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Il futuro dell’Impero Americano

di Nick Turse - 22/02/2019

Il futuro dell’Impero Americano

Fonte: Comedonchisciotte

Lo storico Alfred McCoy discute del suo nuovo libro, del deep state e delle minacce di Donald Trump alle politiche USA come potenza globale.

Nei primi anni ‘70, prima di diventare un autore vincitore di prestigiosi premi e professore di Storia presso l’ University of Wisconsin–Madison, Alfred McCoy era un giovane accademico ribelle trasferitosi in una zona di guerra del Sudest asiatico per indagare sui rapporti tra CIA, bande criminali e signori della droga. Il risultato, che la CIA cercò inutilmente di seppellire, fu il suo libro diventato un classico: “CIA Complicity in the Global Drug Trade”. In questi ultimi 45 anni McCoy ha incessantemente investigato il lato oscuro del potere globale americano, analizzando come gli USA utilizzino azioni sotto copertura o su mandato, tortura e sistemi di sorveglianza mondiali per mantenere il loro impero globale.

Quei decenni di investigazioni hanno portato alla stesura di un nuovo libro: “In the Shadows of the American Century: The Rise and Decline of US Global Power” nel quale si analizza l’uso americano di guerra cibernetica e spaziale, contratti commerciali, alleanze militari mentre vengono rivelati i contorni della guerra nascosta che Washington combatte per mantenere il proprio status di unica superpotenza mondiale. Recentemente ho chiesto a McCoy di dirmi qualcosa del suo libro, delle operazioni sotto copertura, del deep state e se Trump stia accelerando la fine dell’Impero Americano.

Nick Turse: Ti sei guadagnato la notorietà 45 anni fa quando, da laureato, sei partito per una zona di guerra per esplorare i legami tra operazioni sotto copertura della CIA, il commercio di eroina e la guerra in Vietnam. Hai girato mezzo mondo, sei sopravvissuto ad una imboscata in Laos e sei stato bersaglio del governo USA. Come sei riuscito a farlo e perché l’hai fatto?

Alfred McCoy: Il “come” è semplice. Ho semplicemente seguito un comando da una parte all’altra del pianeta, da Hong Kong a Saigon, Bangkok, Rangoon e Parigi fino a circumnavigare la Terra in un viaggio di scoperte che ti cambiano la vita. Il “perché” invece è più complesso. Sono stato portato a capire le dinamiche politiche di una guerra che stava distruggendo tre Paesi del Sudest Asiatico e dividendo il mio.

Seguendo le tracce di eroina dal Vietnam del Sud, dove un abbondante terzo dei soldati americani erano consumatori abituali, alle montagne del Laos dove veniva coltivato il papavero da oppio, sono stato testimone della guerra segreta combattuta dalla “Armée Clandestine” della CIA composta da 30000 miliziani locali e la maggiore campagna di bombardamenti aerei nella storia militare organizzata dalla US Air Force. Mentre camminavo in quegli altopiani, lontano da strade asfaltate e anche dall’elettricità, se alzavo lo sguardo vedevo il cielo completamente coperto dalle scie bianche generate dagli innumerevoli aerei USA impegnati nei bombardamenti.

Un anno dopo, quando il manoscritto stava per essere stampato, il responsabile delle operazioni sotto copertura della CIA volle incontrare il mio editore chiedendogli di non stamparlo. A seguito del suo diniego iniziarono le vendette: telefoni sotto controllo, visite del fisco, fonti messe a tacere, una intera vita passata al setaccio. Mentre il libro veniva ultimato avevo scoperto il potere pazzesco di questo apparato clandestino, anima pulsante dell’Impero che stava devastando una nazione dall’altra parte del pianeta e stava penetrando nelle vite private delle case americane.

NT: Dopo tutti questi anni ci proponi un nuovo libro che, per completezza, viene pubblicato dalla casa editrice che ho fondato assieme a Tom Engelhardt di TomDispatch [sito di controinformazione, ndr] e che si intitola “In the Shadows of the American Century: The Rise and Decline of US Global Power”. Gran titolo e grande storia. Ce la puoi raccontare?

AM: Gli USA non sono soltanto il più potente e prospero impero delle storia dell’uomo, ma sono anche i meno studiati ed i meno compresi. Durante la Guerra Fredda, l’URSS denunciava gli USA di essere imperialisti, così gli storici americani adottarono l’idea di “Eccezionalismo Americano”. Gli USA possono essere leader mondiali, addirittura superpotenza ma mai Impero.

