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La verità può essere insegnata?

di Francesco Lamendola - 23/02/2019

La verità può essere insegnata?

Fonte: Accademia nuova Italia

Gira e rigira, il problema filosofico essenziale è sempre lo stesso: visto perfettamente da Socrate, poi obliato, a lunghi intervalli, per duemila anni, e rivisto nuovamente da Kierkegaard, con altrettanta e perfino maggiore chiarezza e lucidità: la verità può essere oggetto d’insegnamento, può essere trasmessa da maestro a discepolo? Questa domanda, naturalmente, presuppone un’altra domanda: la verità esiste?, e la risposta affermativa ad essa: certo, la verità esiste, e consiste nella corrispondenza fra la cosa e il giudizio. Quando il giudizio coglie esattamente la cosa e la descrive così com’essa è, si ha la verità; quando non la coglie o non la descrive fedelmente, si ha l’errore. In questa sede, dato anche che già molte volte ci siamo soffermati su questa domanda, concentriamo la nostra attenzione sulla domanda che ne deriva: la verità può essere trasmessa, e quindi può essere insegnata, oppure no?

Potremmo partire da una ipotesi a contrario e vedere quali sarebbero le conseguenze di una risposta negativa. Se la verità non può essere insegnata, né trasmessa, allora nulla può essere insegnato e nulla può essere trasmesso: perché insegnare l’errore è la stessa cosa che non insegnare. Insegnare, infatti, significa insegnare il vero; supporre il contrario significa non comprendere cosa voglia dire insegnare. L’idea di un insegnamento dell’errore, o peggio, della menzogna, cioè dell’errore volontario e della falsificazione deliberata del vero, è un controsenso concettuale: perché presuppone appunto la verità del suo contrario. Infatti, insegnare il contrario della verità equivale ad ammettere, implicitamente, che la verità esiste: se no, non si potrebbe pensare il suo contrario, e tanto meno insegnarlo. Se c’è la non verità, se esiste la possibilità di mentire, è perché il vero esiste; se il vero non esistesse non esisterebbe neppure il non vero e meno ancora esisterebbe la menzogna. Ci sarebbe solo un vago, indistinto relativismo, una pluralità di “veri”, ciascuno dei quali sarebbe la pretesa di una verità parziale, cosa in se stessa altrettanto assurda e contraddittoria, perché il vero coincide con l’intero oppure non esiste, e una verità parziale è una contraddizione in termini. Se è parziale, significa che è una parte del tutto; ma il tutto, in questo caso, è il vero: dunque, la verità esiste, e una verità parziale è una falsificazione di essa. Una mela non può essere anche una pera: A non può essere B. Se A è B, allora vuol dire che non è A. E se qualcuno sostiene che A è anche B, allora quel qualcuno deve prendersi la responsabilità di ammettere che tutto è uguale a tutto, i diversi sono uguali, e i contrari coincidono: il che equivale a dichiarare la pazzia la vera signora del mondo. Non è detto che qualcuno non ci pensi, anzi più di qualcuno; sospettiamo perfino che qualcuno stia seriamente pensando d’imporre questa non verità come la nuova verità da adorare e al di fuori della quale non ne verrà ammessa alcun’altra. Doppia pazzia: perché questo progetto, che probabilmente è già in via di attuazione, senza che ce ne accorgiamo, non solo è di per se stesso delirante, ma è anche intrinsecamente contraddittorio: voler imporre per legge la non verità equivale a riconoscere, per logica deduzione, che la verità, in effetti, da qualche parte esiste: benché cacciata fuori dalla porta, esiste ed è un fatto imprescindibile anche per quelli che la odiano e che vorrebbero espellerla, negarla, cancellarla. Se non partissero dalla tacita accettazione della sua esistenza, perché mai si darebbero tanto da fare per imporre al mondo intero la certezza che essa non esiste? Non ci si prende la briga di negare ciò che non esiste; non si sprecano tempo ed energie per lanciare una crociata contro i fantasmi. A meno che non si tratti per nulla di fantasmi, ma di cose che sappiamo, nel profondo, essere assolutamente reali.

