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La soluzione per l’Africa? Lasciarla agli africani

di Ilaria Bifarini - 24/01/2019

La soluzione per l’Africa? Lasciarla agli africani

Fonte: Il Primato Nazionale

Intervista esclusiva a Ilaria Bifarini. Autrice de “I coloni dell’austerity”, edito da Altaforte Edizioni, è stata la prima a sollevare il caso del neocolonialismo francese in Africa e del suo impatto sulle migrazioni.

Franco Cfa e neocolonialismo, in questi giorni non si parla d’altro. Un tema finalmente balzato alla ribalta nazionale di cui Ilaria Bifarini scrive e parla da tempi non sospetti… Per fare chiarezza, che ruolo gioca la Francia nel Continente africano e con con quali benefici?
«Come racconto in questa versione aggiornata del libro, la “Francafrique”, ideata dal politologo Foccart per volere di De Gaulle, consiste proprio in un piano di prosecuzione coloniale da parte della Francia sul continente africano. Essa opera attraverso la depauperazione del ricco patrimonio naturale africano, il monopolio delle multinazionali francesi, l’alimentazione di colpi di Stato e di guerre intestine e l’imposizione di una valuta coloniale, il franco Cfa, a ben 14 Paesi africani. E’ davvero inaccettabile che la Francia di Macron continui a esercitare, e anzi tenda a rafforzare, una simile ingerenza imperialistica sul continente africano, da cui Parigi trae enormi benefici economici. Basti pensare che la Banca di Francia detiene il 50% delle riserve valutarie dei Paesi dell’aerea del franco Cfa. Come
sapientemente affermato da Chirac, “Senza l’Africa, la Francia scivolerebbe a livello di una potenza del Terzo Mondo”».

Cosa si intende esattamente per “colonialismo dell’austerity”?
«A seguito della cosiddetta crisi del debito del Terzo Mondo, verificatasi nel 1982, Fmi e  Banca mondiale hanno introdotto – o meglio sarebbe dire imposto – nei Paesi del Terzo Mondo, in particolare in Africa, delle politiche di riduzione del debito pubblico. Si tratta di
misure di austerity che hanno impoverito ulteriormente le economie locali e ne hanno definitivamente soffocato il potenziale di sviluppo. A differenza di quanto gran parte dell’opinione pubblica è portata a credere, gli aiuti e i prestiti concessi all’Africa non sono serviti ad altro che ad alimentare e ripagare il circolo vizioso di interessi sui prestiti stessi,  arricchendo i “donatori” e il solito mondo della finanza. Questo fenomeno, che io chiamo colonialismo dell’austerity, agisce su scala planetaria, provocando ovunque gli stessi effetti:
aumento della disuguaglianza, con impoverimento dell’economia reale e del cittadino medio, e arricchimento della finanza e di una cerchia sempre più ristretta di individui. E’ quello che stiamo vivendo oggi in Europa e, in particolare, in Italia».

Che forma potrebbe assumere una coesistenza “sana” fra il mondo ricco e i paesi africani?
«La solo ricetta per una duratura e sana convivenza, condivisa anche da esponenti del mondo africano, è “lasciare l’Africa agli africani”. Basta ingerenze economiche e politiche e sfruttamento del loro ricco territorio! L’accoglienza indiscriminata non solo non risolve il
problema, ma addirittura l’aggrava, sottraendo giovani, i più intraprendenti, all’economia e alla costruzione del futuro del proprio continente. Ci sono molti movimenti panafricanisti che affermano tale principio e meritano considerazione e sostegno».
I coloni dell’austerity è un libro solo in apparenza sulla complessa storia politica, economica e sociale del continente africano e sui drammatici esiti di un sistema speculativo introdotto da potenze straniere; in realtà sembra parlare direttamente a ognuno di noi, europei ed italiani… Un filo ci unisce fatalmente. Quale?
«Il sottotitolo del libro è molto esplicativo: “Africa, neoliberismo e migrazioni di massa”. Mentre si conosce molto sul tema del colonialismo, pochi sono a conoscenza della storia economica post coloniale del continente africano, dove sono state applicate politiche neoliberiste che hanno soffocato lo sviluppo. Si tratta delle stesse politiche imposte oggi dall’Unione Europea, di cui la Grecia è stata la vittima più eclatante e l’Italia rischia di seguirla».

A cura della Redazione