Dopo l’11 Settembre e il disastroso intervento in Iraq, osservatori di qualsiasi appartenenza adottarono il termine Impero per chiedersi se l’egemonia di Washington non fosse in declino. Improvvisamente analizzare l’Impero Americano non era più discussione da salotto accademico. Tutti quegli anni di negazione del reale potere globale USA avevano portato ad un dibattito pubblico ammaestrato. Gli americani erano stati sulla vetta del mondo per così tanto tempo che non riuscivano più a ricordare come ci erano arrivati.

Così, dopo aver speso un decennio lavorando a stretto contatto con un network di 140 storici di 4 continenti per correggere quella svista e comparare gli USA ad altri imperi, ho deciso di mettere, al netto del linguaggio accademico, tutte i risultati delle analisi in questo libro. Una guida unica e succinta su crescita e declino dei poteri globali USA.

NT: Saranno gli USA il prossimo impero che cadrà? Chi ne prenderà il posto?

AM: Siamo sicuramente testimoni della fine dell’Impero Americano, ma non impero come forma di governance mondiale. Se leggi tra le righe dei titoli dei quotidiani degli ultimi 18 mesi, noti che ci sono segnali sempre maggiori che il dominio globale di Washington sta crollando a seguito di una serie di fattori che spesso accompagnano ogni declino imperiale. Il National Intelligence Council, il più importante corpo analitico di Washington, non fa che stilare previsioni plumbee: l’egemonia USA finirà per il 2030. Ma non ci dicono chi la rimpiazzerà.

A rischio di aggiungermi alla lunga lista di storici che si si sputtanano usando il passato per predire il futuro, ecco come ho deciso di giocarmi la credibilità: punto tutto sulla Cina ed i suoi programmi di infrastrutture dal costo stellare che faranno dell’Eurasia una superpotenza economica; senza però dimenticare i miliardi per sviluppare e dominare l’Africa ed una crescente forza militare intelligente che rompe l’accerchiamento di Washington in Asia e spinge la marina USA verso Guam o le Hawaii.

Gli scettici possono tirare fuori argomenti come la popolazione recalcitrante che invecchia sempre più, l’economia spesso instabile o le tecnologie che ancora non sanno usarle al meglio per dipingerla come la tigre di carta che non sorpasserà mai gli USA. Ma si dimenticano il punto più importante: con la crescita dell’integrazione economica di Asia, Africa ed Europa verso un unico “continente” avente la Cina al suo epicentro, le maree del commercio e del potere geopolitico scorreranno tutte naturalmente lontane da Washington e verso Pechino.

NT: Nel tuo nuovo libro c’è un capitolo intitolato “Covert Netherworld” [Mondo sotterraneo clandestino, ndr] che tratta degli attuali scambi di favori tra sistemi di intelligence deviati e bande criminali. Ogni tanto ci giunge qualche notizia al riguardo, ma per la maggioranza questi rapporti sono sconosciuti. Ci puoi svelare qualcosa?

AM: Il “Covert Netherworld” è un concetto utile per aiutarci a capire il vero significato di operazioni clandestine. Questo sistema può prendere forma in qualsiasi posto dove esistono le uniche organizzazioni in grado di operare oltre i limiti imposti alle società civili, ovvero i servizi segreti e le bande criminali. Durante l’ascesa ai massimi poteri dopo la SGM, Washington ha saputo creare una potente rete di servizi segreti clandestini per risolvere le contraddizioni centrali dell’epoca: come esercitare l’egemonia globale nel mondo post-coloniale dove gli Stati sovrani sono teoricamente immuni da tali ingerenze.

Mentre centinaia di Stati mettono in sicurezza le frontiere e impongono tasse ad ogni tipo di importazioni, bande criminali transnazionali nascono e crescono dappertutto controllando efficacemente il traffico di droga per il 4% del fatturato del commercio mondiale. Questo significa molte persone e molto potere al di fuori di ogni controllo e agli ordini dei servizi segreti. Durante la Guerra Fredda la CIA ha manipolato con successo questo “Covert Netherworld” in Africa, America Centrale e Asia Centrale anche se attualmente il dominio è ridimensionato dato che i Talebani stanno controllando il traffico di eroina per sostenere la lotta contro la presenza USA.

NT: Ti sei focalizzato sugli strumenti adoperati dagli USA per scopi di potere quali le operazioni militari clandestine e la tortura. Potresti dirci qualcosa su cosa hanno significato per il nostro Paese e per le popolazioni oltreoceano?

