di giochi di potere, rovesciamento dei ruoli, vantaggi sleali, pretese imperiose, manipolazioni seduttive e sottili crudeltà. Gli uomini e le donne americani, formati dall’eredità del movimento femminista e dai suoi ideali egualitari, speso affrontano queste contraddizioni  con difficoltà. Temiamo che giocando con gli squilibri di potere del sesso, anche se all’interno di una relazione consensuale tra adulti, si rischi di distruggere il rispetto essenziale dei rapporti umani.

Non sto in alcun modo auspicando u’inversione di rotta nella storia o un percorso antifemminista. Qualsiasi discorso sulla coppia moderna e sulla sessualità sarebbe perversamente sbagliato se non riconoscesse l’enorme e salutare influenza del femminismo sulla forma della vita familiare americana. Il movimento delle donne ha cercato di eliminare disuguaglianze di genere profondamente radicate e di portare alla luce le strutture che perpetuavano la dominazione maschile in tutti gli ambiti della vita, sessualità compresa. Ha sfidato il doppio principio che da un lato incoraggiava la sperimentazione sessuale da parte dei maschi, vista perfino come necessario momento dello sviluppo, e dall’altra vietava la stessa curiosità alle donne. Lo steso doppio principio pretendeva la lealtà sessuale delle donne, chiudendo un occhio sulle scappatelle degli uomini perché “sono fatti così” (ci sono ancora paesi in cui un uomo può assassinare la moglie infedele senza ripercussioni legai di alcun tipo. In alcune culture, ucciderla è l’unico modo di riabilitare l’onore della famiglia).

Le differenze di genere  e conseguenti tabù e divieti sono stati considerati a lungo alla stregua di imperativi categorici, con origini biologiche e pertanto immutabili. Il femminismo ha dimostrato che questi indiscussi truismi e caratterizzazioni erano, in effetti, costruzioni sociali che rafforzavano un ordine di genere consolidato, che ovviamente favoriva gli uomini Libri come “Our Bodies”, “Ourselves” e “The Women’s Room” puntarono a restituire alle donne il senso della proprietà sessuale, sul piano sia legale sia psicologico, e ad affrancarle dalle costrizioni che avevano governato la sessualità femminile. Il piacere sessuale femminile non poteva essere liberato finché le donne non fossero state relativamente al sicuro dai pericoli tradizionali e molto reali associati al sesso. Malattie a trasmissione sessuale, stupri e gravidanze indesiderate portavano non solo vergogna ma anche rovina, e il parto recava sempre la minaccia della fatalità.

Le prime femministe erano molto più interessate all’argomento della sovranità sessuale  che non a quello del piacere. Una cosa alla volta, pensavano. Finché gli uomini dominavano completamente la vita economia e politica, finché le donne dipendevano economicamente dagli uomini, finché il peso della cura dei figli ricadeva interamente sulle spalle delle donne  (facendo vacillare anche le coppie più paritarie), non si poteva parlare di sessualità femminile liberata. È innegabile che le femministe americane abbiano ottenuto risultati cruciali in tutti questi aspetti della vita delle donne, e senza di loro nessuna vera libertà, sessuale o di altro tipo, sarebbe stata concepibile.

Ma questi risultati hanno portato con sé anche delle conseguenze inaspettate. Senza voler denigrare queste storiche conquiste, sono convinta che l’enfasi su un sesso paritario e rispettoso, purgato di ogni espressione di potere, aggressione e trasgressione, sia antitetico al desiderio erotico tanto per le donne che per gli uomini.

