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Per una giustizia italiana meno “liberale”

di Roberto Siconolfi - 16/02/2019

Per una giustizia italiana meno “liberale”

Fonte: oltre la linea

Lo stato della giustizia italiana riflette perfettamente alcune dinamiche che investono la società e più specificamente il tipo umano dominante del mondo contemporaneo. L’assenza di carattere, capacità di decidere, freddezza, lungimiranza, elementi tipici della maschilità, oramai si ripercuotono anche nelle scelte decisionali istituzionali e dell’apparato giudiziario.
Così come nelle famiglie il padre è assente, nelle relazioni il maschio è remissivo e indolente, nei gruppi non vi è volontà di giungere a una scelta, allo stesso modo nelle istituzioni si riscontra questo problema. Nelle famiglie, oramai, non si prende più in considerazione la possibilità di esercitare un minimo potere coercitivo verso i propri figli e persino semplicemente di controllarli. Questi conducono, in molti casi, una vera e propria seconda vita, oltre a quella studentesca e lavorativa, completamente diversa se non opposta.
Lo stesso vale per le scuole, millenni di capacità educative legate alla cultura greco-romana e anche a un certo cristianesimo, spazzate via da pochi anni di arrovellamenti psicanalitici e pedagogici. Il risultato finale è sempre lo stesso, però unico: “mai punire il colpevole”, e come dicevamo in taluni casi nemmeno controllare colui che per tanti motivi, esempio l’età, potrebbe deviare col suo comportamento. Trasportando questo ragionamento in chiave giudiziaria dobbiamo, però, premettere alcuni elementi.
Il sistema penale italiano è stato pesantemente attaccato da alcuni fattori, da un lato la “magistratura progressista” e le sue correnti, che per via ideologica o faziosa interpretano il codice in una certa direzione “lassista” o “accusatoria”. Dall’altro, invece, l’“avvocatura garantista”, o quella altamente professionale, sempre pronta a far evitare la giusta pena, grazie alle bravure nel districarsi nei cavilli della legge.
Da un lato le numerose riforme di legge “ad personam” dei governi Berlusconi, volte a danneggiare in maniera decisiva i cardini dell’ordinamento giudiziario, per il loro riverberarsi a cascata, anche sui reati minori ma di notevole allarme sociale. Dall’altro, il provvedimento d’indulto targato centro-sinistra che sistematicamente ha dato beneficio a molti condannati per reati importanti.
Vediamo che da questi caratteristici giochi a tenaglia l’unico a farne le spese è il cittadino. Il cittadino onesto, lo diciamo senza retorica, è letteralmente assediato dalla criminalità (piccola o grande) e pure dalla giustizia, che non lo ripaga in maniera adeguata, o, addirittura, imputa egli stesso del misfatto ricevuto.
Infine addizionando il ragionamento iniziale, notiamo come si stia giungendo all’assurdo di un mondo dove “la vittima sta dalla parte del carnefice”. Pur di non turbare il quieto vivere, il derubato sarebbe disposto a cedere volontariamente i suoi averi al ladro, e senza bisogno nemmeno dell’atto violento di rapina.
Da tutto ciò si evince che una delle vere questioni da affrontare, e proprio ora alla luce del populismo/sovranismo, è un reale cambiamento del sistema giudiziario, e ipotizzando le forme di “democrazia illiberale” duginiana. Il sistema penale, non è un mostro sacro intoccabile, come la costituzione del resto. Esso è una legge frutto di uno “spirito del tempo” preciso, nulla vieta agli uomini e a una data comunità politica di riformularlo e riadeguarlo.
Prendendo come spunto molte situazioni disastrose del meridione d’Italia, a cosa può mai servire l’attuale sistema sostanzialmente basato su principî liberali? Detto sinceramente, si è in grado per davvero di reggere e risolvere le sempre maggiori spinte “bestiali” presenti in questi territori? E a che costo? Lo strazio per la situazione in atto non è già “ora” una costante minaccia oppressiva e violenta ai danni delle popolazioni locali?
Penso a quella gran parte dei comuni di alcune zone del Sud che andrebbero commissariati e messi sotto la direzione del governo per un certo periodo di tempo, magari mantenendo una collaborazione consultiva con pochi gruppi che fanno politica in maniera “dignitosa” (es. Lega e M5S). In questi comuni la capacità di tenere il territorio da parte della criminalità organizzata è talmente forte che è quasi impossibile gestire in maniera pulita la cosa pubblica. I personaggi e le forze politiche di queste amministrazioni, vuoi per negligenza o per effettiva organicità alle enclave locali del crimine, sono inadatti a governare.
Dal punto di vista interno alla criminalità, invece, bisognerebbe adottare provvedimenti avulsi dall’attuale sistema, come la pratica del “lavoro coatto”.  Il carcere non serve a nulla per questo tipo di elementi. Risulta essere un meccanismo che esula anche dai minimi della dignità umana, perché non ha senso tenere tante persone in una cella e senza nemmeno tentare una “rieducazione del condannato”.
Molto meglio creare “strutture di recupero effettivo” dove sulla base del lavoro o dello studio “coatto” (es. per i minori modello baby gang), si possa davvero effettuare una rieducazione e dare un’opportunità ai suddetti di diventare “uomini”.
Per il nostro paese sarebbe davvero necessario un piano straordinario dello Stato per rilevare alla criminalità organizzata i suoi agenti: quartiere per quartiere, casa per casa, uomo per uomo. Una guerra strada per strada contro il cancro della criminalità organizzata.  E noi sappiamo che questo morbo “meno sbarramenti trova più si espande”.