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Le bombe di Sarkozy sulla moneta africana

di Gianni Ballarini - 22/01/2019

Le bombe di Sarkozy sulla moneta africana

Fonte: nigrizia

E se i bombardamenti francesi alla Libia gheddafiana, del marzo 2011, non fossero stati dettati solo da ragioni petrolifere (incrinare il predominio Eni nel paese); di immagine per Sarkozy (in ribasso per i suoi appoggi ai dittatori nordafricani, nella prima fase delle Primavere arabe) e umanitari (la grave situazione di assenza di diritti nel paese)?  Se, insomma, quelle prime bombe del 19 marzo su Bengasi fossero state sganciate, in realtà, per evitare di incrinare il predominio di Parigi sull’Africa francofona? Per far fallire il progetto di Gheddafi di realizzare una valuta panafricana legata al dinaro d’oro libico, che consentisse ai 14 paesi francofoni di sganciarsi dal franco francese Cfa?
Non sono domande uscite da menti complottiste, proprio ora che si torna a raccontare di possibili nuovi raid aerei francesi in Libia contro i seguaci del Gruppo stato islamico. Ma nascono dalla lettura di alcune delle oltre 3mila email di Hillary Clinton pubblicate dal Dipartimento di Stato il 31 dicembre scorso, su ordine di un tribunale americano. Sono le email della candidata alla Casa Bianca spedite quando era segretario di stato, utilizzando un server privato di posta elettronica. Email declassificate e pubblicate in Italia dal sito Scenari Economici.
Ciò che emerge dalla corrispondenza di Clinton ha riflessi anche italiani, visto che tra gli obiettivi di Sarkozy c’era quello di scalfire l’influenza dell’Eni nell’area. In particolare, nella mail del 2 aprile 2011 – inviata all’ex segretario di stato dal funzionario e suo stretto collaboratore, Sidney Blumenthal – si spiegano i motivi che avrebbero spinto Parigi ad attaccare la Libia. Quattro sono più o meno noti: guadagnare una quota maggiore della produzione di petrolio, in mano italiana; aumentare l’influenza francese sul Nordafrica; rafforzare la posizione di Sarkozy in patria; riaffermare la posizione militare francese in Africa.
Ma c’è una quinta spiegazione, per nulla nota, che nasce dal timore di Parigi di vedersi sgretolare sotto gli occhi la sua creatura africana: Françafrique. Secondo i consiglieri di Sarkozy, infatti, Gheddafi stava per dare attuazione al piano di creare una valuta panafricana in grado di soppiantare il Cfa come moneta di riferimento per 14 paesi africani. Il progetto dell’ex dittatore libico era garantire questa nuova valuta con ingenti riserve d’oro e argento (stimate in 143 tonnellate), che sarebbero state trasferite dai caveau della Banca centrale di Tripoli a Sabha, nel sudovest del paese, città ritenuta più sicura.
Come ci racconta oggi Milano e Finanza, «il valore del Cfa è fissato all’euro e il Tesoro francese ne garantisce la convertibilità. Almeno il 65% delle riserve nazionali di questi 14 paesi sono depositate presso il dicastero del Tesoro transalpino che, in tal modo, si fa garante del cambio monetario. In sostanza, la Francia ha a sua disposizione le riserve nazionali delle sue ex colonie».
È evidente, quindi, come l’iniziativa gheddafiana mettesse in pericolo l’architrave del business francese in Africa. Da qui, l’esigenza di buttare fuori dalla scena il ràis libico.
Un’iniziativa militare che mise all’angolo l’Italia e il governo Berlusconi, costretto a malavoglia e solo alla fine, a partecipare alla missione. Non solo. Fu anche la prima crisi nella quale un presidente statunitense si è accodato al blitz di un presidente europeo.  
La rivolta libica, infatti, fu l’occasione per Sarkozy di rilanciare la politica francese nella regione e, insieme, di offrire una nuova percezione presso il mondo arabo: non più una Francia compromessa con gli autocrati, ma una Francia in soccorso delle esigenze di libertà e democrazia richieste dalle popolazioni del Mediterraneo.
Scopriamo ora, in realtà, che quella era solo la “verità” mediatica lanciata come fumo negli occhi di un’opinione pubblica europea distratta e desiderosa di “purificarsi” la coscienza eliminando un dittatore africano. La “verità”, indicibile pubblicamente, nasconde invece il progetto francese di mantenere e rinnovare il suo dominio sull’area africana.