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Populismo, sovranismo e miliardi alla povertà… il coraggio uno se lo può dare

di Rosanna Spadini - 29/09/2018

Populismo, sovranismo e miliardi alla povertà… il coraggio uno se lo può dare

Fonte: Comedonchisciotte

All’inizio dell’ottavo capitolo dei “Promessi Sposi”, il nostro Don Abbondio, quello che il “coraggio uno non se lo può dare”, mentre stava leggendo un libro per caso, gli capita di leggere il nome di un filosofo per caso “Carneade chi era costui?”, di cui lui non conosceva nulla, se non che forse l’aveva sentito nominare almeno una volta lungo il pavido, inutile corso della sua vita.

Ora noi potremmo dire la stessa cosa… la “politica” che razza di animale è? Un sarchiapone che inquieta solo a nominarlo, o un unicorno uscito da una sorta di bestiario contemporaneo. Se la politica il coraggio non se lo può dare, a cosa serve? Ora sembra che il governo giallo/verde di coraggio ne abbia da vendere, determinato a liberarsi dalle sacche finanziarie in cui è stato cacciato.

Manovra demagogica ha detto qualche barbagianni in tour mediatico, dimenticando che invece il DEF ha rappresentato finalmente l’affermazione della politica sulla finanza, sfidando la maglia di veti e vincoli europei, che hanno contribuito ad aumentare il livello di povertà in Italia, ridotta a fanalino di coda dell’UE.

Demagogica al contrario è stata la politica dell’UE, che ha raccontato bufale a partire dal trattato di Maastricht, ha introdotto il prolisso e delirante trattato di Lisbona, imposto ai popoli europei dopo che Francia e Olanda avevano bocciato la costituzione, adottato una moneta unica che ha massacrato l’economia dei paesi Piigs, definiti con un termine dispregiativo per la prima volta dopo la Seconda Guerra Mondiale, utilizzato un sistema finanziario terroristico, composto di una BCE privata, uno spread da golpe, agenzie di rating che condannano o assolvono gli stati, come vestali protettrici dell’unico dio denaro, e imbrogli continui da parte del paese “locomotiva”, che in realtà ha disegnato Maastricht a proprio uso e consumo, producendo il surplus più alto del globo, con politiche inflazionistiche e protezionistiche, proibite a tutti gli altri membri.

Proprio la Germania, che dopo due guerre mondiali combattute per l’egemonia in Europa, ora l’ha ottenuta tramite una moneta unica ed un surplus da record.

Altri gufi e  strigiformi tuonano e fulminano dallo Spiegel “L’Italia sta pianificando un’orgia di spesa per i prossimi tre anni e continuerà ad aumentare il suo debito già gigantesco.”

Il loro mestiere da mestieranti è quello di inquinare il senso comune, di avvelenare i pozzi del nuovo Zeitgeist che avanza, per difendere il potere liberista che ha dominato finora ed ancora domina nelle catacombe del deep state.

Tuttavia la sfida del governo populista è iniziata e proseguirà con determinazione finché ci saranno le condizioni per farlo. Non solo è stato snobbato il ministro Giovanni Tria, che voleva limitare il deficit all’1,6 per cento, ma con lui anche la Commissione europea.

“Il messaggio dall’Italia è chiaro: sfidiamo l’Europa“, afferma Guntram Wolff, direttore dell’influente think tank Bruegel.

Anche dal Parlamento europeo sono arrivate aspre critiche. Il vice della CSU Markus Ferber ha parlato di “uno schiaffo in faccia alla Commissione europea”. L’Italia dovrebbe avere “un chiaro impegno a ridurre il deficit del bilancio strutturale”. Ignorando tutto ciò, Di Maio e Salvini “portano l’Italia sempre più vicina al limite dell’abisso”.

Poi il presidente del Parlamento italiano, Antonio Tajani, si è detto molto “preoccupato”. I bilanci governativi “non aumenteranno l’occupazione, ma rappresentano un problema per il risparmio degli italiani”. L’eurodeputato verde Sven Giegold ha descritto il bilancio italiano come “non solo economicamente irragionevole, ma anche contro le leggi europee”.

I mercati hanno già reagito a modo loro. Alla Borsa di Milano, i titoli di stato italiani hanno avuto il loro peggior momento in tre mesi. Lo spread così detestato è balzato al livello più alto delle ultime tre settimane. L’Italia dovrà pagare tassi di interesse significativamente più alti per i suoi debiti, vecchi e nuovi.

L’obiettivo di deficit al 2,4% del Pil per il triennio 2019-2021 è stato comunque una scelta necessaria e coraggiosa, perché anche se non significativamente espansiva, tuttavia può risollevare l’economia reale, in particolare la domanda interna, secondo riconosciuti parametri keynesiani, e in contrasto con quelli del Fiscal Compact.

