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Tutti i media sono al servizio delle élite

di Francesco Lamendola - 18/10/2018

Tutti i media sono al servizio delle élite

Fonte: Accademia nuova Italia

Su un canale Mediaset, la domenica mattina, c’è un programma religioso tenuto da un giovane sacerdote elegante e disinvolto, che parla, sorride, gesticola esattamente come la versione in clergyman di Alberto Angela: fa venire in mente un divulgatore scientifico, o un presentatore di talk-show, tutto tranne che la spiritualità, il raccoglimento, la preghiera. Parla, e intanto intervista il direttore dello storico settimanale cattolico, fondato da don Giacomo Alberione: il quale, guarda caso, tiene il suo giornale sottobraccio, e la telecamera fa continuamente lo zoom sulla copertina, in modo che il titolo resto bene impresso nella mente del telespettatore. Be’, che c’è di strano? Dei preti che parlano di cose religiose, alla televisione: normale, no? Un momento, forse non proprio normale. Quel Berlusconi che ha ripetuto per vent’anni che l’Italia era minacciata dai comunisti e dai post-comunisti, e che su quel ritornello ha costruito le sue sciagurate fortune politiche (ci si perdoni l’ossimoro: sciagurate per noi, fortunate per lui), ora impresta le sue reti a uomini e idee tipicamente progressisti, a cominciare dalla neochiesa del signore argentino, che sta mietendo successi, da quando è stato indegnamente e illegalmente eletto, col parlar male del cattolicesimo, col criticare la Chiesa e col deridere i cattolici che non capiscono, né approvano le sue novità (o a commissariarli, come ha fatto, fin quasi da subito, coi francescani e le francescane dell’Immacolata, e senza che mai alcuno gliene chiedesse la ragione: unanimismo alla bulgara di sovietica memoria). E non è proprio normalissimo che un giornale ridotto ormai a boccheggiare, un giornale che un tempo vendeva milioni di copie, perché i cattolici lo riconoscevamo come il loro giornale, mentre adesso non lo comprano neanche se lo vedono chiesa, anzi, in molti avrebbero voglia di non vederlo affatto, da quando si è messo a far politica e a parlar pochissimo di religione, e a scagliare fulmini contro una certa area politica, nonché a concedere rubriche fisse ad eretici conclamati, nonché falsi preti e teologi improvvisati, i quali, pur non essendo nemmeno dei veri preti, sono stati investiti di suprema autorità proprio dal signore argentino,  non è  cosa proprio normalissima, dicevamo, che un giornale il quale sta evaporando per mancanza di lettori, se ne venga in tv a farsi una sfacciata propaganda, con la scusa del programma dedicato alla religione, all’interno del quale c’è pure la santa Messa: pubblicità commerciale neanche tanto camuffata. E del resto, non c’è molta sostanza nemmeno nei discorsi “religiosi” di quei signori, come non ce n’è affatto in quelli del signore argentino che sta in Vaticano. La verità è che non riescono proprio a farli: a loro viene spontaneo parlare solo di migranti, di inclusione, di diritti civili, di veglie contro l’omofobia, cioè di sostegno alle lobby gay, dentro e fuori la Chiesa: per la semplice ragione che il cattolicesimo, per loro, è roba vecchia e stravecchia, superata e meritevole di oblio. Logico, del resto, dal momento che Dio – parola del signore argentino – non è mica cattolico. E soprattutto non è normale che Berlusconi, che alle prossime elezioni prenderà il 4 o il 5% dei voti, continui a detenere tre reti televisive nazionali, cioè quasi il 50% della televisione nazionale, per influenzare gli italiani; e non è neppure normale che, dall’alto di queste percentuali ridicole, i signori di Mediaset, braccio armato di Forza Italia, o di quel che resta di essa, concedano tutto quello spazio a un giornale il quale, di cristiano, non ha più nulla, tranne il nome, che peraltro si dà da solo.

