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La sfida analogica contro l’omologazione digitale

di Andrea Piran - 13/12/2018

La sfida analogica contro l’omologazione digitale

Fonte: Francesco Marotta


Resistenza Analogica è un collettivo informale che ha come produzione principale un festival, Analogica, giunto quest’anno all’ottava edizione che si è tenuto a Bolzano. Il fulcro del progetto è il mantenimento delle tecnologie analogiche che sono in via di sparizione a causa dell’imporsi delle tecnologie digitali; anziché inserirsi nel filone di attività para-luddiste, che sono sostanzialmente centrate sulla presunta superiorità degli strumenti analogici rispetto a quelli digitali, e cercare una sorta di capsula del tempo fondata sulla nostalgia di un’era ritenuta migliore di quella attuale, il collettivo pone l’accento su ciò che è veramente minacciato dalla tecnologia attuale: la perdita dei principi alla base di un modus operandi.

Generalmente, l’uso di un dispositivo è legato al possedimento di determinate capacità tecniche, frutto di un più o meno lungo studio, che permettono di conseguire dei risultati artistici, sfruttandone le sue proprietà, e che determinano, inoltre, una parte dell’identità di chi le consegue e.g., un fotografo, anche se amatore, è tale solo se in grado di utilizzare in un certo modo la macchina fotografica. Una novità della tecnologia digitale è che, sebbene abbia caratteristiche tecniche superiori rispetto all’analogica, s’è imposta con una comunicazione incentrata sulla facilità d’uso che consente a chiunque di usare un dispositivo con poche, o nulle, conoscenze tecniche. Una conseguenza importante è la svalorizzazione delle competenze, ed una conseguente minore attenzione alla conoscenza del processo produttivo, che nasce dalla necessità industriale di ridurre i costi ma che ha l’effetto sociale di sostituire all’amatore un uomo neutro in grado di usare più dispositivi, non necessitando delle conoscenze, ma non di padroneggiarli. In un noto testo del 1971, Stan Brakhage tesse le lodi dell’amatore a partire dal fatto che per costui la vita e la pratica sostanzialmente coincidono e, pertanto, “impara e cresce in continuazione” ed è così diverso da chi, come il professionista, impara l’arte per semplicemente ripeterla meccanicamente.

Un altro esempio di critica sociale sulle tecnologie è il progetto 36EXP che chiede agli artisti di spedire agli organizzatori un rullino da 36 pose non sviluppato; il senso di mandare fotografie non sviluppate sta nel rapporto col medium. Nell’era analogica non c’era modo di sapere come fosse venuta la fotografia fino al momento dello sviluppo, tant’è che uno degli utilizzi professionali della Polaroid era di fare i provini su un set prima di fotografare con pellicole professionali. L’attuale tecnologia digitale consente di vedere immediatamente la fotografia effettuata, rimuove l’effetto scoperta ed esenta in qualche modo il fotografo dal pensare prima di fare, visto che può riprovare sulla base del precedente tentativo. Questo fenomeno è alla base dell’attuale proliferazione di immagini, dato che ne ha moltiplicato il numero, per via della rimozione del limite delle pose e della possibilità di sapere se lo scatto è buono.

Partendo dal presupposto che la moderna pratica artistica debba usare strumenti digitali, ci si potrebbe domandare perché non si possa prescindere dallo studio delle tecniche analogiche ed il motivo risiede nei principi alla base del linguaggio artistico. I principi di semplicità alla base della tecnologia digitale semplificano la pratica ma ne occultano le ragioni i.e., utilizzare un filtro predefinito può rendere più gradevole uno scatto ma ha un effetto omologante, se chi lo usa non ha un’idea visiva in mente. La ragione per cui tutti gli scatti sembrano uguali risiede, in fondo, in questo meccanismo indotto e che contraddice l’idea che gli strumenti siano neutri; in fondo ogni strumento viene pensato con una sua funzionalità di base ed un’idea di chi lo userà.

Infine la ragione per cui esiste il festival ed è pensato come itinerante è per stimolare il confronto pubblico sulle opere. Il digitale, utilizzando lo streaming come meccanismo di distribuzione, sta comportando una crisi della fruizione pubblica ed un ripiegamento verso la fruizione solitaria con conseguente assenza di dibattito. Quando qualcuno sostiene che questo sia un progresso, per via della comodità, andrebbe risposto che i cineforum non sono nati tanto per diffondere il cinema, quanto per spiegare alla massa dei linguaggi diversi rispetto a quello dominante e, pertanto, è assolutamente ragionevole che i linguaggi siano omologati. Il motivo è che pochi hanno la voglia di ascoltare o di mostrare che è possibile un linguaggio diverso da quello della massa.