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Noi africanizzati, loro alienati

di Marcello Veneziani - 25/02/2019

Noi africanizzati, loro alienati

Fonte: Marcello Veneziani

Perché dopo decenni di aiuti umanitari, di piani d’assistenza consistenti in diversi miliardi di dollari, l’Africa esplode, la miseria dilaga e soprattutto la gente scappa dalla propria terra? Cosa non ha funzionato, cosa ha aggravato la situazione al punto di spingere le popolazioni a partire? Come mai si è acuita la loro dipendenza anziché diminuire, si è aggravata la loro incapacità di autonomia, pur disponendo di grandi risorse naturali? Che ruolo hanno avuto le forme subdole di neo-colonialismo? C’è un deliberato disegno di svuotamento dell’Africa e di terzomondizzazione dell’Europa e dell’Occidente, lato nord?
Lasciamo stare i complotti e la metafisica del male. Facile sbrigarsela con un rito esorcistico, evocando i soliti nomi e le solite sigle che tutti conosciamo, che gestiscono l’economia mondiale e regolano i flussi. Molti fattori si intersecano ed è puerile ridurli a uno solo, credere che tutto dipenda da un Grande Disegno Unico ordito da un Centro Occulto di Potere. Troppi e divergenti sono i fattori d’influenza. E giustamente Ilaria Bifarini nel suo libro dedicato all’Africa li sottolinea: penso per esempio al ruolo preminente e inquietante della Cina in Africa che non risponde a un progetto occidentale della Banca Mondiale o del Fondo Monetario Internazionale.
Però è ancora più assurdo fermarsi alle cartoline, alla fuga dei popoli dalla fame e della miseria, delle guerre e dai genocidi, o più semplicemente alla ricerca di benessere e di incolumità. Un processo si è innescato da quando il mondo è diventato una scatola dentro il Mercato globale, e non l’inverso. Cioè da quando un modello globale ed egemonico, fondato sul primato assoluto economico-finanziario, di tipo neoliberista, imperniato sull’uso del debito e dell’indebitamento, guida il mondo. E ha generato una serie di traffici umani, economici e demografici che stanno sconvolgendo il pianeta: non solo migrazioni, ma anche traffici di organi, di uteri e di adozioni, o rimesse in patria degli immigrati per pagare i debiti contratti in loco, prima che per sostenere le loro famiglie). Paghiamo caramente le conseguenze di quel modello.
Sullo sfondo vi sono poi le tragedie incrociate: la denatalità dei paesi benestanti e l’esplosione demografica dei paesi poveri, lo squilibrio assoluto e stridente tra i due mondi, “l’inevitabile” invasione degli ultimi e la riduzione del mondo a una platea sempre più vasta di bisognosi e una minoranza sempre più ristretta di detentori della ricchezza e della potenza. Con la scomparsa, l’avvilimento del mondo di mezzo, la borghesia, il ceto operaio non ridotto alla miseria, i ceti artigianali, agricoli indipendenti.
Insomma c’è un intreccio di fattori e di volontà, di processi economici e demografici ma anche di disegni ideologici e finanziari che hanno generato questa situazione. E c’è il collasso, l’impotenza o il ruolo negativo dei grandi organismi internazionali come l’Onu e le altre organizzazioni internazionali umanitarie. Manca una potestas sovraordinata in grado di governare gli effetti e più vastamente il Caos globale.
Ernst Junger invocava per l’Anarca il passaggio al bosco e per i popoli l’avvento di uno Stato planetario in grado di fronteggiare il dominio dell’economia, della finanza e della tecnica. Ma a uno Stato Etico Mondiale pensavano anche gli utopisti dell’internazionalismo, i cosmopoliti illuministi, i fautori dei diritti umani e del diritto d’ingerenza umanitaria. Cioè coloro che vogliono dare un compimento politico-poliziesco al Nuovo Ordine Mondiale, e allo Stato-Gendarme del mondo e cancellare le differenze dal mondo.
Intanto nell’interregno tra le sovranità tramontate e le sovranità non ancora sorte, il mondo si disegna per aree d’influenza irriducibili a una Sola Superpotenza: gli Usa, la Russia, la Cina e il sud-est asiatico, l’India, il ribollente subcontinente sudamericano, e infine i tormentati continenti europeo e africano.  Manca il ruolo sovraordinato della politica, un tempo identificato con l’Impero. E manca la visione di una sovranità di aree, di spazi vitali, come li aveva delineati Carl Schmitt nel Nomos della Terra. Nell’attesa, tocca allora agli stati nazionali o alle unioni, alle confederazioni di stati il compito di rispondere a questi processi, di governarli, di arginarli.
Intanto, è giusto l’approccio di Ilaria Bifarini: capire le cause anziché limitarsi al buonismo falso e peloso degli uni o al cinismo sbrigativo ed egoistico degli altri. E sulla base di quelle, azzardare qualche linea di risposta.
Intanto che succede? Loro esportano miseria, noi esportiamo depressione. Col rischio doppio di africanizzare l’Europa e di devitalizzare l’Africa, alienando le popolazioni di entrambi e privandole di energie, dignità e sovranità.

prefazione a I colori dell’austerity di Ilaria Bifarini, Altaforte edizioni, 2019