Passando alla RAI, ecco la corrispondente rossa da New York, una giornalista che si mise irresistibilmente in luce allorché, nel 2003, registrò per prima l’arrivo dei carri armati americani nel centro di Baghdad, ed era così scalpitante ed entusiasta, non si sa se di aver fatto lo scoop oppure di assistere ad un sì lieto evento, che rintronò gli orecchi dei telespettatori con le sue stridule grida di: Eccoli, eccoli; arrivano, arrivano!, con un entusiasmo veramente incontenibile, più o meno come un arbitro di calcio che getta la maschera dell’imparzialità e si mette a tifare apertamente per una delle due squadre in campo. Perché è una persona sincera, e la sua idea di come si fa giornalismo l’ha fatta capire lei stessa, la sera in cui fu costretta a dare il funereo annuncio che Trump aveva vinto le elezioni presidenziali statunitensi, ribaltando tutte le previsioni, e la signora Clinton le aveva perse. Costernata, ancora incredula, boccheggiante e balbettante, si lasciò sfuggire di bocca questa inverosimile domanda, come se stesse parlando a se stessa: Ma dove si andrà a finire, se noi giornalisti non riusciremo più nemmeno a influenzare il voto degli elettori? Eh, già, incredibile: dove andremo mai a finire?  Non c’è più religione. Ora, quella signora è il frutto evidente di una Rai che, nel corso degli anni, non ha premiato la carriera dei giornalisti più bravi, ma dei più fedeli ai partiti politici, e specialmente al più politicizzato – ci si scusi il bisticcio - di tutti: il più antico, il più radicato nel territorio, nei sindacati, nelle cooperative, il più ammanicato col potere, con le lobby finanziarie, con le multinazionali, con la BCE, e soprattutto col palazzo; infine, il più giusto, il più bello, il più etico, il partito della giustizia e della moralità, il partito che lotta sempre per la civiltà e che da sempre si batte contro la barbarie, l’oscurantismo, il razzismo e il fascismo. Un partito che sta perdendo consensi alla velocità con cui un iceberg fonde quando arriva alle basse latitudini: e fonde perché i suoi elettori, disgustati, non lo votano più, non sanno più che farsene, si sono accorti di esser stati presi in giro per molti, troppi anni. Intanto, però, la fama di partito etico, di partito dei buoni, di partito dei giusti, gli è rimasta, non gliela leva più nessuno: ed ecco spiegato perché quella signora, da New York, non ha mai dedicato un servizio, da quando Trump è andato alla Casa Bianca, che non fosse per dire quanto gli americani detestano il nuovo presidente, di quanto il Congresso lo disprezza, di quanto la magistratura lo ritiene un personaggio indegno e lo vuole incriminare, e di quanto la stampa è unanime nel condannare ogni cosa che egli dice e che fa. È logico, perché Trump rappresenta le forze del male, mentre l’area politica da cui proviene la nostra giornalista è quella del Bene: dunque, è chiaro che lei ha il preciso dovere morale di mettere in guardia, ogni santo giorno, contro il male che si insediato al vertice della superpotenza americana. In fondo, il suo stipendio viene dal popolo, come quello di Tito Boeri: e dunque, come potrebbe restare insensibile al grido di dolore (anche se inespresso) di tanti italiani, costretti a genere e soffrire sotto un governo antidemocratico, xenofobo, pericoloso, che sta trascinando l’Italia verso l’estrema rovina? Che un servizio giornalistico dovrebbe semplicemente informare di quel che un governo fa, e anche, in misura proporzionale, di quel che fa l’opposizione, ma senza prender posizione in maniera così sfacciata, così faziosa, così arrogante, non le è mai passato per la testa. Perché avrebbe dovuto? I buoni non hanno l’obbligo di contenersi essendo buoni, possono fare e dire tutto quel che vogliono. Sono gli altri, i cattivi, i populisti, i razzisti, che devono tacere, perché dovrebbero vergognarsi. Loro sì, che non avrebbero il diritto di parlare: anche se hanno vinto le elezioni.

Strana situazione: destra (Berlusconi) e sinistra (Pd) sono concordi nel criticare spietatamente un governo che è stato eletto democraticamente dal popolo, che sia quello italiano o quello americano. Stranissimo, perché questo era il cavallo di battaglia di Berlusconi: mi ha eletto il popolo, cosa volete di più? Ora, però, i direttori di Mediaset cantano un’altra musica; e anche quelli delle tre reti Rai, unite, per la prima volta nella loro storia di lottizzazioni decennali, nella doverosa crociata contro il nemico comune: il governo eletto dal popolo. Questa è la nemesi sia per il berlusconismo, sia per il progressismo: dover dare torto al popolo, perché il popolo, per la prima volta, è stato cattivo, cioè non ha ascoltato loro. Ha votato in un altro modo, non ha ascoltato i loro consigli, le loro esortazioni, neppure le loro minacce, sibilate a denti stretti. E adesso bisogna punirlo, bisogna sculacciarlo, bisogna metterlo in castigo. Bisogna farlo sentire in colpa. Il governo giallo-verde ha varato la sua manovra economica, sfidando i voleri della BCE? Ebbene, bisogna terrorizzare gli italiani, profetizzando sciagure inenarrabili, distruzione dei risparmi, infelicità delle famiglie, ulteriore indebitamento per tutti, nascituri compresi. Il popolo deve essere ricondotto alla ragione: altrimenti si monta la testa e la prossima volta voterà ancora “peggio” del 4 marzo scorso. Li manderà a casa definitivamente. Ed ecco che coloro i quali rappresentano, messi tutti insieme, da destra e da sinistra, non più di un quarto dell’elettorato italiano, disponendo tuttavia del monopolio pressoché assoluto dell’informazione, scendono in campagna elettorale tutti i giorni, con ogni servizio, con ogni articolo, con ogni intervista, con ogni talk-show. Ecco che i signori di destra e di sinistra si trovano concordi nel descrivere il sindaco di un comune calabrese, posto agli arresti domiciliari per gravissime irregolarità nella gestione dei migranti, tracciano il quadro commovente di un sindaco meridionale, campione intrepido dell’accoglienza diffusa e della vera integrazione, un santo, un ideale cui tutti dovrebbero ispirarsi; un così nobile personaggio che subito il famoso scrittore di sinistra, abituato a sentenziare su tutto e su tutti, scende in campo in sua difesa, lo assolve senza bisogno di prove, e si scaglia con parole di fuoco contro i suoi ignobili persecutori”. Ed ecco quei signori mandare in onda interi programmi per sostenere l’innocenza di un condannato per lo stupro e l’omicidio di una ragazzina giovanissima, giudicato colpevole anche in Corte di Cassazione, oltre ogni ragionevole dubbio: perché il loro garantismo deve essere a trecentosessanta gradi e bisogna far passare l’idea che i giudici e i magistrati sono buoni e giusti solo quando assolvono, mai quando condannano; a meno che aprano inchieste a carico dei ministri del governo in carica, per punirli di aver voluto porre un freno all’invasione africana e asiatica, pianificata da scafisti e ONG, e spacciata per accoglienza e disponibilità umanitaria. Non sia mai che qualcuno si permetta di mettere i bastoni fra le ruote alla realizzazione del Piano Kalergi, che sta procedendo alla grande: oh, pardon, volevamo dire, a questa magnifica gara di solidarietà verso quei disperati che fuggono da guerra e fame e cercano qui da noi un futuro migliore, e invece trovano questi ceffi di leghisti, populisti e razzisti, bramosi d’infrangere i loro sogni e di trasformano in un incubo, per mezzo delle loro politiche anti-umanitarie.

