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No, Steve Bannon non è l’uomo nero. Ma vincerà facile, contro l’Europa degli happy hour

di Fulvio Scaglione - 06/10/2018

No, Steve Bannon non è l’uomo nero. Ma vincerà facile, contro l’Europa degli happy hour

Fonte: Fulvio Scaglione


È vero, l’ex stratega della campagna elettorale di Trump vuole condizionare la politica mondiale (e perfino quella della Chiesa). Ma il suo movimento è molto meno ricco e potente di altri movimenti pro-establishment. E se l’Occidente vira a destra è inutile gridare “al lupo al lupo”


«Finisci la minestra, sennò chiamo Steve Bannon!». Non ci siamo ancora ma da qui a maggio 2019, mese delle rose, del culto mariano e delle cruciali elezioni europee, c’è il tempo sufficiente a trasformare lo spin doctordella campagna elettorale di Donald Trump, rapidamente epurato una volta raggiunta la Casa Bianca, nel re di tutti i babau, nell’uomo nero più nero che c’è. Certo, l’idea di arruolarlo ai vertici dell’Istituto “Dignitatis Humanae”, fondato nel 2008 e operante da Roma dal 2011, e di fargli corsi di formazione per una classe dirigente cattolica orientata “a destra”, è un tocco da maestro nella costruzione del mito. Il consiglio consultivo del prestigioso Istituto è presieduto da sua eminenza Raymond Leo Burke, considerato uno dei cardinali più conservatori della Chiesa cattolica e in ogni caso uno degli autori (con gli altri cardinali Caffarra, Brandmueller e Meisner) dei Dubia fortemente critici, alle soglie dell’obiezione di coscienza, nei confronti dell’Esortazione apostolica “Amoris Laetitia” in cui papa Francesco apriva alla comunione per i divorziati risposati. Più che sufficiente, in un mondo che l’idea sul Vaticano e sulla Chiesa se la fa attraverso i romanzi di Dan Brown, per disperdere un sulfureo aroma di diavolo immerso nell’acqua santa, evocare congiurati in tonaca e piani segreti per mutare le sorti del cattolicesimo, e infine trascurare il piccolo fatto che la Chiesa è abituata a deglutire e digerire personaggi (tra i quali molti Papi) ai quali dieci Bannon non farebbero il solletico.
Ma non importa, non stiamo a sottilizzare. Bannon, come si sa, si sta trasferendo nella vecchia Europa con il fiero proposito di consegnarla alle destre populiste. Ha incontrato Salvini, ha visto l’ex protagonista della Brexit Nigel Farage, è in contatto con Marine Le Pen, s’intende bene con Orban e la sua idea di Ungheria, ha spalancato le braccia a Mischael Mondrikamen del Partito popolare del Belgio, va d’accordo con Filip Dewinter dei nazionalisti fiamminghi, adora Jimmi Akesson dei Democratici svedesi. Tutti prima o poi da infilare in The Movement, la “cosa” inventata da Bannon che punta a federare i diversi movimenti europei e a dar loro una base organizzativa comune.
Sia detto senza ironia o spregio: The Movement somiglia un po’, nella filosofia, ad Al Qaeda. Che in arabo vuol dire “la base” e che Osama bin Laden aveva concepito proprio come un hub che distribuisse principi e direttive a gruppi poi capaci di colpire in autonomia. Bannon ha sempre detto di essere sconcertato dal fatto che così tanti partiti e movimenti che, in Europa, condividono idee simili o assimilabili non abbiano mai provato a unire gli sforzi. E di essere soprattutto stupito per i risultati che in alcuni Paesi sono stati ottenuti (nel Regno Unito con la Brexit, in Italia con il successo della Lega Nord) con investimenti ridotti. E si è detto: chissà dove arriverebbero, questi signori della destra nazionalista e populista, se avessero qualcuno che gli dà i sondaggi giusti, distribuisce le parole d’ordine, li aiuta a spendere meglio fondi più abbondanti. E giù con l’obiettivo: un bel 30% di parlamentari nazionalisti e populisti nel prossimo Parlamento europeo, così da condizionare la vita politica dell’intera Unione. Altro che uomo nero…
