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Come i non vivi stanno avvelenando i pozzi

di Francesco Lamendola - 08/02/2019

Come i non vivi stanno avvelenando i pozzi

Fonte: Accademia nuova Italia

C’è poco da fare, ci sono due sole due categorie di persone, come dice un nostro caro amico: quelli che sanno di aver ricevuto il mondo in usufrutto, e che sanno di doverlo consegnare alle generazioni che verranno; e quelli che vogliono averlo in proprietà, e che, pur di non doverlo consegnare mai a nessuno, sono pronti e intenzionati ad avvelenare i pozzi dietro di sé, in modo che il mondo resti inabitabile per le generazioni future. Non stiamo parlando solo del mondo in senso biologico, quindi non stiamo facendo una classificazione di tipo ecologista o ambientalista; non si tratta di distinguere l’umanità fra quelli che vorrebbero salvare il panda e quelli a cui non frega niente né del panda, né di qualsiasi altra specie vivente minacciata di estinzione; stiamo facendo un discorso molto più ampio, che include tutte le manifestazioni della vita pratica e anche la sfera morale, spirituale, religiosa. Semplificando, ma neanche tanto, possiamo dire che la maggior parte delle persone appartengono alla prima categoria, anche se si collocano, ovviamente, su livelli molto diversificati di consapevolezza; mentre la seconda categoria comprende un numero assai ristretto di persone, perlopiù affette da un grave disturbo narcisistico della personalità. Il guaio è che questa seconda e assai più piccola categoria include quasi tutte le persone che contano, che hanno potere, specialmente in senso finanziario, economico e politico; mentre dell’altra categoria fanno parte le persone comuni, i comuni lavoratori e pensionati, quelli che si accontentano di metter su una famiglia e di condurre una vita normale, senza eccessive pretese e senza esagerate aspettative, quindi senza grandi ambizioni. Naturalmente non si tratta di una coincidenza: vi è una relazione precisa. Le persone molto ambiziose fanno di tutto per entrare a far parte della élite che decide i destini dell’umanità, o almeno del proprio Paese, anche se la maggior parte dei membri di quest’ultima vi appartiene per diritto di nascita; mentre gli altri si trovano naturalmente a far parte della massa che non conta nulla, per quanto possano esserci, mescolate fra gli altri, delle persone di grande valore. È una fenomenologia che si può osservare tutti i giorni, a occhio nudo, per così dire: a capo di una fabbrica, di una scuola, di una caserma o di un ospedale, non ci sono necessariamente le persone migliori, né in senso intellettuale o morale, né, sovente, in senso puramente pratico e professionale; ci sono, però, sicuramente, le più ambiziose, e magari usano il loro potere per rendere la vita dura ai loro sottoposti, se si accorgono che alcuni di essi le sopravanzano, e di molto, nelle qualità suddette.  Comunque, ora non stiamo parlando questi piccoli potenti, come un caposquadra, o un preside, o un colonnello dell’esercito; stiamo parlando dei veri potenti, che sono pochissimi, parlando a livello mondiale: alcune decine, al massimo alcune centinaia; qualche migliaio contando anche i potenti a livello nazionale. I padroni della finanza internazionale in primissima fila; poi, legati a loro direttamente o indirettamente, i capi della politica, i maggiori esponenti degli organismi mondiali, i grossi editori di giornali e reti televisive.

Prendiamo il caso della politica; e, tanto per restare in casa nostra, e fare degli esempi che tutti abbiamo ben presenti, parliamo di un tipico esponente della seconda categoria di uomini, quelli che pensano di avere il mondo in proprietà: Silvio Berlusconi. Per questo è sceso in politica, per questo ha fondato un partito, per questo gestisce con criteri monopolistici le maggiori reti televisive non statali, parecchie case editrici e una quantità di giornali e riviste. La sua ricchezza era, ed è, favolosa; non c’interessa qui discutere come l’abbia fatta, come l’abbia implementata: di ciò discuteranno gli storici, fra qualche anno. Quel che qui c’interessa è come l’abbia impiegata per aprirsi la strada verso il centro del potere. Molti si sono illusi che l’avrebbe messa al servizio di un’idea: hanno creduto in lui, lo hanno votato, hanno fondato dei circoli di Forza Italia, si sono dati da fare per costruire il progetto di una grande forza politica che potesse rinnovare il Paese. Noi personalmente non abbiamo mai nutrito la minima illusione in un tal senso, e i nostri scritti dell’epoca in cui egli scese in campo ne fanno fede; ma non è di questo che vogliamo parlare, perché sbagliare è umano, e molti che hanno salutato con entusiasmo il suo ingresso nell’agone della politica erano in buona fede. Questo è il dato che conta. L’altro dato, con il quale bisogna fare i conti, è come egli abbia adoperato la fiducia accordatagli da così tanti italiani. Ebbene, qui forse non è necessario aspettare qualche altro anno per esprimere un giudizio storico, sia pure suscettibile di eventuali correzioni, anche perché l’uomo è tuttora in campo, prepara la prossima campagna elettorale per il suo partito e continua ad esercitare un peso determinante nella scena politica italiana, sia direttamente, mediante i suoi deputati e senatori, sia indirettamente, mediante le sue reti televisive e le sue case editrici. E quel giudizio non può che essere totalmente negativo. Costui ha preso la fiducia di qualche milione di italiani e l’ha messa al servizio della propria personale ambizione. I fatti hanno mostrato che egli non aveva alcuna idea dell’Italia, grande o piccola che fosse, da portare avanti; aveva, e ha, sempre e solo una grande, una grandissima idea di se stesso. Idea che non è stata minimamente offuscata o modificata dalle avventure e disavventure, sue e di sessanta milioni di italiani, in questi ultimi venticinque anni: una intera generazione. Niente e nessuno ha potuto scalfire anche solo in minima parte l’immagine narcisista, fantastica, delirante, che egli ha di se stesso: cioè il più grande, il più bravo, il più intelligente uomo politico italiano di tutti i tempi.

