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Dobbiamo regolare i conti con i nostri “inglesi”

di Francesco Lamendola - 31/10/2018

Dobbiamo regolare i conti con i nostri “inglesi”

Fonte: Accademia nuova Italia

Berto Ricci, l’anarchico passato al fascismo che volle andare in Africa a combattere e che trovò la morte a Bir Gandula, in Cirenaica, il 23 febbraio 1941, mitragliato da due aerei inglesi, ci vedeva chiaro e non faceva sconti a nessuno, neppure a se stesso: era un “puro”. Uno che la cultura di sinistra se lo può sognare; tanto è vero che i suoi eroi e i suoi martiri se li è dovuti cercare fra personaggi estremamente ambigui, come Carlo Rosselli, o sanguinari, come Longo e Pertini, o cinici, come Togliatti, o voltagabbana, come i vari Moravia, Vittorini, Malaparte, Zangrandi, tutti specializzati nel salto della quaglia al momento giusto. Fondatore della prestigiosa rivista L’Universale, Berto Ricci collaborò a numerosi giornali; fu un intellettuale rigoroso, esigente, tutto d’un pezzo, “calvinista”: il contrario del classico intellettuale italiano armiamoci e partite; uno che i suoi conti li pagava di persona, fino all’ultimo centesimo. Ricci era convinto che ci fossero due categorie di nemici da combattere: gli inglesi “di fuori” e quelli “di dentro”. I primi erano quelli della sterlina (e del dollaro), delle banche, del capitale finanziario che strangola le nazioni libere per farle schiave; i secondi sono i parassiti italiani che fingevano di aderire al regime, ma solo per acquistare e mantenere poltrone e privilegi, eterni parassiti che non credono in nulla se non nei loro comodi, servitori pronti a vendersi a qualunque potere pur di far carriera e ritagliarsi spazi ove vivere di rendita. Col 10 giugno 1940 egli ebbe chiara la necessità di sconfiggere gli inglesi “di fuori” per poi tornare a casa e far pulizia degli “inglesi di dentro”: senza questa seconda operazione, la vittoria non sarebbe stata completa, e l’Italia sarebbe stata sempre insidiata da una forza interna maligna, cancerogena, amorale, dalla quale bisogna aspettarsi di tutto, perché non ha principi ma solo ambizioni, non ha un’etica ma il culto narcisista di se stessa. Lui ce l‘aveva coi finti fascisti, con gli opportunisti e i pescecani, con i leccapiedi e i camaleonti, con gli uomini per tutte le stagioni che non conoscono la parola dignità, perché il solo altare davanti al quale s’inginocchiano è quello del loro tornaconto. Soltanto che, probabilmente, aveva sbagliato l’analisi: prima bisogna coprirsi le spalle dagli “inglesi di dentro”, e solo poi si può combattere contro quelli “di fuori”.

Oggi che l’Italia è di nuovo in guerra, ed è sotto attacco (e chi non l’ha capito è fuori della realtà), si ripropone l’eterno problema degli “inglesi”, quelli di fuori e quelli di dentro, che hanno palesemente un fine comune: stroncare il tentativo dell’Italia di rialzare la testa, di sottrarre il collo al cappio della finanza usuraia, di riguadagnare un poco di autonomia e di sovranità economica, di respingere le pressioni e i ricatti delle grandi banche e specialmente della Banca Centrale Europea. Questa volta gli inglesi “di fuori” sono i signori di Bruxelles, i banchieri come Draghi e i loro proconsoli come Juncker e Moscovici, e i capi di Stato e di governo al servizio di questo potere invisibile, ma estremamente reale: i Macron, per esempio, che i nostri Renzi e Gentiloni hanno il coraggio di presentare ai loro amici e simpatizzanti come personaggi “di sinistra”, solo perché sono ferocemente contrari al tentativo dei popoli di riprendersi almeno in parte la sovranità che è stata loro scippata, e che essi, perciò, bollano come fascisti, populisti, xenofobi e razzisti. Ed ecco che subito si fanno riconoscere gli inglesi “di dentro”: sono i rancorosi superstiti della sinistra, i Martina, i Renzi, le Boldrini, generali disfatti e senza esercito, falliti politicamente e ideologicamente, sbugiardati dai fatti, scaricati dagli elettori, grotteschi, impresentabili, patetici; e, dall’altro lato, i Tajani, le Gelmini, per non parlare dello stesso Berlusconi, sempre più simile a una mummia che cammina, sempre più imbarazzante nelle sue smorfie di ottantenne rifatto più e più volte, nei suoi sorrisi al silicone, nelle sue farneticazioni solitarie rivolte a una folla che si è dissolta, a dei fan che si sono squagliati, a un partito di plastica che non esiste più. Gli inglesi “di dentro” sono, però, soprattutto gli amministratori pubblici che remano contro e che fanno politica da mattina a sera, come Boeri; o i ministri che sono stati piazzati nel governo solo per ostacolarlo, come Tria; o i direttori dei telegiornali che invitano e intervistano trenta volte al giorno delle perfette nullità, come Cottarelli o come Grasso, degli intellettuali falliti e spompati come Cacciari e Galimberti, dei soloni del politicamente corretto come Saviano e Camilleri, per non parlare dei monsignori e dei preti di strada che inneggiano al signore argentino abusivo e che contrabbandano una pseudo chiesa gnostica e massonica per la vera Chiesa cattolica; e di uno stuolo di giornalisti incredibilmente faziosi, sfrontati, bugiardi, di inviati speciali e di corrispondenti fissi con l’attico a New York e il Rolex al polso, quelli che indossano le magliette rosse quando un giudice palermitano si sveglia una mattina e mette sotto inchiesta il ministro degli Interni per sequestro di persona, a causa dell’altolà agli sbarchi di finti profughi da lui deciso per ristabilire un minimo di sovranità sul territorio nazionale e frenare, per quanto possibile, l’invasione vera e propria che da vent’anni stiamo subendo, con la connivenza dei nostri governanti (e del nostro neoclero apostatico).

