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Crescita & decrescita

di Andrea Cavalleri - 11/12/2018

Crescita & decrescita

Fonte: Comedonchisciotte

UNA PREMESSA

Parlando delle relazioni tra economia, sostenibilità ecologica e sostenibilità umana è indispensabile chiarire una premessa senza cui si rischia di parlare completamente a vuoto.

Il punto di partenza è che la crescita economica (o anche la decrescita), viene misurata in denaro.

Il PIL esprime tutte le transazioni in denaro relative a beni e servizi prodotti nella Nazione; anzi riguarda beni e servizi equivalenti (in denaro) prodotti all’interno della Nazione, in quanto nel calcolo del PIL rientra il saldo della bilancia commerciale, per cui la voce negativa delle merci importate “annulla” in termini contabili le equivalenti merci esportate, che però, fisicamente, sono state prodotte.

La prima domanda che ci porterà sulla strada della comprensione è: “il PIL esprime davvero l’economia di una Nazione?”

Senza scomodare il famoso discorso di Robert Kennedy, bastano alcune constatazioni terra terra per rispondere seccamente di no.

Prendiamo l’esempio dell’IVA: questa tassa aumenta il PIL senza minimamente aumentare il numero delle merci prodotte né il numero degli scambi. E infatti è stata utilizzata dai recenti governi europeisti per migliorare il rapporto debito/PIL, gonfiando artificiosamente il denominatore.

Oppure per assurdo, se due capitalisti buontemponi si vendessero per 10 miliardi la stessa azienda l’un l’altro ogni giorno, dopo un anno il PIL schizzerebbe alle stelle, con un incremento di 3.650 miliardi. Questo secondo esempio fa ridere, ma farebbe ridere di meno se si pensasse che è così che la Borsa “cresce”.

 

Strumento di misura inadeguato.

L’idea che sto cercando di introdurre è che la misurazione in denaro delle azioni economiche distorce il loro significato e provoca uno scollamento tra ciò che è buono nella realtà concreta e ciò che è buono in termini monetari.

Negli ultimi anni alcuni economisti famosi, ad esempio il premio Nobel Krugman, hanno criticato la razionalità dei mercati, asserendo dunque che gli operatori possono compiere scelte sbagliate per ragioni emotive, culturali, di ignoranza (asimmetria informativa) etc.

A mio modo di vedere questa critica elude il cuore della questione e cioè che, viceversa, il nostro sistema finanziario spinge a fare scelte sbagliate perfettamente razionali, in piena coerenza con le finalità del “gioco”.

Ad esempio l’obsolescenza programmata, da un punto di vista concreto, materiale, ingegneristico etico e sociale è un abominio assoluto; ma dal punto di vista monetario “conviene”.

L’immissione sul mercato di tecnologie volutamente imperfette, quando si dispone già di modelli più efficienti, è un altro esempio di azioni fisicamente irrazionali ma che servono a vendere di più. E anche questa non è una fantasia, esistono casi conclamati nel settore informatico, farmaceutico e altri ancora.

La distruzione di derrate alimentari è il caso più penoso, che coniuga la massima stupidità con il più brutale schiaffo alla miseria.

Tutte queste contraddizioni smascherano la falsità del principio liberista-individualista secondo cui l’egoismo, in presenza di concorrenza, produce risultati utili e benefici per la collettività.

Tuttavia, anche coloro che rigettano questo principio spesso non si accorgono che l’attuale sistema monetario lo afferma implicitamente.

Se infatti un’azione economica è valida quando produce del denaro, cioè quando fornisce potere d’acquisto individuale, il fatto che questa azione economica sia realmente utile e positiva è solo una felice casualità, che si manifesta la maggior parte delle volte (dato che bene o male le merci soddisfano le necessità delle persone) ma che può benissimo essere contraddetta da eccezioni, anche gravissime.

Talvolta le carte vengono rimescolate attraverso discorsi sul concetto ambiguo di valore, che ho già criticato più volte altrove. Per questa ragione da alcuni anni propongo una nuova definizione del denaro come unità di misura della proprietà (oltre che mezzo di scambio, ovviamente), che rende i termini del discorso assai più chiari.

 

Sostenibilità umana ed ecologica.

Le questioni specifiche di un’interazione sensata con l’ambiente e di un trattamento dignitoso delle persone hanno a che vedere con la naturale aspirazione di tutti gli uomini a vivere in armonia tra loro e con ciò che li circonda.

La razionalità è la guida migliore per i comportamenti appropriati, che dipendono dalla conoscenza, dall’organizzazione e dalla programmazione.

Non mi permetto di sentenziare in campi in cui sono incompetente, azzardando pareri sulla questione ambientale o climatica, né intendo qui discutere sui massimi sistemi dei modelli sociali più virtuosi; quello che mi preme far notare è che la politica ambientale è un fatto decisamente tecnico e deve essere affidato a specialisti, mentre i valori umani, come il reciproco aiuto, tendono a essere universali: in entrambi i casi queste cose non sono un prodotto del mercato né il mercato è lo strumento adatto per orientarsi a riguardo.

