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Siria: riaprire l’ambasciata italiana

di Fulvio Scaglione - 19/11/2018

Siria: riaprire l’ambasciata italiana

Fonte: Fulvio Scaglione




È giunta l’ora di riaprire l’ambasciata d’Italia in Siria? Il passo compiuto da Gianluca Ferrara, senatore del gruppo M5S e membro della Commissione affari Esteri, rischia di affogare nel mare delle polemiche quotidiane. Eppure si tratta di un balzo notevole, in ogni caso del primo atto politico che, in Italia, prende atto della mutata situazione in Siria e propone al nostro Paese una strategia che non è più da guerra ma da dopoguerra.
Ferrara, si suppone a nome dell’intero gruppo senatoriale pentastellato, ha presentato un’interrogazione ai ministri degli Esteri e dell’Interno in cui ha elencato una serie di fatti di cui è difficile dubitare. La posizione di Bashar al Assad è più solida che mai, la Giordania ha accettato di riaprire il valico di Nasib con la Siria e altrettanto è successo, con la mediazione dell’Onu, con il valico di Quneitra sulle alture del Golan. Nello stesso tempo, anche i Paesi del Golfo Persico hanno avviato una riflessione strategica: conviene loro continuare a isolare la Siria, con il rischi di consegnarla in via definitiva all’influenza del loro vero avversario, l’Iran degli ayatollah? Prima del 2011, dopotutto, molti di loro era in rapporti assai cordiali con Assad: il presidente siriano, per fare un solo esempio, nel 2010 si era recato in Kuwait dove aveva esaltato i buoni rapporti, anche economici, tra i due Paesi. Proprio il Kuwait che meno di un anno dopo sarebbe diventato la centrale del finanziamento dei jihadisti attivi in Siria.
Alla luce di queste considerazioni, l’interrogazione giudica che “la strategia adottata dall’Unione europea nel documento strategico sulla Siria del 3 aprile 2017 risulta ormai obsoleta rispetto alle evoluzioni politiche e militari degli ultimi 2 anni” e aggiunge che alla ricostruzione della Siria potrebbero partecipare utilmente le imprese italiane e che “il riassorbimento dei flussi di profughi siriani è possibile solo attraverso la pacificazione del Paese e il miglioramento delle condizioni di vita nelle zone già pacificate”.
In termini politici, ciò significa che la comunità internazionale non può più stare appesa al sogno, ormai infranto, di liberarsi di Assad che, a questo punto, può essere solo considerato l’interlocutore inevitabile per la pacificazione e la ricostruzione della Siria. Per conseguenza, si chiede al governo di considerare la riapertura di “regolari rapporti diplomatici con il governo siriano, tra cui la riapertura delle rispettive ambasciate” e di avviare un percorso politico che porti “alla fine delle sanzioni europee nei confronti della Siria”. Sanzioni che, aggiungiamo noi, il Consiglio europeo nel maggio scorso ha prorogato fino al giugno 2019.
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Per ora è solo un’interrogazione parlamentare, che viene però dalle file del partito più votato alle ultime elezioni politiche, nonché pilastro dell’attuale governo, negli ultimi tempi spesso accusato di essere il più filo-americano e atlantista degli ultimi decenni. Vedremo gli sviluppi. Certo è che, con o senza l’Italia, la comunità internazionale prima o poi dovrà darsi una mossa a proposito della Siria.
Staffan de Mistura, fino a poche settimane fa inviato speciale per la Siria del segretario generale dell’Onu, valutava in 250 miliardi di dollari la prima spesa per avviare la ricostruzione del Paese dopo la guerra. Una somma che, ovviamente, non può essere raccolta senza il concorso di un ampio numero di nazioni. Prima o poi, quindi, anche i governi che volevano cacciare Assad saranno costretti a una dura scelta: inseguire un sogno politico fallito, e prolungare all’infinito le sofferenze di tutti i siriani; o rinunciar al sogno e aiutare un intero popolo a riprendersi.