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L’intellettuale? Un fighetto che non ha capito un c*

di Francesco Lamendola - 25/02/2019

L’intellettuale? Un fighetto che non ha capito un c*

Fonte: Accademia nuova Italia

Chi è l’intellettuale, esattamente, oggi? A quale figura sociologica corrisponde, di grazia, questo personaggio misterioso e un po’ romantico, tanto ammirato quanto elusivo? Non si fa in tempo a battergli le mani, che ecco, è già sparito, dissolto, è andato altrove, non abita più qui. Vuoi vedere che il segreto del suo fascino è proprio la distanza? Che, a vederlo da vicino, si resterebbe terribilmente delusi? E che proprio per questo distribuisce indirizzi falsi, recapiti immaginari, come l’elenco telefonico di Atlantide? Vuoi vedere che lui è sempre altrove, quando lo si cerca, quando lo si vorrebbe poter guardare in faccia, porgli qualche domanda diretta: perché solo così il suo spirito può aleggiare sovrano, maestoso, può librarsi in tutta la sua possanza, massiccio, aureolato di gloria, circonfuso di luce, infinitamente seducente, proprio perché inafferrabile e irraggiungibile? Talmente inafferrabile e talmente irraggiungibile che, forse, se lo si cerca nel presente, si finisce per scoprire di aver sbagliato secolo; se lo si va a cercare nel passato, ci si sente dire che ha traslocato, provate a cercare nel presente. Insomma l’intellettuale è una figura del XX, anzi del XIX secolo, se non del XVIII, il secolo dei Lumi; però è anche una figura del presente, dell’attualità; o forse né del presente, né nel passato, ma di sempre; o forse una figura archetipica, primigenia, inconscia, subliminale… Come in un gioco degli specchi. Diceva Marx, con molta malignità - com’era nelle sue corde - che in Germania perdonavano a Proudhon di essere un cattivo filosofo, perché passava per un buon economista francese, mentre in Francia gli perdonavano di essere un cattivo economista, perché passava per un buon filosofo tedesco. Similmente potremmo sospettare che l’intellettuale passa per una figura importante ovunque non lo si metta troppo alle strette, non lo si costringa a mostrare il viso e soprattutto a rispondere a delle domande vere, cioè non preconfezionate e non concordate con il solito giornalista ossequiente, per non dire servile. Perché poi, se si riesce a fermarlo da qualche parte, tirandolo per la falda della giacchetta, e gli si fanno quelle tali domande, si scopre che non sa dire nulla di sensato, perché le domande, lui, è addirittura abituato a farsele da solo, sempre grazie alla compiacenza di un sistema dell’informazione che tiene a libro paga tanto lui che il finto giornalista il quale lo dovrebbe, in teoria, intervistare, e che invece si limita a dargli carta bianca per farsi le domande e le risposte da se stesso, beninteso senza che il pubblico (minchione) ne venga a conoscenza… Anche perché il pubblico che ha voglia di dedicare tempo alle interviste e ai salotti degli intellettuali politicamente corretti, minchione lo è davvero, e non domanda niente di meglio che di esser minchionato. Al che, come direbbe il buon Padron ‘Ntoni, sarebbe un peccato di Dio non minchionarlo all’ennesima potenza, e di gusto, proprio come si merita e come, del resto, ardentemente desidera…