 

Se ci siamo dati la pena di riportare questa noiosissima e banalissima pagina di prosa, scritta da un cervello di gallina pescando nel serbatoio delle divine scempiaggini del politicamente corretto made in America, vincendo il fastidio per la melensa insulsaggine di ogni frase, di ogni concetto e di ogni singola parola, è stato per poter evidenziare fino a che punto questa paccottiglia ideologica arrivi a modellare la testa delle persone possa sostituire alla facoltà di pensare dei meri riflessi condizionati, come per il cane di Pavolv. Da buona americana moderna e da buona femminista, l’Autrice non è mai sfiorata dal dubbio che, dopotutto, la donna americana e l’ideologia femminista sono due maniere di concepire la sessualità e il ruolo della donna, storicamente determinate e prodotte da un certo tipo di società, e  non dei valori assoluti e metafisici. Per fare un esempio, la sola idea di come vivono abitualmente le donne saudite o pakistane farebbe inorridire queste signore del politicamente corretto, per le quali esiste una sola parola adatta a descrivere quella condizione: schiavitù. Una volta dato per scontato che l’unica maniera “giusta” di essere donna e di vivere la sessualità è quella della donna americana, moderna e femminista (da ciò le ridicole deformazioni dell’immagine della donna americana pre-moderna: si pensi a certe versioni cinematografiche de La lettera scarlatta di Hawthorne, che stravolgono completamente la figura della protagonista e il senso della storia stessa), la nostra Autrice si lancia gioiosamente un tutta una serie di riflessioni che sono per metà una captatio benevolentiae verso le femministe, alle quali rende omaggio per gli impagabili servigi che hanno reso al “progresso”, e per l’altra metà una cauta critica a certi “eccessi” del femminismo medesimo e, più in generale, della cultura esasperata dei diritti civili individuali, perché rischiano di guastare i piaceri più piccanti che le coppie possono concedersi in camera da letto. Tutto ciò è incredibilmente sciocco, povero e meschino, anche solo dal punto di vista intellettuale. E si noti con quanto stupore, dopo la lunga tirata per garantirsi una patente di femminismo che le consenta di avanzare, poi, le sue caute critiche, l’Autrice si dice meravigliata da certi effetti collaterali della cultura del politicamente corretto. Si rilegga la frase: È innegabile che le femministe americane abbiano ottenuto risultati cruciali in tutti questi aspetti della vita delle donne, e senza di loro nessuna vera libertà, sessuale o di altro tipo, sarebbe stata concepibile. Ma questi risultati hanno portato con sé anche delle conseguenze inaspettate. Inaspettate? Sì, per i perfetti idioti. Attizzare le fiamme dell’erotismo e stimolare in ogni modo possibile la sensualità, dall’abbigliamento alla musica leggera, passando per ogni aspetto possibile e immaginabile della vita pubblica e privata, produce conseguenze “inaspettate” allorché scatena gli istinti che, invece, una società ordinata e sessualmente autodisciplinata sa tenere a bada o indirizzare verso forme accettabili? Qui si vuole davvero la moglie ubriaca e la botte piena. Il cinema, in particolare, che negli Stati Uniti e nei Paesi culturalmente americanizzati forma l’immaginario collettivo, ha condotto un’immane operazione di livellamento sessuale, in omaggio all’ideologia femminista: non c’è bisogno che sia un film erotico, può essere anche un thriller o un film di fantascienza. Sempre, a partire dalla rivoluzione femminista, esso è anche un pulpito d’indottrinamento dal quale si predica incessantemente che la sessualità è una proprietà personale, specie per la donna (l’Autrice parla addirittura di “sovranità sessuale”; buffa espressione, oggi che il “sovranismo” è diventata un’ideologia politicamente scorretta), e guai a chi la tocca; però, nello stesso tempo, si fa di tutto per accendere le fiamme del desiderio dell’altro e per stimolare le fantasie erotiche più sfrenate. È come voler appiccare il fuoco in un fienile e poi aspettarsi di poter “disciplinare” le fiamme a piacimento: nossignori, andrà a fuoco tutta la baracca, e lo capirebbe chiunque, tranne un perfetto idiota.