Evita soprattutto il tradimento delle promesse elettorali del voto del 4 Marzo, affidando speranze e risposte alla prepotente domanda di riscossa sociale delle periferie e delle classi medie, proponendo un possibile riscatto alla demolizione dei diritti sociali imposta dalle deliranti politiche eurocratiche degli ultimi anni.

L’obiettivo scritto nella Nota di Aggiornamento al Def non dovrebbe essere rischioso per la stabilizzazione del debito pubblico, perché la crescita dovrebbe essere assicurata, favorita dall’aumento della massa monetaria in circolazione, grazie alla quale il debito pubblico si trasforma quotidianamente in ricchezza privata… e il debito lo si ripaga solo attraverso una crescita economica progressiva.

La reazione della BCE e il comportamento dei principali acquirenti dei nostri Titoli di Stato sono  ancora tutti da prevedere. Ma l’UE non può fare a meno dell’Italia e l’ultimo giudizio di Pierre Moscovici, che dopo aspre critiche ha cercato una mediazione, lascia ben sperare: “Il provvedimento è fuori dai paletti UE, ma allo stato attuale non c’è interesse ad aprire una crisi con il governo italiano e nemmeno a far partire una procedura che porti a sanzioni”.

I governi di Stati Uniti, Russia e Cina visitati di recente dai nostri Ministri economici e dal Presidente del Consiglio, per i loro interessi geo-politici nel vecchio continente, azioneranno le leve dei loro potenti fondi più o meno sovrani?

Si apre un dibattito inedito, ma finalmente, ritorna il primato della politica sull’economia, condizione necessaria, per affermare il primato della sovranità costituzionale.

Così come ha detto il premier Conte alla conferenza dell’ONU “Quando qualcuno ci accusa di sovranismo e populismo, amo sempre ricordare che sovranità e popolo sono richiamati dall’Art.1 della Costituzione italiana, ed è esattamente in quella previsione che interpreto il concetto di sovranità e l’esercizio della stessa da parte del popolo”.



E giustamente ha richiamato la comunità internazionale alle responsabilità nei confronti dell’Italia soprattutto nella gestione dei migranti, perché da anni è stata lasciata sola nelle operazioni di soccorso e salvataggio nel Mediterraneo di molte migliaia di persone, che così sono state sottratte alla morte.

Sovranismo, populismo e Costituzione sono state le parole chiave del suo discorso, per rimarcare in questo modo il cambio di rotta della politica italiana.

Inaspettatamente anche il presidente della Regione Puglia Michele Emiliano ha commentato: “Il Pd non può difendere interessi lobbistici, deve tornare a essere un partito di popolo. Deve cambiare giudizio anche su questa manovra, che è di sinistra”.



Insomma sembra sia passato un secolo dalla notte del 27 maggio, quando Sergio Mattarella aveva appena rispedito al mittente la squadra dei ministri proposta da Lega e M5S.  Mattarella faceva resistenza e tentava di mettere in pista un nuovo governo Cottarelli, che non sarebbe stato votato da nessuno, tranne forse che dal Südtiroler Volkspartei, poi le cose si ricomposero con un compromesso (forse anche con una spintarella trumpista), con la nomina di Giovanni Tria al MEF, al posto di Paolo Savona. Un nome di tutta tranquillità, un professore che doveva garantire il Colle, che doveva frenare le turbolenze del governo, ma che sembrò accettabile dalla maggioranza giallo-verde.

Alla fine il ministro Tria, che ha passato mesi a garantire il rispetto dei vincoli, ha dovuto cedere ed è stato costretto ad accettare il deficit al 2,4%. Orrore orrore ! Ma di che cosa parliamo? Se sotto i governi liberisti abbiamo avuto i seguenti rapporti Deficit/Pil: 2011 al 3,5%, 2012 al 3,0%, 2013 al 2,9%, 2014 al 3,0%, 2015 al 2,6%, 2016 al 2,5%, 2017 al 2,3% … e comunque il debito pubblico è progressivamente aumentato. Oggi però tutti a stracciarsi le vesti e a gridare al rischio bancarotta per un 2.4 %.

Il percorso della manovra è solo all’inizio, e magari il 2,4% sarà sfondato, però finalmente una manovra che ridistribuisce reddito tra i cittadini bisognosi e rifiuta di fare il bankomat delle banche (85 miliardi negli ultimi 6 anni).

In queste prime ore di schizofrenia politico mediatica, dove i media massacrano il governo, che invece continua a mantenere un alto consenso popolare, c’è almeno un aspetto inequivocabile: la sfida all’UE è solo all’inizio, vedremo quale sarà il limite del coraggio. Per il momento se Bruxelles  boccia in tronco la manovra regala consenso ai populisti, se la approva sconfessa i vincoli di bilancio. In ogni caso le vie verso la dissoluzione sono molteplici e le prossime europee potrebbero cambiare tutti gli equilibri del vecchio continente.