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Il delirio dei suoi leader fa marcire l’Europa

di Claudio Risé - 08/10/2018

Il delirio dei suoi leader fa marcire l’Europa

Fonte: Claudio Risé


Emmanuel Macron abbracciato a due galeotti delle Antille è il simbolo della
sottomissione del Vecchio Continente. Jean Claude Juncker barcollante al
vertice Nato quello di una Ue che non si regge in piedi. Al confronto il ballo di
Theresa May è un inno all'incoscienza e all'audacia.

Le immagini presentano con pochi tratti, personaggi, oggetti, interi mondi. Per
raccontarli non basterebbero lunghi trattati. Invece le immagini ci riescono,
perché in esse si rivela la realtà, la "nuda vita", qualsiasi siano le intenzioni e
le circostanze dei personaggi ripresi. Le persone si fanno fotografare con le
loro pose, le loro smorfie, i loro gesti, più o meno studiati. Ma qualcosa
sfugge e racconta la storia, quella vera. Che rende subito falsa, o
penosamente parziale, quella ufficiale, cui fa da impietoso sottotesto e
controcanto. Il fatto è che, come diceva Carl Gustav Jung: "l'inconscio si
esprime per immagini e con esse racconta storie che nessun concetto
saprebbe riassumere". Sono soprattutto il cuore e l'anima a coglierle, spesso
infastiditi dalla inaspettata e cruda verità dell'immagine.
Quelle che in questi giorni si sono riversate in poche ore sugli schermi di
computer e smartphone non sono solo "immagini a volte impressionanti"
come ha detto il ministro degli Interni Matteo Salvini a proposito del
barcollante Junker, "capo del Governo di 500 milioni di europei". Esse vanno
infatti a comporre un affresco storico e sociale ben più inquietante se riunite
alle molte altre di potenti o potentissimi, che le hanno precedute o seguite nel
giro di poche ore, o giorni. È un intero mondo (buona parte dell'Europa), in
sgradevole, morbosa decadenza.
I grandi giornali fanno i superiori e deplorano i "personalismi". Sacrosanta
attenzione. Per stare però solo all'ultimo video di Jean Claude Juncker,
quella era la riunione del Consiglio direttivo della Nato, l'alleanza militare
dell'Occidente, a cui Juncker partecipava come Presidente dell'Europa. Non
un incontro tra amici, ma quanto di più pubblico e ufficiale ci sia.
Poi, certo, le immagini riassumono appunto una situazione, con tutti i relativi
aspetti simbolici, e politici. Juncker, lì, era il Presidente dell'Europa che "non
sta in piedi", alla riunione del Direttivo della Nato. Alleanza che opera in un
settore, quello militare, dove la lucidità mentale e l'autodisciplina svolgono un
ruolo centrale. La pena per il caso umano, che nessuno desidera trovarsi su
uno schermo da cui si aspetta invece notizie politiche, non può cancellare il
significato simbolico-pratico della questione: l'Europa-che-non-si-regge-inpiedi
perché alterata dalle autoindulgenze dei potenti incapaci di prendersi la
responsabilità del proprio ruolo verso i cittadini e il resto del mondo.
Come sempre poi, i simboli sono tutt'altro che astratti, ma fedeli
rappresentazioni della realtà. Infatti, chiunque si prenda la briga di andare a
vedere le statistiche della salute in Europa può vedere che l'alcolismo,
assieme alle droghe, a cominciare dalle "leggere" come la cannabis, con i
suoi cloni sintetici, sono in testa alle preoccupazioni dell'Organizzazione
Mondiale della Sanità e degli altri Istituti scientifici. Tutti oggi molto
preoccupati, tra l'altro, per la crescente diffusione dell'alcol tra i giovani, nella
forma dura e direttamente autodistruttiva del binge drinking: il bere fino a
(appunto) "non stare più in piedi", onta inaccettabile di qualsiasi solido
bevitore con buonsenso. Juncker che non riesce a reggersi in piedi è
un'offesa e un attentato al duro lavoro dei migliaia di ottimi vignaioli d'Europa
che producono i vini più buoni del mondo per fare stare bene e vivere
felicemente i cittadini (oltre che naturalmente guadagnare).
Questa triste e penosa immagine viene soltanto peggiorata dal fingere di
nulla dei media, come dall'altrettanto imbarazzante corte degli altri "Grandi"
europei. Fantasmi incerti, ritratti in questi video mentre girano intorno a