Si è anche detto che The Movement vuol essere l’alternativa alla Open Society di George Soros. Ed è proprio qui che il film “Bannon distrugge l’Europa” comincia a incepparsi. Perché se Bannon è la destra e Soros la sinistra, allora bisogna dire che la sinistra è molto, molto più ricca. La Open Society ha un budget superiore al miliardo di dollari per il solo 2018 e dal 1984, cioè da quando ha aperto i battenti, ha distribuito alla più diverse cause nei più diversi Paesi la bellezza di 32 miliardi di dollari. Chi glielo dà un miliardo di dollari, per cominciare le attività, a Bannon? Trump? Putin? Babbo Natale?
Ma poi il punto non è nemmeno questo. Bannon è di sicuro capace di imprimere un certo spin alle campagne elettorali delle nuove destre europee. Ma finché la questione nazionalista-sovranista-populista verrà affrontata come se fosse un’improvvisa alluvione di aspiranti Mussolini, una lunga sfilata di spiriti autoritari che va da Salvini a Orban, da Caio a Sempronio, da Pinco a Pallino, spinta dai tweet e da una rinnovata vocazione fascista, chi ambisce ad affrontarli e ridimensionarli non caverà un ragno dal buco.
Intanto per banali ragioni di buon senso. La Storia non è un eterno ritorno al passato. Certo, conserviamo la memoria, giusto. Ma credere che l’Europa vecchia e viziata di oggi, reduce da quasi un secolo di pace, somigli a quella degli anni Venti, tormentata dalla crisi economica e dai rancori di una fresca guerra mondiale che, tra militari e civili, aveva fatto almeno venti milioni di morti, ecco, come dire, sa un po’ di sciocchezza.
Non solo: ma quanto pensate che contino le tristi memorie, nell’animo di un ragazzo che oggi ha 25, cioè che è nato nel 1993, quando non c’era nemmeno più l’Unione Sovietica? E poi, continuare a dire agli ungheresi, o anche solo a quei quasi 6 milioni di italiani che hanno votato Lega nel marzo scorso, che sono dei fascisti trinariciuti ignoranti razzisti e beceri, dovrebbe servire a farli “rinsavire”? O serve solo a farli incazzare ancor più?
Ma soprattutto, è clamorosamente perdente l’idea che il successo delle nuove destre europee (ma dovremmo dire mondiali, visto che nel mazzo di solito mettiamo anche Trump, Putin e chissà chi altro) sia il prodotto delle paure irrazionali di una massa di buzzurri e delle manovre della famosa serie di piccoli dittatori di cui sopra. Non è così. Milioni di persone, nel continente, hanno cambiato idea politica: dobbiamo pensare che erano intelligenti prima e si sono instupidite di colpo? Che erano razionali perché votavano X e sono irrazionali ora che votano Y?
Andiamo, siamo seri. Anzi, siamo un po' meno paurosi, diciamo le cose come stanno. Almeno alcune. Per esempio, che ci sono misure di “destra” che oggi tutti, in Europa, si trovano ad applicare, per esempio la chiusura dei confini. Perché i Paesi che non sono populisti-sovranisti-nazionalisti, per esempio Spagna e Francia, si chiudono dentro quasi come se fossero una qualunque Ungheria? Qual è, oggi, la vera proposta non populista-sovranista-nazionalista al problema dei flussi migratori, che non sono un’emergenza ma una condizione del mondo contemporaneo?
Un’altra cosa: abbiamo buttato nella spazzatura le ideologie e rifiutato le radici cristiane dell’Europa. Ok. E che cosa ci è rimasto, se non un’ideologia del benessere intrisa di perbenismo e savoir faire? Purtroppo dal 2008 il benessere non è più quello di una volta per tanti mentre è cresciuto a dismisura per pochi. Stupisce che anche il savoir faire stia andando a farsi benedire? E che rinascano idee politiche che, belle o brutte che siano, hanno un po’ più fascino di quella di andare in pensione finché si può e un po’ più di nerbo dell’ennesima happy hour?