Questi, sono gli eterni inglesi “di dentro”. Tipi come Oliviero Toscani, i quali suggeriscono che Salvini potrebbe finire appeso a Piazzale Loreto. I radical chic che pontificano di integrazione e multiculturalismo; quelli che fanno causa ai giornali che li criticano, per ridurli al silenzio colpendoli con multe colossali; quelli che si battono per la sacra causa della civiltà, come il diritto di un uomo di sposare un altro uomo, chiamandolo “marito”, e di farsi chiamare “lei”, come si addice a una vera signora; quelli che vogliono importare la pratica dell’utero in affitto da Paesi chiaramente più evoluti e più civili del nostro, e permettere alle coppie omofile di adottare tutti i bambini che vogliono, oppure di ottenerli con la fecondazione eterologa; quelli che vogliono sempre più diritti per tutti, beninteso purché politicamente corretti. Quelli che, come il sindaco di Bergamo, si rallegrano perché gli islamici hanno vinto l’asta pubblica per aggiudicarsi una chiesa da convertire in moschea, e gongolano perché la Lega, che governa quella regione, ha combinato un gran pasticcio ed è stata punita con siffatta “nemesi” (è la parola che ha usato lui). Francamente, è difficile immaginare una soddisfazione più misera, un sorrisetto più squallido, una migliore occasione sprecata di tacere. In compenso, questa gente serve a ricordarci qual è il livello di codesti inglesi “di dentro”, che da sempre si autocertificano come i buoni: un livello bassissimo, sia intellettualmente che moralmente: pur di vedere umiliato il loro “nemico”, si compiacciono che una chiesa cristiana diventi una moschea. Logico: non hanno patria, non hanno fede, non hanno alcun rispetto per l’identità italiana, anzi se ne vergognano: sono dei razzisti alla rovescia, che non esitano a rovesciare sui propri connazionali tutte le accuse, anche quella di essere razzisti, mentre dovrebbero chiedersi se non sono stati proprio loro, a forza di tirare la corda, a forza di alimentare situazioni socialmente insostenibili, a far diventare razzista un popolo che non lo è mai stato e che mai lo sarebbe diventato, se non fosse stato letteralmente tirato per i capelli da quotidiane sopraffazioni e da quotidiani scandali e abusi a favore degli stranieri delinquenti, e a danno dei cittadini onesti. Gli inglesi “di dentro” sono anche tutti i militanti progressisti che quindici, venti anni or sono facevano il tifo per la cancellazione del debito dei Pesi africani (vi ricordate il rapper Jovanotti, tanto per citarne uno?), e denunciavano le banche di rapina e le multinazionali sfruttatrici, e adesso sono gli stessi che ci dicono che Bruxelles ha ragione, che Juncker ha ragione, che Soros è un filantropo, che siamo noi italiani colpevoli del nostro debito, non le banche, e che dovremmo guardare a uomini come Macron o come il socialista Moscovici, come ai leader di un’Europa di sinistra (ma guarda che fine ha fatto la “sinistra”), capaci di contrastare il fiume limaccioso dei populismi a sfondo razzista.