Dunque: posto che la verità esiste, e che i suoi stessi nemici, col combatterla, concorrono a provare la sua esistenza, la si può anche insegnare e trasmettere? La verità, di per sé, non è il frutto di un insegnamento, ma è un atto della coscienza: la coscienza vede che la cosa è quale essa se la rappresenta, e gode di tale corrispondenza, così come il matematico gode nel dimostrare un teorema di geometria, o il naturalista gode di poter datare l’età di uno strato geologico grazie a un fossile-guida, e il filosofo gode di pervenire, mediante il ragionamento logico e dimostrativo, alla conferma dell’esattezza di una proposizione ipotetica. E diciamo che essi godono d’un piacere intellettuale, perché la verità è bella, così come l’errore è brutto, e ancora più brutta è la menzogna: esiste una dimensione estetica del vero, che è anche la dimostrazione della sua autenticità. Infatti, l’animo umano tende naturalmente verso la bellezza: e così come lo studioso di geometria sente la bellezza del teorema di Pitagora, e ne gode intimamente, così la verità esercita su noi tutti, istintivamente, un moto di attrazione e di desiderio, perché le cose belle ci attraggono naturalmente, mentre le cose brutte naturalmente ci ripugnano. E abbiamo precisato naturalmente, perché la civiltà moderna ha costruito la più innaturale delle culture, nella quale perfino il senso istintivo del bello e del vero sono stati radicalmente sovvertiti, al punto che ormai molte persone percepiscono come bello ciò che è brutto, e come vero ciò che è falso: cosciente degradazione dell’umano e deliberata discesa verso l’inferno – se inferno è una realtà nella quale l’essere umano si condanna, da se stesso, a una tragica contraffazione della propria natura. La natura umana, infatti, tende naturalmente verso la luce, verso l’aria pura, e rifugge dall’aria stagnante e pestilenziale che si respira ove regnano incontrastate la non verità e la menzogna. Questo ci può dare un’idea fino a che punto abbiamo eretto la follia a sistema di vita e di pensiero, e fino a che punto ci siamo allontanati da noi stessi, accecati da una superbia che si ritorce contro di noi.

Affinché la verità, che non è un insegnamento, ma un atto della coscienza, possa diventare oggetto d’insegnamento, è necessario che ci siano un maestro che la conosce e un discepolo capace di apprenderla e disposto ad apprenderla. Capace, cioè atto a riceverla esattamente, senza alterarla; e disposto, cioè intenzionato a riceverla, in maniera disinteressata e trasparente, senza sovrapporvi la sua idea di ciò che dovrebbe essere vero. Ora, alla domanda se un tale maestro esiste, possiamo rispondere di sì, ma solo in senso relativo: nessun essere umano ha visto la verità faccia a faccia, tutta intera, senza ombre né margini d’incertezza; nessuno ha visto la cosa in sé, per dirla con Kant, ma solo il fenomeno, cioè la cosa come appare. Sono due realtà profondamente diverse e non vanno confuse. La conoscenza umana è, per sua natura, limitata e imperfetta; e ciò vale anche per il presupposto di qualsiasi conoscenza, ossia la verità. Senza verità non vi sarebbe conoscenza; ma se gli uomini fossero capaci di conoscere tutta la verità, allora non sarebbero più uomini, ma angeli o dèi. Il limite ontologico dell’essere umano, che è contrassegnato dalla sua condizione di creatura, vieta che egli sia capace di cogliere la verità in maniera perfetta: la sua vista rimarrebbe accecata, i suoi sensi sarebbero annichiliti e la sua ragione si perderebbe. D’altra parte, abbiamo detto che una verità incompleta, o parziale, non è la verità, ma una non verità, perché la verità o è completa e perfetta, oppure non è realmente tale. Parrebbe che siamo giunti a un vicolo cieco, oltre il quale non è possibile andare. E invece no: perché esiste un Maestro perfetto, che può insegnare la verità tutta intera, essendo Lui stesso la verità. Dio è la Verità ed è anche la via per giungere alla Verità; chi si mette alla sequela di un tale Maestro, non fallisce, perché Dio è il solo maestro veritiero e quindi il solo che non faccia promesse ingannevoli. Giungiamo così alla constatazione che esiste un solo Maestro in senso assoluto; ma esistono pure dei maestri in senso relativo, anch’essi idonei a insegnare la verità, perché non se la danno da se stessi, ma la ricevono da Lui. Il vero maestro, in senso umano, è colui che riconosce, con profonda umiltà, il proprio limite ontologico, e chiede alla grazia divina d’illuminarlo e mostrargli quella Verità cui da solo non sarebbe capace di giungere. E quei maestri che agiscono in tal modo, sono capaci di trasmettere a loro volta a verità; mentre quelli che si presentano come maestri puramente umani sono dei mentitori, perché la verità” che pretendono d’insegnare è solo una verità parziale e mutilata, quindi una non verità o una menzogna; e spacciare la menzogna per verità equivale a un tradimento nei confronti dei discepoli. Purtroppo la storia umana è letteralmente costellata di falsi maestri che hanno attirato e sedotto masse più o meno cospicue di seguaci, avvolgendoli nella trama dei loro errori e trascinandoli, così, alla rovina: perché il premio finale della menzogna è sempre, per gli uomini, la loro rovina morale, e sovente anche quella materiale.