AM: Operazioni clandestine e tortura sono le due facce della medaglia imperiale americana, con una che ha spesso successo mentre l’altra no. Dopo la SGM mentre 7 imperi europei lasciavano libere 100 nazioni, la CIA si dimostrava molto abile nell’assicurarsi che quei palazzi presidenziali fossero abitati da leaders telecomandati. E se le elezioni manipolate fallivano allora c’erano i colpi di stato, come successe in Laos, Cile e Vietnam del Sud. Se da un lato questi colpi di stato assicuravano l’obiettivo tattico di mettere persone fidate dentro i palazzi, spesso condannavano i popoli del mondo a subire lunghi anni di tirannie, privazioni e violenze, vedi Cile, Guatemala, Iraq, Egitto, Indonesia o Filippine.

Per contrasto la tortura ha dimostrato di sortire esiti senza dubbio negativi. Che si fosse nel Vietnam del Sud negli anni’60, nei Paesi dell’America Centrale negli anni ‘80 oppure in Iraq dopo il 2003, insomma dovunque la terribile aura del potere USA falliva di intimidire, Washington si dedicava alla tortura e sempre con risultati disastrosi. A fronte di 41000 uccisioni extragiudiziali e innumerevoli torture nel Vietnam del Sud, il Programma Phoenix adottato dalla CIA non riuscì a catturare neanche uno dei vertici dei Viet Cong, facendo spuntare l’ipotesi secondo cui i servizi di intelligence comunisti facessero ciò che tutti i servizi di intelligence fanno, ovvero rovinare i piani USA di controllo dando in pasto alle torture solo persone innocenti e sovvertendo abilmente i loro sforzi.

Disperati per il loro declino, imperi in difficoltà- che si tratti di Inghilterra, Francia oppure USA- sono ricorsi alla tortura per ristabilire la loro egemonia. Solo che, come abbiamo visto nel caso di Abu Ghraib, il ricorso a tali pratiche barbare getta ulteriore discredito alla loro leadership tanto in patria che all’estero, cosa che non fa che accelerarne ulteriormente il declino.

NT: Hai messo in luce i segreti del governo per tutta la tua vita da adulto. Voglio adesso che tu mi dia delle risposte rapide sull’era Trump.
Qual’è la tua opinione sul potere del cosiddetto “deep state”?

AM: Concetti fumosi aromatizzati alla paranoia è il piatto del giorno per gli alternativi di destra che amano cenare alle Breitbart News [sito di estrema destra considerato misogino, xenofobo e razzista anche dagli stessi conservatori, ndr].

Esattamente come il termine “impero” è stato reso insensato dalla propaganda ideologica, così è successo al termine “deep state”. Invece di evocare una vaga forza oscura, trovo sia più utile analizzare come i servizi segreti operano, in quanto parte della burocrazia governativa, con tempi e modalità specifiche.

NT: Attacchi cibernetici in America e guerra cibernetica americana all’estero?

AM: E’ opinabile che il controllo della National Security Agency (NSA) di specifici capi di Stato stranieri e relativi milioni di cittadini sia uno strumento dal costo ragionevole per esercitare il potere globale, nonostante le rivelazioni di Edward Snowden sullo spionaggio della NSA abbiano innalzato i costi politici. Con sorprendente velocità, il “covert netherworld” si sta oggi muovendo via internet per esempio con troll russi e dell’Europa dell’Est che godono di protezione in cambio dell’hackeraggio a comando di siti nemici.

NT: Influenza russa nelle ultime elezioni americane?

AM: Lo spionaggio cibernetico è un’affilata arma a doppio taglio, come indicano le manipolazioni russe alle elezioni del 2016: un chiaro segno del declino del potere globale di Washington. Una potenza egemone manipola le elezioni di altre nazioni; una superpotenza in declino viene manipolata.

NT: Dici che il potere USA è in evidente declino. Qual’è la causa?

AM: Risposta breve: tendenze avverse a lungo termine, quelle che tormentano ogni potere mondiale ormai non più giovane, aggravate dal recente emergere di sfidanti credibili qual’è la Cina. Non è solo probabile che l’economia cinese superi quella americana per il 2030, ma già oggi detiene quasi la metà dei brevetti mondiali, la più formidabile serie di supercomputer e la migliore gioventù con formazione adeguata a lanciare la leadership cinese nel campo militare, industriale e tecnologico per il 2030. Come qualsiasi altro accademico americano, anch’io ho studenti cinesi che frequentano le mie lezioni: sono bravissimi ed instancabili; mi ricordano la generazione di mio padre, quella che ha creato l’Impero americano. E anche se Pechino dovesse barcollare a causa della mancata crescita economica o di una ondata di malcontento popolare, ci sono dozzine di poteri emergenti che lavorano per costruire un mondo multipolare oltre ad ogni pretesa egemonica.