Ma ecco, un altro sospetto ci sfiora la mente: forse siamo ingiusti. Forse pretendiamo di dare un volto, un nome, un’etichetta, a un essere aeriforme, che per sua natura non può essere circoscritto, non può essere individuato e catalogato. Domandiamo se sia uno scrittore, e ci sentiamo rispondere che forse è un pensatore; allora andiamo nel reparto pensatori, ma qualcuno ci suggerisce che dovremmo provare invece fra i sociologi; allora andiamo dai sociologi, e là qualcuno ci sussurra che probabilmente è un critico… Ma un critico di che? Un critico d’arte? O musicale? O cinematografico? Eh, via, ci risiamo: voi volete saper tutto, ma non avete capito niente. L’intellettuale odierno è figlio del suo tempo: il tempo del pensiero debole, dell’antiromanzo, dell’antieroe, dell’antiteatro, del surrealismo, del dadaismo e di tantissimi altri ismi. Insomma, chiedere chi è, cosa fa, sono domande troppo forti; ascoltate piuttosto quel che vi dice Wittgenstein, quel che vi dice Russell: ha senso porre la domanda su chi è questo e chi è quell’altro? Avrebbe un senso, se si riferisse a una verità di fatto; ma qui siamo in presenza di una verità di principio. Vale a dire: l’intellettuale esiste, certo che esiste: altrimenti su cosa mai poggerebbe il Pensiero Moderno?; però, se volete per forza che ve ne mostri uno, che ve ne indichi con scurezza un tipo, ecco che non andiamo più d’accordo, questa è una verità di fatto, e per le verità di fatto ci vuole il naturalista, o magari l’impiegato del catasto, mica il filosofo. E qui stiamo parlando da filosofi, perdio; qui stiamo ponendo la domanda se ci sia, oggi, una categoria di professionisti del pensiero e il pensiero, si sa, comprende tutto: la critica, la sociologia, la speculazione, la logica, insomma tutto… Insomma, se volete essere uomini di mondo e non dei poveri bifolchi e contadini screanzati; se volete somigliare almeno un poco a quell’intellettuale che vi sta tanto a cuore, allora mettetevi bene in testa che non è buona educazione spiattellare chiaro e tondo: Dov’è?, voglio vederlo; no: ma dovete entrare, togliervi i guanti, sedere con nonchalance e mettetevi a parlare di tutt’altro, se possibile con aria annoiata, e comunque assolutamente priva d’impazienza, così, del più e del meno. A un certo punto, se saprete aver pazienza e buone maniere, la presenza dell’intellettuale si svelerà da sola, e voi potrete vederlo e forse perfino rivolgergli una o due domande (non di più, mi raccomando; tre sarebbero già troppe, e più di tre, una cafoneria). Però mi raccomando, non siate avidi, né grossolani, né siate invadenti: buon gusto, cari miei, buon gusto e savoir faire! E non crediate che l’intellettuale, dopo avervi regalato la sua epifania, resti lì chissà quanto per soddisfare i vostri comodi; ha cento cose importanti da fare; tutti lo vogliono, tutti lo cercano: non dovete essere egoisti, siate generosi e lasciatelo andare, ci sono altri orecchi e altri occhi che bramano di udirlo e di vederlo, un po’ per ciascuno e lui non si tira indietro, qualche perla della sua saggezza è disposto a regalarla ovunque, distribuendola equamente.