La cosa è triste, ma non per lui: per quei milioni di italiani che gli hanno accordato la loro fiducia e che hanno riposto in lui delle speranze, rimaste malamente deluse. Conosciamo personalmente delle eccellenti persone che sono state gabbate a quel modo, ed è questo che ci rattrista. Lui si è limitato ad occupare il potere nell’interesse delle sue aziende, cioè di se stesso. E anche adesso, che è ridotto ai minimi termini in fatto di consenso elettorale, continua a occupare una posizione strategica: grazie al patto del Nazareno, tuttora operante, gode di complici silenzi a sinistra, per esempio in fatto di vigilanza Rai, sicché sulle sue reti può far dire qualsiasi cosa, nessuno parla più di conflitto d’interessi o di par condicio, né di altre amenità del genere, per quanto il suo confitto d’interessi non sia minimamente cambiato e non si sia per nulla affievolito, semmai è ulteriormente aumentato, visto anche l’incremento di profitti che Mediaset ha realizzato negli anni dei suoi governi. Per farsi un’idea degli ideali di quest’uomo, si pensi che le sue protette, inutile specificare in che senso, non le premiava pagandole di tasca sua, le metteva in Parlamento o nelle amministrazioni locali: vi ricordate la Minetti, la sua igienista dentale, chiamiamola così, piazzata alla regione Lombardia come consigliere blindatissimo, Formigoni consenziente,? Del resto si era laureata col massimo dei voti, era una persona di valore, ma scherziamo! E così a mantenerle ci pensavano i contribuenti italiani. Un po’ alla volta perfino molti suoi fedelissimi, i Bondi e signora, per esempio, hanno finito per arrendersi all’evidenza e capire di che pasta è fatto, e se ne sono andati. Gli è rimasto Tajani, gli è rimasto Brunetta, gli son rimaste la Gelmini e la Bernini: e le prospettive per le prossime elezioni non sono certo rosee. Ma di qui alle elezioni la strada è ancora lunga, potrebbero essere fra sei mesi o fra quattro anni, chi può dirlo? E intanto, in Parlamento - sia a Roma che a Bruxelles - i suoi Tajani e i suoi Brunetta pesano, e non poco; tanto più che vige un tacito patto col Pd, voi non pestate i calli a noi e noi non li pesteremo a voi. Frattanto sogna di staccare Salvini da Di Maio e tornare al potere con la Lega, sia pure come socio di minoranza: fa progetti come se avesse quarant’anni, mentre ne ha più del doppio. A forza di lifting e trapianti di capelli ha maturato la sindrome dell’immortalità: non agisce e non parla come un uomo anziano, che deve cominciare a fare i suoi conti col Padreterno (lo diciamo senza voler essere iettatori, ma pacatamente e oggettivamente), bensì come un giovane che abbia la vita davanti a sé, e l’Italia pronta ad attendere la sua bacchetta magica per risolvere ogni problema. Peccato che la bacchetta magica l’aveva per davvero, a un certo punto: ed era il consenso di quei milioni di italiani che attendevano da lui una riforma in senso liberale. Quella riforma continuano ad aspettarla, ma ormai è chiaro che è entrata a far parte di tutte le leggende, le favole e le balle che ha saputo rifilare ai suoi fiduciosi elettori: con una abilità tanto consumata da far pensare che avrebbe saputo vendere, come si dice, anche il giaccio agli eschimesi. E il bello è che non solo non ha fatto la riforma, o magari la rivoluzione liberale, quando era in condizioni di farla; ha pure trasformato Forza Italia, o quel che ne rimane, in una brutta copia minore del Pd, o forse nelle nuova versione del vecchio Partito Radicale, con tanto di animalismo, ambientalismo e omosessualismo radical chic. Incredibile ma vero: dalla difesa dei valori tradizionali e cattolici, alla difesa a oltranza dei diritti dei “diversi”. Cosa ne penserebbe la sua famosa zia suora (se esisteva davvero)?