E i discepoli? Se è già una cosa rara trovare dei veri maestri, ancor più raro è imbattersi in un vero discepolo, cioè in una persona sinceramente, disinteressatamente e generosamente innamorata del vero, e disposta a qualunque sacrificio pur di trovarlo; un essere umano che, non avendo in sé forze sufficienti per tentare l’impresa da solo, accetta con gratitudine la guida di un maestro, ossia di qualcuno che è arrivato alla meta, o in vista della meta, e può aiutare altri a fare lo stesso percorso. Il mondo è pieno di falsi discepoli, oltre che di falsi maestri, cioè di discepoli che non cercano la verità in maniera trasparente e disinteressata, ma la cercano per scopi inconfessabili, egoistici, oppure fingono di cercarla, ma in realtà cercano di acquisirne solo le apparenze, paghi di quelle, per poi andarsene in giro a spacciare quelle apparenze per la cosa in se stessa, cioè per la verità vera. Si tratta di un tipo umano molto diffuso perché corrisponde alle principali caratteristiche della cultura moderna: la curiosità superficiale, l’egoismo e il narcisismo, la pretesa di essere qualcuno e di possedere qualcosa senza esser disposti a sopportare i sacrifici, le privazioni e le fatiche che qualsiasi grande risultato presuppone; infine, una presunzione tanto cieca quanto irragionevole, che fa smarrire il senso delle proporzioni e conferisce a tante persone una falsa coscienza, originata da un giudizio erroneo, e largamente sovrastimato, di se stesse. In altre parole, il mondo moderno è pieno di uomini piccoli e mediocri, che si credono degli eroi e dei giganti; di uomini meschini e interessati, che vorrebbero vedersi riconosciuti dei meriti inesistenti, e divorati da un’ambizione che li spinge a mentire, ingannare e tradire, pur di avvicinarsi alla meta agognata. Da questo tipo umano, frequente e dozzinale, ha origine la turba dei falsi discepoli; se, poi, il falso discepolo s’incontra con un falso maestro e si mette alla sua sequela, il risultato sarà ancor più disastroso e l’allontanamento dalla verità sarà totale e irreparabile. Ecco perché, di regola, il vero maestro si sceglie personalmente il proprio discepolo, e non avviene il contrario, cioè non è il discepolo che si sceglie il maestro. Quando un discepolo si sceglie il proprio maestro, compie un atto simile a quello di chi, recatosi al supermercato, si sceglie il tipo di frutta o di verdura o di conserva che intende acquistare: atto che implica un giudizio; ma il vero discepolo non pretende affatto di giudicare il maestro, perché giudicare significa essere superiori a ciò che viene giudicato. Ora, se il discepolo fosse in grado di giudicare il suo maestro, allora non sarebbe più quel che è, un discepolo; sarebbe già un maestro: ma se fosse un maestro, non avrebbe neppure bisogno di mettersi alla sequela di un altro. Potrebbe andare in cerca della verità da se se stesso, con le sue forze: fatta salva la precisazione di cui sopra, e cioè che nessun essere umano, con le sue sole forze, potrà mai giungere alla verità in senso assoluto, né da solo, né con la guida di qualcun altro.

E ora vediamo che cosa, esattamente, il maestro può insegnare al discepolo circa la verità. Diciamo per prima cosa che non può insegnargli la verità in se stessa, ma solo la strada che conduce verso la verità. Abbiamo detto che la verità è un atto, l’atto del giudicare; aggiungiamo ora che questo giudizio è anche un riconoscimento. Colui che giunge alla verità, vede che la cosa è conforme al suo giudizio, e ne gioisce. Pertanto, chi ha visto la verità non può insegnarla, nel senso che non può farla vedere, perché la verità o viene vista direttamente, oppure rimane inaccessibile; il maestro non tenta nemmeno di descriverla, perché si tratta di un’esperienza ineffabile, che nessuna lingua umana può dire, e nessun orecchio umano può udire. Egli può solo spiegare per quale via e con quali mezzi è possibile giungere, personalmente, al cospetto della verità; poi, il discepolo dovrà fare da solo. Nessuno può sostituirsi a un altro nell’esperienza della verità, perché si tratta di un’esperienza assolutamente personale. Forse che un esperto alpinista può trasportare il suo allievo, per magia, sulla cima di un’alta ed impervia montagna? Evidentemente non lo può fare; può solo insegnare in che modo, per quale via e grazie a quali accorgimenti l’allievo può arrivare in cima a quella vetta, ma con le sue forze, e mettendosi in gioco di persona. Si comprende allora perché il mondo sia pieno di maestri cialtroni e di discepoli millantatori: gli uni si vantano d’esser giunti in cima e di potervi condurre anche gli altri, mentre non sono mai saliti oltre le prime rocce; gli altri si gloriano d’aver fatto altrettanto, ma forse quelle montagne le hanno viste solo in cartolina. Riassumendo: alla domanda se la verità può essere insegnata, possiamo rispondere affermativamente, ma solo fino a un certo punto. Non si può insegnare un’esperienza personale; si può solo indicare con quali mezzi farla a propria volta. D’altra parte, si è visto che il mondo pullula di falsi maestri e falsi discepoli; perciò bisogna aggiungere che, di fatto, quella che è una possibilità remota ma possibile, si restringe fin quasi a sparire. E dunque perché non mettersi alla sequela del solo Maestro totalmente veritiero?