La signora qui citata vorrebbe il massimo squilibrio di potere sotto le lenzuola, perché ciò stimola nuove sensazioni erotiche, ma il massimo rigore paritario fuori di esse: un vero e proprio sdoppiamento della personalità. Non funziona così, care femministe. Il sesso, specie se isolato dall’affettività e ridotto a mera ricerca del piacere, è dinamite: non potete giocare con esso senza che qualcuno si faccia male. L’Autrice rivendica le splendide conquiste femministe contro gli stupri, le violenze, ecc.; ma noi ci permettiamo di domandare: perché, nell’America progressista e femminista di oggi, stupri non ce ne sono più? Ed è questo il modello che gli americani, nella loro incommensurabile presunzione e stupidità, vorrebbero esportare, con le buone o con le  cattive (cioè a suon di bombe) in tutto il mondo. Abbiamo visto di cosa son capaci. Per liberare le povere donne oppresse nelle altre culture, sono capaci di scatenare guerre e massacri (a meno che la loro politica estera  desideri altrimenti: vedi il caso dell’Arabia Saudita, della quale le femministe americane, chissà perché, non parlano mai in pubblico). La verità è un‘altra: considerare la sessualità come una proprietà da gestire autarchicamente, al solo fine del proprio piacere, porta di necessità, oltre che alla politica dell’aborto sistematico, nonché all’incoraggiamento di ogni forma di perversione, anche all’implosione del sistema. La gentile Signora cerca di tracciare dei confini sulla sabbia del mare, compito penoso e assurdo: qual è il confine fra i desideri oscuri della donna “liberta” dal femminismo (ma anche dell’uomo, se è per questo) e la violenza vera e propria, che lei giudica del tutto inaccettabile? Si prenda il romanzo di Jenny Diski Ossessione pericolosa (1986): finché la donna è consenziente, le va bene di essere maltratta, umiliata, soggiogata anche fisicamente e, si capisce, sodomizzata; ma quando l’uomo si mostra poco sensibile ai suoi, chiamiamoli così, bisogni interiori, si vendica facendolo sorprendere dalla polizia in una delle loro abituali messe in scena sadomasochiste, facendolo apparire come un estraneo che si è introdotto in casa sua, mascherato, per abusarle di lei, e facendolo arrestare come un criminale. Meschina e sleale vendetta di una donna che ha voluto giocare col fuoco e non ha saputo far di meglio che giocare con l’uomo per alimentare le proprie fantasie, e poi gettarlo via quando si è accorta che quel gioco non le piaceva più. Ma una donna, che si fa solamente corpo per un gioco erotico nel quale l’uomo svolge la parte del bruto, può restare onestamente delusa di non essere presa in considerazione come persona, come essere spirituale, e sentirsi defraudata perché l’uomo non le offre una relazione sessuale “paritaria e rispettosa”? Contrariamente a quel che pensano le signore femministe, anche in questo caso la vera vittima è l’uomo, non la donna; è l’uomo che viene strumentalizzato, perché crede di avere il potere, e invece, come sempre, il potere ce l’ha la donna. Alla fine i poliziotti lo arrestano e lo portano via come un malfattore, e lei, povera vittima sfruttata e indifesa, si gode il suo trionfo. Più potere di così. Ma che cosa stava facendo, il tapino, in quel momento? Quel che aveva fatto decine di altre volte, su invito e sollecitazione di lei. Alla faccia della coerenza e della lealtà, e con tanti saluti al rifiuto dei giochi di potere nella coppia.

Care femministe, volete un consiglio? Smettetela di inseguire il miraggio di una “liberazione sessuale” a senso unico e del tutto staccata dall’affettività: provate a pensare un poco di più all’amore, all’uomo come leale compagno di vita, alla maternità, alle gioie della famiglia; forse ci troverete più appagamento che in tutte le vostre folli scorribande, vissute quasi solo con la fantasia oppure messe in pratica, ma, guarda caso, tanto spesso con risultati assolutamente disastrosi, per voi stesse e per gli altri. Ci permettiamo inoltre di fare una facile profezia: continuando a predicare e a praticare la liberazione degli istinti sessuali più fantasiosi, arriveremo ben presto, anzi ci stiamo già arrivando, al “nodo” della pederastia e della pedofilia. Se il minorenne o la minorenne sono consenzienti, perché no, why not?, come dite voi? Però, perfino voi andrete male a discernere quando si tratta di consensualità e quando di violenza bella e buona. Non c’è niente da fare: la società libertina è destinato a implodere; e non sarà un bello spettacolo, possiamo starne certi. Ma ad accendere la miccia della deflagrazione, siete state proprio voi.