Queste riflessioni, chissà perché, ci sono sorte spontanee l’altro giorno, quando ci è capitato in mano un libro un po’ vecchiotto, ma che allora andava per la maggiore, Il diavolo in testa di Bernard Henry-Lévi: classe 1948, famiglia ebraica sefardita, figlio di un multimiliardario, tre matrimoni al suo attivo, amicizie ultrapotenti (Sarkozy, Carla Bruni), classico intellettuale parigino radical-chic, padre nobile (si fa per dire) della nouvelle philosophie (i francesi sono particolarmente generosi nel distribuire a chiunque l’appellativo di philosophe, che da loro non vuol dire un c…, quasi come il philosopher negli Stati Uniti, qualifica che non si nega a nessuno, purché sappia leggere e scrivere). Dunque, chissà perché il nome di Bernard-Henry Lévi ci ha risvegliato lontani ricordi, ricordi dell’adolescenza, degli anni dell’università, quando l’Europa e il mondo trattenevano il fiato e pendevano, ammirati, dalle labbra di questi signorini ricchi e (si diceva) molto intelligenti della nouvelle philosophie, che avevano il fascino, per la destra, di aver rotto con la sinistra e perfino con il sacro Padre Freud, e simpatici alla sinistra perché condannavano il sistema capitalista ed erano dalla parte dei poveri e delle minoranze angariate, almeno a parole. Geniale: avevano scoperto la ricetta magica per piacere a tutti e per sembrare rivoluzionari a tutti, cosa evidentemente impossibile a fil di logica, ma non impossibile a loro, dotati del dono dell’ubiquità e della facoltà del teletrasporto, in modo da smaterializzarsi dalle cause impopolari e da riapparire nel bel mezzo delle cause popolari, strappando sempre l’applauso, sia dal pubblico di qua che da quello di là. Una cosa magnifica, portentosa, anche perché confermava la teoria dei campi unificati di Einstein e si prestava mica male a suggestivi accostamenti ai romanzi di fantascienza di Murray Leinster sugli universi paralleli e perfino all’eterna ripetizione dell’uguale di nietzschiana memoria. Insomma un trucco talmente furbo da meritare un brevetto, ma naturalmente ci avevano già pensato loro a brevettarlo, per cui potevano avvantaggiarsene loro soltanto, in regime di monopolio assoluto, se ci provava qualcun altro era un abusivo, un bracconiere, un fascista o un marxista, gente obsoleta, gente che ha fatto il suo tempo e dovrebbe avere la decenza di non farsi più vedere in giro, perché manda cattivo odore. Mentre loro, oltre che giovani e belli, i Bernard-Henry Lévi, gli André Glucksmann, erano sempre attuali, magri e scattanti, abbronzati anche d’inverno, ma con moderazione, tonici e malinconici, ma non troppo (malinconici), giusto quel che serve per non sfigurare nel confronto coi loro temibili rivali, gli esistenzialisti allievi di Sartre e di Camus, quelli con l’impermeabile spiegazzato e la cicca stretta fra le labbra, l’occhi perennemente strizzato per difendersi dal loro stesso fumo…

Ci si consenta di presentare ai giovani di oggi, che forse  non lo conoscono, l’intellettuale-tipo del tardo XX secolo, ma che non demorde neppure oggi (non demordono mai, costoro), nella persona di Bernard-Henry Lévi, citando una parte della voce a lui dedicata dia Wikipedia:

 

Lévy è sposato in terze nozze con l'attrice francese Arielle Dombasle. Sua figlia Justine Lévy, avuta dal primo matrimonio con Isabelle Doutreluigne, è una scrittrice di bestseller, nonché ex moglie di Raphaël Enthoven (filosofo e amico di famiglia dei Lévy, ex compagno di Carla Bruni, la futura moglie di Nicolas Sarkozy per cui Enthoven lasciò la figlia di Lévy). BHL ha avuto anche un figlio, Antonin-Balthazar Lévy, dalla sua seconda moglie Sylvie Bouscasse. È membro del comitato editoriale dell'editore Grasset, e dirige la rivista La règle du Jeu ("La regola del Gioco"). Scrive, inoltre, settimanalmente una colonna per il periodico Le Point. Ha presieduto il consiglio di sorveglianza del canale televisivo culturale franco-tedesco La Sept-Arte. Dopo la morte di suo padre André, nel 1995, Bernard-Henri dirige l'azienda paterna, la Becob, fino alla sua vendita nel 1997, per 750 milioni di franchi, all'imprenditore francese François Pinault. (…)

Bernard-Henri Lévy è il massimo rappresentante della nouvelle philosophie, fondata con altri intellettuali negli anni settanta. La gran parte dei "nuovi filosofi" francesi partì dal background del marxismo e del maoismo del Sessantotto, specie di area esistenzialista (Jean-Paul Sartre, Simone de Beauvoir), ripudiando poi le due ideologie comuniste come un sistema totalitario, ma oppose una netta critica di base umanistica anche al capitalismo, al conservatorismo e alla destra nazionalista, sia "vecchia" sia "nuova”.

Altri importanti modelli di ispirazione di Lévy e dei "nuovi filosofi" furono Michel Foucault, l'illuminismo, il post-strutturalismo, Friedrich Nietzsche, Martin Heidegger, Emmanuel Lévinas e Albert Camus. Invece la visione meramente politica di Lévy, negli anni successivi, è ispirata principalmente ad Alexis de Tocqueville e altri filosofi liberali come Karl Popper. Religiosamente Lévy si considera “orgogliosamente ebreo’”, ma ebreo “modesto e secolare”, oltre che agnostico. (…).