In compenso il mercato è lo strumento più adatto per istigare ai comportamenti più negativi.

La concorrenza a livello internazionale è fondata unicamente sul prezzo, ragion per cui le aziende tendono a eliminare qualunque tipo di costo pur di presentarsi sul mercato con un prezzo vincente.

E se il costo è una procedura produttiva rispettosa della natura o una depurazione, la eluderanno a meno di non essere costrette e, allo stesso modo, sfrutteranno i dipendenti fino al limite consentito dagli obblighi di contratto.

Naturalmente i costi, umani e ambientali, eliminati dal prezzo di vendita non si sono annullati magicamente: semplicemente sono stati scaricati sui lavoratori e le loro famiglie e sul benessere ecologico che riguarda le generazioni presenti e future.

Molto opportunamente un antico adagio definiva il capitalismo come un sistema di costi sociali non pagati.

Un indicatore che ha assunto un’evidenza paradossale è quello della produttività.

Infatti la massima produttività si raggiunge quando un solo lavoratore produce tutte le merci della nazione, lavorando gratis. Questo limite teorico comincia ad essere avvicinato nella pratica grazie ad aziende che producono solo tramite robot.

Ora immaginiamo per un attimo un mondo senza denaro, a cosa servirebbero dei mezzi di produzione robotizzati?  Ad assicurare l’abbondanza di beni per tutti e a ridurre i lavori usuranti consentendo alle persone di dedicarsi a occupazioni culturalmente e spiritualmente più elevate, o più appassionanti.

Invece nel nostro mondo, col nostro denaro, i robot servono per eliminare le spese salariali con l’idea di accrescere oltremodo i profitti della proprietà.   

Tra l’altro una simile idea è stupida e autodistruttiva del sistema. Infatti il denaro serve a scambiare merci tra persone, ma gli azionisti delle aziende robotizzate, quand’anche guadagnassero fiumi di denaro, cosa comprerebbero dalla massa di disoccupati?

E quante merci prodotte dai robot potrebbero vendere e a che prezzo, se i possibili acquirenti sono disoccupati?

Anche in questo caso paradossale ho parlato della produttività misurata in termini monetari, ennesima riprova che il denaro è un metro completamente fallace per giudicare le nostre azioni economiche, salvo il caso che per economia si intenda qualcosa di totalmente scollegato dalla realtà e dalla vita delle persone.

 

I termini della crescita e della decrescita.

La crescita, considerata in termini reali e non finanziari, è sempre stata piuttosto positiva (talvolta poco, ma spesso molto). Infatti il progresso scientifico e tecnico ha innalzato il tenore di vita di tutti (anche i poveri di oggi stanno meglio dei poveri di un secolo fa) e la direzione in cui è sempre andato è stata quella di consumare meno risorse per ottenere gli stessi risultati.

Le storture della crescita a tutti i costi, non provengono dunque dalla scienza o dall’industria, ma dalla loro valutazione in termini monetari.

In tempi abbastanza recenti la teoria della “decrescita felice” è stata proposta come antidoto al consumismo e alla pletoricità economicista che induce a tanti comportamenti antisociali e antiecologici.

Molto correttamente questo movimento asserisce che la qualità non è riducibile alla quantità, in particolare che la qualità della vita non dipende dalla quantità di beni consumati.

Il termine decrescita è riferito all’inutile, che deve diminuire. E tra le cose inutili sono menzionati i trasporti (magari transoceanici) di merci che potrebbero essere prodotte localmente.

La parola decrescita è stata anche scelta con una connotazione polemica rispetto al concetto di “crescita”, che in economia ha sempre un significato positivo, anche quando non ce ne sarebbe motivo.

Il movimento della decrescita felice ricorda da vicino quello parallelo, nel settore finanziario, della Modern Money Theory.

Questi gruppi, sembrano costituiti da idealisti che promanano saggi consigli, ma che non vanno alla radice del problema e quindi non forniscono gli strumenti per risolverlo.

La crescita continua, misurata in termini monetari, e il consumismo, sono due facce della stessa medaglia. Essi procedono dallo schema Ponzi del debito, collegato con l’emissione del denaro.

Il pagamento degli interessi è un surplus rispetto all’emissione (che avviene in forma di prestito), e  deve essere giustificato attraverso una crescita che ne garantisca la sostenibilità (si parla sempre in termini finanziari).

E’ da quando sono nato che sento parlare della necessità di “riforme”: dello Stato, delle pensioni, dello Statuto dei lavoratori, della flessibilità, delle liberalizzazioni etc etc. Tutte queste riforme riguardano il mondo reale e vengono fatte per adeguare la realtà al sistema finanziario, che invece è puramente virtuale e retto su delle semplici convenzioni.