Juncker (da loro nominato per la seconda volta presidente quando di queste
immagini se ne erano già viste altre), con un sorriso sghembo e falso, privo di
pietas, di dignità, di responsabilità verso chi li ha eletti. Sono consapevole di
dire ovvietà visibili a chiunque, ma anche preoccupato per non averle ancora
lette altrove.
In queste tristi, storiche immagini, appare però un problema molto più ampio,
e per nulla esclusivo di Jean Claude Juncker, ma sistemico. Come ci
raccontano altre immagini. Ad esempio quella di Emmanuel Macron, in visita
alle Antille francesi. Dove si è fatto fotografare mentre posa con aria eccitata
accucciato tra due ragazzoni antillesi prepotenti e arrabbiati. Uno dei quali,
appena uscito dal penitenziario locale, fa le corna e l'altro, sulla cui spalla
nuda il presidente francese quasi appoggia il capo, fa il dito medio (in
francese "doit d'honneur"). Un'immagine sintetica della "sottomissione" oggi
in atto, di cui tutto parla, dai romanzi alla saggistica.
Alle polemiche subito seguite alla diffusione della foto Macron ha risposto
arrogantemente: "Amo ogni figlio di Francia, non importa quali stupidaggini
abbia fatto".
Questa battuta-rivendicazione è detta da un Capo di stato la cui popolarità è
caduta ai minimi storici (al 30%), dopo il 1 maggio, quando un altro "figlio di
Francia", Alexandre Benalla, capo ventisettenne della sua scorta e di tutte le
sue apparizioni in pubblico, è stato ripreso da un video mentre pestava con
forsennata violenza due giovani dimostranti, senza smettere malgrado le
suppliche, travestito da poliziotto (in mezzo alla polizia vera che peraltro lo
lasciava fare). Il presidente rimase a lungo in silenzio mentre la Francia (terra
di satira malgrado lo sterminio islamista dell'intera redazione di Charlie
Hebdo), si riempì subito di vignette e battute su Macron e la guardia del
corpo), e naturalmente richieste di chiarimenti. Finché a una riunione coi suoi
deputati Macron si decise a annunciare: "Benalla non è il mio amante e non
ha la valigetta nucleare". Partì comunque un'inchiesta sulle molte irregolarità
dell'accaduto, tra le quali il fatto che il ministro dell'Interno, Gérard Collomb,
non sapesse neppure dell'esistenza di quel ragazzo (con casa, autista e altri
benefit a carico dell'Eliseo) che dirigeva dall'A alla Z le apparizioni del
Presidente della Repubblica.
Ora però (potere delle immagini), il ministro Collomb appena vide la foto del
presidente alle Antille e la sua dichiarazione d'amore per tutti i figli di Francia
"malgrado le loro stupidaggini", annunciò le dimissioni (altri due ministri
importanti si erano dimessi nelle due settimane precedenti). Qualche giorno
dopo, al passaggio di consegne al ministero, Collomb sarà più eloquente: "La
situazione è molto degradata". Parlava dei quartieri "sensibili", degli
immigrati, ma sembra pensare anche ad altro. E continuò: "Si impone
arrogantemente la legge del più forte, quella dei narcotrafficanti e degli
islamisti radicali, che ha preso il posto della Repubblica". Il ministro concluse
il suo incarico con una oscura profezia: "oggi viviamo fianco a fianco. Temo
che domani saremo uno contro l'altro". Altro che le indulgenze sovraeccitate
del presidente.
In confronto a tutto questo l'immagine di Theresa May che avanza verso il
palco del congresso dei conservatori danzando Dancing Queen degli Abba è
vagamente surreale, ma certo meno sinistra di quelle dei suoi colleghi
europei. Questa è l'Inghilterra di sempre, che ora va verso il suo futuro di
Brexit con un misto di incoscienza e di audacia, ma anche con il suo ideale di
libertà e con l'impegno della testarda figlia del pastore metodista May: forse
non un genio ma una donna che ogni mattina alle 6 entra nel suo ufficio, in
Downing street. Non solo sta in piedi ma danza, su rispettabili anche se solidi
tacchi. Chissà se potrà mantenere la promessa di considerare chiusa
l'austerità (che in Inghilterra si è sentita comunque assai meno che qui,
perché lì la lira sterlina c'è ancora e la Bank of England ha continuato a
stamparla). Ma almeno vuole farlo, e la cosa non scandalizza nessuno.
È ora l'Europa che deve cambiare il film, e quei suoi protagonisti.