Inglesi “di dentro” sono Augias, Botteri, Lerner, Fazio, ma anche Paglia, Bianchi, Galantino, Rizzolo, Tarquinio: tutti accomunati dal filo rosso del buonismo, dell’immigrazionismo, del sinistrismo, dell’arroganza di considerarsi i portatori di un’Italia migliore, una cultura migliore, una chiesa migliore, un universo migliore. Loro sono più intelligenti, più generosi, più solidali, più misericordiosi; sono anche più lungimiranti, più tolleranti, più accoglienti e più umani. Grazie a loro, l’Italia diventerà finalmente un Paese civile, moderno, degno di esser paragonato alle democrazie più avanzate; peccato che la democrazia esista ormai solo di nome, e al suo posto ci siano delle oligarchie finanziarie, delle plutocrazie totalitarie che son riuscite a sottomettere i popoli persuadendoli a fidarsi di loro, svuotando interamente il significato del concetto di rappresentanza: perché è evidente che in tutti i Paesi democratici vi è una crisi irreversibile della democrazia, la democrazia è scomparsa perché nel suo guscio vuoto si è insediato un potere finanziario capace di far ballare ai “rappresentanti del popolo” la danza che vuole lui. Un potere che ha preso tutte le precauzioni, che si è blindato da se stesso: ora, per esempio, si scopre che un governo non è libero di revocare una certa concessione per le realizzazione di un’opera pubblica, perché le penali astronomiche che dovrebbe pagare sono più salate della realizzazione dell’opera stessa, anche se esso giudica che si tratti di un’opera sostanzialmente inutile. Quindi, col ricatto delle penali, le grandi imprese, e le banche che le sostengono, sono in grado d’imporre a un governo liberamente eletto, e che dovrebbe liberamente governare, di andare contro gli interessi del popolo che lo ha eletto, perché la matematica non è un’opinione e chi cambia idea deve pagare fior di quattrini. Ma che colpa ha un governo, se il governo precedente ha fatto delle scelte antieconomiche perciò antinazionali, al solo scopo di favorire i suoi amici banchieri e imprenditori, e svendendo il pubblico interesse? Ora, se le cose stanno così, è evidente che la democrazia non c’è più: è evaporata; al suo posto rimane la dittatura della finanza.

La conclusione è semplice: non basta affrontare e vincere gli inglesi “di fuori”, il grande capitale finanziario internazionale, impresa già di per sé quasi disperata, e tuttavia necessaria; bisogna anche regolare i conti con gli inglesi “di dentro”, i quali, come una quinta colonna, fanno il tifo per i loro amici esterni e si adoperano attivamente per la sconfitta dell’Italia, per il fallimento della sua economia, per l’invasione del suo territorio, e infine, last but not least, per la svendita a prezzi di fine stagione della fede religiosa del suo popolo. E quando diciamo che bisogna “regolare i conti” con tutti costoro, non abbiamo in mente nulla di truculento, non predichiamo alcun ricorso alla violenza, ci mancherebbe altro; non ci sfiora nemmeno l’anticamera del cervello di proporre il manganello e l’olio di ricino. No: si tratta solo di questo: di ridimensionare la loro presenza e la loro invadenza culturale. Essi rappresentano una piccola minoranza del popolo italiano, ma spadroneggiano sui mass media, nelle scuole, nelle università, nelle case editrici, come se fossero i portavoce della stragrande maggioranza. Questa è una cosa che grida vendetta al cielo. Le idee che quei signori sostengono, in tutti gli aspetti rilevanti della vita pubblica e della convivenza civile, dall’economia all’immigrazione e dalla sicurezza pubblica all’educazione nelle scuole, sono le idee di una ristretta élite e non riflettono affatto quelle della maggior parte degli italiani. Quindi, a che titolo occupano tutti gli spazi? Con quale diritto ci bombardano coi loro sermoni? Chi li autorizza a farsi le carezze tra di loro, a strofinarsi nei relativi programmi, a ospitarsi reciprocamente sulle prime pagine dei giornali, quando essi non riflettono l’ideologia che di un quindici, venti per cento al massimo degli italiani? Evidentemente, questa è una cosa che non va d’accordo con i principi fondamentali della democrazia: e proprio loro, che hanno sempre la democrazia in bocca, dovrebbero, se fossero onesti, riconoscerlo. Ma è certo che non lo fanno, né mai lo faranno. La loro filosofia politica è questa: se il popolo li ascolta e fa quel che dicono loro, allora il popolo è il vero popolo, è il popolo sovrano; se li snobba, se li prende a pomodori marci, allora il popolo non è più il popolo, è un’accozzaglia di populisti e di razzisti, gente spregevole, che non merita nemmeno di essere rappresentata, né in parlamento, né sui mass media. Allora ci pensano loro, a iniettare in questa massa bruta le sementi della civiltà; ci pensano loro a lavorare instancabilmente per colmare il “ritardo”, per rimediare alla “arretratezza”, per superare i “pregiudizi”, per “svecchiare” le idee di quella massa ottusa e bisognosa di ricevere dall’esterno i lumi della ragione, di essere guidata e accompagnata verso il progresso. La loro idea della democrazia è questa, e risale a Stalin, a Lenin, a Marx, a Robespierre: o con le buone, o con le cattive, il popolo deve ascoltare loro, deve marciare dietro a loro, perché loro, e loro soltanto, sanno che cos’è il vero bene della società. Lo sanno perché sono migliori: più intelligenti, più esperti, e soprattutto più puliti: loro sono moralmente migliori, anzi, sono i migliori. Tutti gli altri hanno solo da imparare; a loro la missione d’insegnare. Sempre col ditino alzato, come le maestre petulanti: sempre a fare la lezioncina a questi alunni un po’ testoni, che non vogliono convincersi che la BCE ha ragione e parla per il nostro bene, e che i clandestini delinquenti sono solo un lieve prezzo da pagare per entrare nelle meraviglie della società multietnica e multiculturale, United Colors of Benetton, come dice Oliviero Toscani, il vero maître-à-penser di quest’ultimissima versione della democrazia in salsa oligarchica e plutocratica. Giusto?