Nel 1985, firma una petizione a favore dell'armamento, da parte degli Stati Uniti, dei Contras, i gruppi paramilitari di estrema destra attivi in Nicaragua durante la guerra contro il governo sandinista sostenuta da Ronald Reagan. Lévy, amico di Nicolas Sarkozy dal 1983, ne ha però preso le distanze dal 2007 in poi, riavvicinandosi nel 2011. Ha inoltre sostenuto anche il Partito Socialista. Nel 2014 ha dichiarato di apprezzare il premier italiano Matteo Renzi.

Il filosofo si dichiara un difensore dei diritti umani, ed è inoltre molto critico nei confronti di dittature, regimi autoritari (come quello di Vladimir Putin; si è schierato a favore dell'Ucraina nel conflitto scoppiato nel 2014 con i filorussi e contro l'islamismo; ha difeso le caricature di Maometto sullo Jyllands-Posten e quelle di Charlie Hebdo, firmato il manifesto “Insieme contro il nuovo totalitarismo”, essendo anche un difensore dello Stato d'Israele e un deciso avversario dell'antisemitismo. Lévy ha anche portato alla ribalta il caso di Sakineh Mohammadi Ashtiani, non senza ricevere critiche di strumentalizzazione della vicenda a fini politici.

Ha anche difeso Pio XII e Benedetto XVI dagli attacchi diretti loro dalla comunità ebraica, criticando poi l'anticattolicesimo di alcuni ambienti (…)

Nel 2009 ha difeso il regista franco-polacco Roman Polański, arrestato in Svizzera e a rischio di estradizione verso gli Stati Uniti, dove era ricercato dietro un'accusa di "rapporto sessuale illecito" (prima stupro, poi derubricata ad atto consensuale) con una modella minorenne di 13 anni e 11 mesi, Samantha Geimer, fatto avvenuto nel 1977. Levy sottolineava il tanto tempo trascorso e affermava la necessità di una prescrizione, visto anche il perdono pubblico concesso al regista dalla vittima stessa e le tante traversie subite da Polanski, sopravvissuto alle persecuzioni naziste e vittima di un tragico omicidio familiare negli anni sessanta. Lévy firmò anche una petizione in favore di Polanski, che infine fu rilasciato.

In un caso analogo di scandalo sessuale, nel 2011 ha difeso pubblicamente il politico Dominique Strauss-Kahn (esponente del Partito socialista ed ex Presidente del Fondo Monetario Internazionale), arrestato a New York con l'accusa di violenza sessuale, e in seguito prosciolto e rilasciato.

 

Da questo ritratto di Bernard-Henry Lévy, l’intellettuale-tipo, l’intellettuale-simbolo, l’Intellettuale per antonomasia, domiciliato a Parigi, Quartiere Latino, però non troppo a sinistra, ma neppure decisamente a destra, per carità, si sa che la destra non possiede intellettuali, ma solo razzisti e zoticoni; ricco di famiglia, ricco sfondato, e tuttavia dal cuore grande e generoso (come il prete-poeta Ernesto Cardenal, ora riabilitato da Bergoglio dopo essere stato cacciato da Wojtyla, che scriveva poesie per i poveri ma che, da fazendeiro, tenero coi poveri non lo era mai stato); talmente ricco da passare a cena dai potenti più potenti, e talmente progressista da battersi sempre per i diritti civili delle categorie ingiustamente conculcate, emergono alcune cose che si possono riassumere in una semplicissima formuletta: uno che, nella sua vita d’intellettuale prestigioso e raffinato, non ne ha mai azzeccata una, ovvero che non ha mai capito un c*** di niente sul mondo in cui viviamo. Neppure le cose più elementari, quelle che avrebbe potuto capire, con un minimo di buon senso, anche l’ultimo portinaio o facchino sottopagato delle Halles. Mentre lui, i suoi libri e i suoi articoli pieni zeppi di pie banalità spacciate per diamanti e pietre preziose (che cosa hanno detto, in conclusione, di originale, questi nuovi “filosofi”? Per quale pensiero filosofico li si ricorda?), e quelli come lui, i nouveaux philosophes, se li facevano pagare sull’unghia e pure bene, dai maggiori editori e quotidiani esistenti sulla piazza. 