NT: Quale effetto ha la presidenza Trump nel declino USA?

AM: Neanche fosse diretto da una regia perversa, Trump sta sistematicamente distruggendo i pilastri che hanno sostenuto il potere globale USA nei passati 70 anni. Dalla fine della SGM, Washington ha controllato il continente euroasiatico dalla propria roccaforte. Ma ora Trump sta indebolendo l’alleanza NATO ad Ovest e danneggiando i rapporti con quattro alleati chiave che si affacciano su Pacifico: Giappone, Corea del Sud, Filippine e Australia.

Trump demolisce la continuità della leadership di Washington quando esce dagli accordi di Parigi sul clima e annulla gli accordi sul nucleare iraniano. Così facendo si inimica alcuni preziosi alleati. Per decenni gli USA hanno fatto leva sui patti commerciali per estendere il proprio dominio. Trump invece ha cancellato la Trans Pacific Partnership come suo primo regalo al mondo. Potrebbe fare lo stesso con NAFTA e gli accordi di libero scambio con la Corea del Sud.

Sull’aspetto sicurezza la spacconata di Trump [McCoy si riferisce alla crisi dei missili coreani, ndr] potrebbe rivelarsi un errore grossolano in grado di scatenare una tempesta militare nella penisola coreana oppure lanciare qualche anti-missile che descrive tutti i limiti della potenza militare americana. L’inclinazione di Trump per azioni militari unilaterali mi ricorda il Primo Ministro Anthony Eden che con la stupida invasione del Canale di Suez nel 1956 rese evidente che il vecchio leone britannico era diventato un animale sdentato da circo che avrebbe, subito dopo il disastro, saltato dovunque lo schiocco di frusta di Washington voleva.

NT: Alla fine del libro offri diversi scenari sul declino degli USA. Sono dettagliate valutazioni dell’intelligence che offrono uno spaccato veritiero (e per molti versi spaventoso) delle possibili fini dell’Impero americano. Senza entrare troppo nei dettagli, sapresti dirci cosa prevedi per il prossimo decennio?

AM: Anche l’impero più potente diventa sorprendentemente fragile e vulnerabile all’improvviso per cause imprevedibili. Chi avrebbe mai indovinato che l’impero britannico che aveva colonizzato mezzo pianeta per oltre 200 anni si sarebbe sfaldato in meno di 20? O che l’impero francese che stava controllando il 10% dell’umanità si sarebbe disciolto in un decennio? Oppure che il granitico blocco sovietico si sarebbe sgretolato in soli due anni?

Ho quindi previsto quattro diversi scenari per la fine del potere globale USA attorno al 2030, nella pretesa che gli avvenimenti attuali si combinino in modo imprevedibile. A livello più ottimista le maree del potere geopolitico scorrono verso Pechino, le forze militari americane si ritirano dall’Eurasia e Washington diventa solo una tra le varie superpotenze mondiali. Meno ottimista è la versione americana del citato sir Eden: Trump od un suo stupido successore fanno la spacconata di dare il via ad una azione militare simile a Suez che mette in luce i limiti del potere americano. Oppure ci potrebbe essere la Terza Guerra Mondiale con la Cina che gli USA, secondo le previsioni del Pentagono, potrebbe non vincere.

Se tutto il resto fallisce i costi spaventosi dei cambiamenti climatici che nessuno a Washington è mai riuscito a quantificare, costringeranno a deviare circa il 5% del PIL ora speso per la difesa verso il ripristino ambientale. Il destino di ogni impero moderno è, più o meno, una faccenda di 5%. Durante gli anni ‘50 la Gran Bretagna liquidò il suo vasto impero dirottando l’imperiale 5% verso programmi sociali per scoprire che l’ultima avventura imperiale di Suez aveva portato la valuta sull’orlo del precipizio. E’ ragionevole supporre che i cambiamenti climatici faranno lo stesso per gli USA del 2040, obbligandoli ad abbandonare le basi oltreoceano per ricostruire il Paese.

(L’articolo è del novembre 2017, ma pur sempre molto attuale)

Nick Turse è l’amministratore delegato di TomDispatch.com e fellow presso  The Nation Institute. Un giornalista investigativo pluripremiato, ha scritto per il New York Times, il Los Angeles Times e The Nation ed è uno scrittore collaboratore di The Intercept.

 

Fontehttps://www.thenation.com/

Linkhttps://www.thenation.com/article/alfred-mccoy-the-future-of-the-american-empire/

 

Scelto e tradotto per comedonchisciotte.org da TONGUESSY