Ci sarebbe poi un settimo canale nazionale, né Rai né Mediaset, il quale, per un po’ di anni, ha fatto credere di rispecchiare una “terza via”, di non essere appiattito né sulle posizioni dell’una, né su quelle dell’altra. Ma ora anche per lui i nodi son venuti al pettine: in tempi di guerra guerreggiata, la guerra della finanza contro i popoli, si deve prender velocemente una posizione, questo settimo canale l’ha presa, eccome, però fingendo di non averla presa, di essere sempre “aperto” e imparziale, di non essere sottomesso alle logiche tradizionali, di voler mantenere un proprio giudizio libero e autonomo di qualsiasi cosa accada. Sarà. Tutti vedono, però, che se la squadra femminile italiana di pallavolo si copre di gloria per le sue gesta internazionali, la telecamera non ha occhi che per le due uniche atlete di colore, e i microfoni sono solo per loro, come se le altre fossero semplice tappezzeria; che se un sindaco della Lombardia chiede che anche gli stranieri, che mandano i loro figli all’asilo, si sottomettano alle stesse regole degli italiani, cioè presentino la loro situazione patrimoniale affinché si possa accertare se hanno realmente diritto alla tariffa agevolata per la mensa dell’asilo (due euro invece di cinque), si sprecano i servizi che parlano di un sindaco razzista, tanto crudele da voler lasciare i piccoli stranieri senza mangiare, oppure, orrore degli orrori, costretti a mangiare il cibo portato da casa; e che invita quotidianamente, nei suoi interminabili salotti di confronto politico, una nettissima maggioranza di ospiti ferocemente contrari al governo, e una sparuta minoranza di suoi sostenitori, il tutto sotto titoli di questo genere: Perché  il governo vede complotti dappertutto?, che sarebbero perfino comici, se non fossero, invece, infinitamente squallidi e ipocriti.

Conclusione: abbiamo un sistema dell’informazione, sia pubblica che privata, schierato al 99% contro il governo giallo-verde, a difesa di un 25% scarso di elettori che, se domani si andasse alle urne, voterebbero per il Pd e per Forza Italia. Il 25% degli elettori è rappresentato, alla televisione, alla radio e sulla stampa, dal 99% delle testate: non è curioso, questo fatto? Non è leggermente in contraddizione con le regole, quanto meno teoriche, che dovrebbero vigere in democrazia? Ora, sappiamo bene di vivere nella civiltà della notizia, dell’immagine, dell’apparenza: e costoro controllano quasi completamente le notizie, le immagini, le apparenze; in breve, controllano il Discorso. Ciononostante, non riescono più a controllare il voto, come finora era avvenuto. Come è scappato detto alla balda signora da New York: Ma dove si andrà a finire, se noi giornalisti non riusciremo più nemmeno a influenzare il voto degli elettori? Inaudito: vuoi vedere che gli elettori si stanno svegliando; che i popoli si stanno riscuotendo; che la gente sta uscendo dallo stato d’ipnosi in cui era stata ridotta? E vuoi vedere che il fatto di disporre del 99% dell’informazione non basterà più alle minoranze per imporre il loro volere, i loro interessi, le loro politiche, alla maggioranza? È una stagione completamente nuova, quella che si sta aprendo. C’è un risveglio delle coscienze, un ritorno della fierezza e della speranza nel futuro; c’è voglia di battersi. Lo aspettavamo da una vita...