Occorre invertire la tendenza, cioè le persone (reali) devono puntare i piedi e chiedere le riforme dell’emissione monetaria e delle regole bancarie (convenzionali) per adeguarle alle necessità vitali e razionali che emergono dal mondo concreto.

Se non si cambiano queste regole sarà utopistico pensare di attuare una rivoluzione della società agendo per via culturale, mentre contemporaneamente si è stretti nella morsa delle necessità monetarie, dato che senza soldi si muore di fame.

E l’uso di beni autoprodotti (non importati) come sarà possibile senza il controllo di merci e capitali?

 

Motivatore universale.

Poiché tramite il denaro si può ottenere qualunque merce (a volte comprese quelle che non dovrebbero essere in vendita) esso svolge la funzione di motivatore universale, dato che la maggioranza dei desideri personali possono essere soddisfatti con un acquisto, o persino tramite il solo status che l’abbondanza di denaro fornisce.

Ma se la partita si svolge tra un uovo oggi di proprietà individuale e una gallina domani di proprietà collettiva non può esserci competizione, chiunque sceglierà l’uovo.

In altre parole se il denaro è un certificato di proprietà in bianco, che trasformo in merci mie quando lo spendo, io so che avendo del denaro oggi mangerò; viceversa la gallina di una società migliore domani, mi dice che la media delle persone starà meglio, ma non mi assicura che domani io mangerò.

Per questa ragione, se si vogliono favorire scelte razionali riguardo all’ambiente e alla convivenza civile, è necessario depotenziare la funzione di motivatore universale del denaro, rendendolo facilmente disponibile, non accumulabile, e quindi poco ambito.

Un elemento spia che suggerisce chi vuole mantenere e rafforzare questa funzione motivatrice della moneta lo si ritrova nel cinema internazionale.

Le case produttrici di Hollywood, tutte di proprietà di grossi gruppi finanziari, continuano a sfornare a ripetizione, fino alla noia e allo sfinimento, dei film in cui l’azione è generata da personaggi cattivi che commettono nefandezze inimmaginabili al solo scopo di procacciarsi denaro (a volte eseguono stragi per misere cifre pari ai bonus annuali dei CEO di Barclays, J.P. Morgan o Goldman Sachs).

Non è una sorpresa che chi produce e affitta denaro cerchi di instillare l’idea che i soldi siano massimamente desiderabili e per essi si possa perdere la testa: è la solita storia dell’oste che dice che il suo vino è buono.

 

Rimedi della politica.

I grandi congressi internazionali sul clima e sull’ambiente continuano a insistere sul pagamento di somme di denaro, proporzionali agli scarichi in atmosfera, che scoraggerebbero chi inquina o produce gas serra.

Questi orientamenti, carbon-tax, ecopass e simili, mi suscitano un moto di ribellione, perché all’atto pratico sono equivalenti al prezzo di un “diritto all’inquinamento”.

Allora, in modo analogo, si potrebbero istituire diritti a mentire in tribunale, rubare, uccidere, con il loro tariffario aggiornato dalle società di statistica.

Se l’eccessivo peso che il denaro ha nella società è una delle maggiori cause di irrazionalità e immoralità, non è continuando sulla stessa strada che si corregge la rotta.

Disse Pitagora: “Onorate Licurgo, che intuì, nell’oro e nell’argento, la causa di ogni delitto!”

A mio modo di vedere questi orientamenti sui rimedi “a tassazione” dimostrano una cosa sola: che i politici sono totalmente asserviti alla finanza.

 

Conclusioni.

I termini di crescita e decrescita assumono dei significati molto diversi se vengono valutati da un punto di vista reale o da un punto di vista finanziario.

I problemi risiedono tutti nella valutazione di tipo finanziario e procedono dalle storture dell’attuale sistema monetario.

Per questa ragione sarebbe un errore demonizzare la crescita in quanto tale e magnificare la decrescita fine a se stessa.

A mio parere anche i giudizi che mischiano i due aspetti, rilevando le possibili ripercussioni finanziarie degli eventi reali, sono inadeguati a inquadrare il problema perché lasciano, per così dire, l’ultima parola alla finanza.

Invece una conclusione che voglio trarre dal discorso che ho fatto è che se si hanno a cuore i valori umani nella società e se si vuole tutelare l’ambiente non è possibile disinteressarsi di una riforma monetaria e finanziaria, come strumento imprescindibile per affrontare i problemi reali senza lenti deformanti.

I problemi reali si capiscono bene se li si analizzano “come se il denaro non ci fosse”.

Il compito di una riforma sarebbe quello di rendere il denaro (in particolare l’emissione di denaro) sempre più aderente alla realtà e non, com’è, oggi un mezzo di appropriazione privata di beni pubblici, uno strumento di accumulo di privilegi e di sopraffazione del prossimo.