Ricapitolando, infatti, risulta che il suo background culturale, dopo una fase iniziale di fascinazione marxista, maoista ed esistenzialista, risulta da una mescolanza non troppo originale, né troppo coerente d’illuminismo, strutturalismo, neostrutturalismo, nietzschianesimo, positivismo, liberalismo, laicismo e fierezza ebraica. I suoi interventi politici hanno visto il sostegno militante alla sporca guerra dei Contras antisandinisti finanziati dal governo americano, e registrato l’amicizia con Sarkozy, raffreddatasi e poi tornata a divampare proprio nell’anno in cui il capo dell’Eliseo scriveva la pagina più vergognosa del suo mandato, l’aggressione banditesca alla Libia spacciata per intervento filodemocratico e umanitario. Circa i cugini italiani, questo campione d’intelligenza ha puntato le sue carte su Matteo Renzi, la “grande novità” politica tanto cara alla finanza mondiale, alla BCE e ai vari Soros. In positivo, il signor Bernard-Henry Lévi si dice un grande difensore dei diritti umani, qualsiasi cosa significhi tale espressione; e quindi un paladino del’Ucraina minacciata da un “dittatore” come Putin, il bieco  zar di Mosca, il quale vorrebbe, pensate un po’, combattere seriamente i terroristi islamici, come ha fatto in Siria, difendere la civiltà europea e il cristianesimo, e rifiutare il giogo del dollaro come valuta per i pagamenti internazionali. Eh sì, veramente intollerabile: ma chi si crede d’essere, questo Putin? Essendo inoltre uno strenuo difensore del laicismo, Lévy è anche a favore della libertà di offendere le religioni altrui, come fanno quelli di Charlie Hebdo nei confronti dell’Islam; ma non è, si capisce, altrettanto tollerante contro quanti avanzano la sia pur minima critica allo Stato d’Israele e al sionismo: infatti, essendo il prototipo dell’intellettuale politicamente corretto, è anche tutt’uno con l’antisemitismo, chi tocca Israele muore, va bene la tolleranza verso tutti, ma insomma fino a un certo punto. Libertà di oltraggio nei confronti di chiunque, ma lasciamo stare gli ebrei, altrimenti si va a toccare la dignità della sola Religione Universalmente Riconosciuta: quella dell’Olocausto. Ed essendo uno strenuo difensore dei diritti umani, fra l’ebreo Roman Polanski che sodomizza una bambina di tredici anni e quest’ultima, indovinate da che parte sta, e per chi invoca clemenza? Ma sì, cos’è tutto questo accanimento moralistico contro un uomo che ha già sofferto tanto, gli hanno pur ammazzato la moglie Sharon Tate, e poi appartiene a un popolo che,anch’esso ha sofferto tanto, più di tutti gli altri. Senza contare che dal fattaccio di quella violenza sessuale è passato tanto tempo, e che la stessa vittima ha perdonato il suo violentatore. Perché dunque non essere comprensivi verso il grande regista? Si potrebbe seguitare, ma ci par che basti. Se questo è il ritratto d’un grande pensatore, un grande scrittore, un grande intellettuale, anzi del vero Intellettuale, figuriamoci quel che ci si può aspettare dai suoi amici un po’ meno dotati. Eppure non demorde, non sta zitto, non va in pensione: è ancora sulla breccia, a settant’anni suonati polemizza coi “nuovi filosofi” della nouvelle vague (c’è sempre una nuova ondata da quelle parti, sicché la precedente diviene subito vecchia), litiga con Michel Onfray che l’ha beccato a fare una citazione assurda. Grande battaglia d’idee, vero? Come volavano in alto le idee quando invece d’intellettuali c’erano uomini di cultura...