Silvio Berlusconi ha compiuto ottantadue anni (è del 1936) e rappresenta perfettamente il tipo umano che abbiamo descritto all’inizio: quello di chi crede di avrere il mondo in proprietà privata e, per giunta, di chi non accetta minimamente l’idea di doverlo cedere, per limiti di età, alle nuove generazioni, piuttosto avvelena i pozzi consolandosi all’idea che neppure gli altri potranno bere, e quindi sopravvivere, dopo di loro. È il tipico atteggiamento del narcisista delirante: perisca Sansone con tutti i filistei. Ricordiamo Hitler, che preferì seppellire la Germania sotto le rovine piuttosto che fare un passo indietro; senza con ciò voler fare alcun paragone di segno politico fra i due (se lo facessimo, risulterebbe che Hitler era, sì, un criminale, ma a suo modo amava la Germania più di quanto Berlusconi abbia mai amato l’Italia, pur se condivideva con lui l’idea che la Patria non aveva il diritto di sopravvivergli). Ma ricordiamo anche Mazzarò, il contadino arricchito, protagonista della novella verghiana La roba, il quale, malato e senza eredi, allorché i medici gli dicono che è tempo di pensare all’anima, si mette a colpire col bastone anatre e tacchini, gridando: Roba mia, vientene con me! In altre parole, un ultraottantenne tiene in ostaggio la politica italiana, imbriglia ancora qualche milione di voti, non più tanti come in passato, ma abbastanza per far pendere l’ago della bilancia di qua o di là, specie considerando quanti sono gli italiani che nemmeno vanno più a votare; e continua a bombardare gli italiani, mediante le sue televisioni e i suoi giornali, con una martellante e incessante propaganda politica antigovernativa, come se fossimo già in piena campagna elettorale, senza che nessuno si sogni di andare a vedere se può farlo, legalmente parlando, oppure no. I signori del Pd, che tanto lo hanno detestato e combattuto, non hanno niente da dire in proposito; di Forza Italia, pare non si ricordino neppur che esiste (pare, appunto): tutte le loro energie sono magnetizzate dall’odio per il governo gialloverde, per far cadere il quale sarebbero disposti a qualsiasi cosa, anche a chiamare in Italia lo straniero, nella persona di un Macron qualsiasi, così come fece Ludovico il Moro, signore di Milano, con Carlo VIII, nel 1494, per odio verso il re di Napoli.

E il caso Berlusconi non è affatto unico, anche se è, nel nostro Paese, probabilmente il più rappresentativo di quel certo tipo antropologico. L’Italia è piena di ottuagenari che vogliono monopolizzare il potere; di vecchi che odiano i giovani; di morti viventi, in senso morale, che venderebbero l‘anima al diavolo, se pure non l’hanno già venduta, pur di sbarrare la strada al domani. Il tempo, la storia, il futuro, devono finire con loro; nulla deve sopravvivere alle loro gesta e alla loro gloria passata. L’età media della classe dirigente nostrana è ben al di sopra di quella degli altri maggiori Paesi d’Europa e del mondo: che sia anche per questo che il nostro Paese, più di tutti gli altri, stenta a raccogliere le forze, a fare squadra, a rinnovarsi, ad affrontare in maniera razionale e coerente le sfide del terzo millennio? Dopo aver occupato le poltrone e gl’incarichi per anni, per decenni, questi vecchi terribili hanno piazzato al loro posto, quando proprio non ce la facevano più, dei “giovani”, in genere dei sessantenni o dei settantenni (Tajani, classe 1953, ha sessantacinque anni; Brunetta, classe 1950, ne ha sessantotto), allo scopo di tenere comunque occupate le poltrone e impedire il ricambio generazionale. Del resto, non è solo una questione anagrafica, ma anche e soprattutto intellettuale, culturale, spirituale: c’è chi è vecchio a trent’anni, e c’è chi è giovane a ottanta. Ma gli ottantenni del tipo di Berlusconi non appartengono a quest’ultima categoria; chi è prigioniero del proprio ego è più che vecchio, è già morto interiormente, e lo era fin da giovane. Fosse solo una questione di età, potevamo esser felici e contenti quando avevamo la Minetti alla regione Lombardia, nel 2010: oltre che di bella presenza, aveva meno di venticinque anni, essendo nata nel 1985. Quel che manca sono le idee nuove e soprattutto una maniera nuova di fare politica, di essere classe dirigente. Nei partiti regna la stagnazione più totale: niente congressi, niente discussioni, niente aria nuova, niente idee nuove. Non solo per Forza Italia, ma anche per gli altri partiti. Ormai la democrazia si è ridotta a questo: a culto della personalità di questo o quel leader (si fa per dire: tutti i gusti son gusti) carismatico, e a sparare a zero su chi governa, se si ha la disgrazia di stare all’opposizione: il potere logora chi non l’ha, diceva Andreotti. Però, mio Dio che tristezza.