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Dopo Verona. la famiglia è di destra?

di Roberto Pecchioli - 07/04/2019

Dopo Verona. la famiglia è di destra?

Fonte: Ereticamente



Il congresso delle famiglie di Verona ha chiarito molte cose. Innanzitutto ha dato ragione a Carl Schmitt: raramente il crinale amico-nemico è apparso più netto dopo l’isterica contromanifestazione preventiva, gli attacchi scomposti della grottesca troupe itinerante degli indignati di professione in nome del (loro) progresso, l’imbarazzo umiliante della Chiesa cattolica, la presa di distanza dei cosiddetti moderati di matrice liberale, la discesa in campo dell’intero corpo d’armata del sinistrume mediatico, culturale, politico. Nell’anno del Signore 2019, la famiglia è di destra. Chi ci segue conosce la nostra idiosincrasia per il termine, l’irriducibile distanza da certe posizioni economiche e sociali, il fastidio per gli attardati eccessi questurini. Eppure, il nocciolo della questione, lo diciamo con tristezza, è tutto qui: preso atto della mobilitazione massiccia, selvaggia, carica di rancore della sinistra e di settori importanti dei circospetti e liberali, la famiglia è diventata di destra.

Altrettanto lo è affermare che il sole sorge ogni mattina e i bambini hanno un padre e una madre. Il grande scrittore Gilbert K. Chesterton fu un profeta quando disse che si sarebbe dovuto sguainare la spada per osservare che l’erba è verde in primavera. Aveva ragione anche riconoscendo che la famiglia è stata sconfitta dal capitalismo, questo fenomeno distruttivo le cui ingiustizie hanno portato per reazione alla nascita del comunismo. Lo spettacolo devastante di odio, triviale intolleranza, la discesa in campo dell’anti Italia dinanzi al congresso delle famiglie dovrebbe aprire gli occhi a chiunque abbia occhi per vedere e cervello per pensare.

L’Occidente terminale ha trovato il suo nemico definitivo, l’ultimo da sgominare, la famiglia appunto, con tutti i principi esistenziali, comunitari e morali che rappresenta. Sarebbe più esatto affermare che il nemico del progressismo trasversale – nato a sinistra, pagato a destra, che rappresenta, per disgrazia, l’asse delle società postmoderne- è la natura. L’attacco vero, assoluto, è infatti contro l’impero della natura, il creato dei credenti. Nulla di ciò che ha disposto è approvato dal transumano contemporaneo. I bambini non devono avere un padre e una madre, addirittura non è bene che si distinguano tra maschietti e femminucce; la sessualità tra uomo e donna è solo uno tra i tanti “orientamenti”, il più fastidioso, giacché porta a nascite indesiderate. Chi crede nella famiglia “tradizionale “(a proposito, non cadiamo nella loro trappola, quel modello non è tradizionale, ma naturale!) è uno sfigato – Di Maio dixit, maestro di pensiero giunto a miracol mostrare – gli avversari dell’aborto vogliono rinchiudere le donne in casa e togliere loro “diritti”. L’omosessualità è bellissima, l’eteropatriarcato è una schifezza, la gravidanza un ruolo sociale.

La battaglia sui principi fondanti di una società è più importante dell’assetto economico. Abbiamo nemici numerosi, potentissimi e trasversali. Alle Boldrini, Camusso e Bonino di sempre si sono uniti esponenti di centro e centrodestra. Sorprendono dichiarazioni come quella del governatore veneto Zaia, secondo cui “l’omofobia è una malattia, senza se e senza ma”, l’indifferenza ostile dei liberali, la timidezza dei preti. Per loro, dimentichi dell’esortazione di Gesù a parlare chiaro, “le vostre parole siano sì sì, no no, il di più vien dal maligno”, i congressisti hanno ragione nella sostanza, ma non nel metodo. Poiché non risulta che abbiano aggredito, insultato, né impedito l’esercizio del dissenso, dobbiamo pensare che il metodo gradito ai buoni padri sia il silenzio, l’acquiescenza, accompagnato da qualche sospiro e aggrottar di sopracciglia rigorosamente in camera caritatis.

Eh, no, signori preti e cattolici “in uscita” (dalla fede?), chi tace acconsente e l’esibizione della prudenza è la virtù dei vigliacchi. Sentenzia il gesuita Spadaro, grande amico di Bergoglio: “la cultura della famiglia non può essere la parte strumentale di una culture war”. Ci perdoni, illustre servus Jesus, ma se la famiglia, nei due millenni della sua Chiesa, è stata una cultura strumentale, avete ingannato generazioni intere. Chi, se non la Chiesa cattolica, avrebbe le armi per combattere una battaglia culturale di ampio respiro, la disdicevole “culture war”, meglio il silenzio e l’8 per mille, nevvero? Lasciamo certi consacrati ai loro affari e al fastidio di vedere qualche cattolico attardato, male informato sulle novità della pastorale, ostinato a vivere da credente.

La verità, triste, è che avevamo tutte le risposte, ma ci hanno cambiato tutte le domande e le parole per esprimerle. I toni utilizzati dal nemico che ci vuole distruggere, nemico è chi il nemico fa, sono talmente volgari, disgustosi e sovreccitati da ricordare un pessimo intellettuale del dopoguerra, Ugo Vittorini. Un suo libro sulla resistenza si intitolava Uomini e no. A questo siamo tornati, la qualità di essere umano è revocata senza appello a chi non la pensa come loro. L’intera armata progressista è ormai intrisa dei peggiori istinti che attribuisce all’ odiato Altro. Sono razzisti etici, suprematisti, poiché la loro ragione è unica, autoevidente, non ha bisogno di dimostrazione, tanto meno di abbassarsi alla discussione. Vivono in un’ignoranza fatta di luoghi comuni di terz’ordine: i richiami al Medioevo sono così numerosi e irritanti da rendere inutile ogni replica.

Chi crede nella famiglia, non santifica l’aborto, è contrario all’omosessualismo, vive nel Medioevo. Niente di male, fu un millennio in cui operarono Benedetto da Norcia, Francesco d’Assisi, Caterina da Siena, Carlo Magno, Dante Alighieri, Federico II, Tommaso d’Aquino, il tempo in cui nacquero le università, in cui le conquiste della matematica e dell’ingegneria portarono alla costruzione delle cattedrali, ma anche alle grandi opere di irrigazione e ingegneria civile. Nel Medioevo furono inventate la scrittura musicale e la bussola, scritti i primi codici giuridici della navigazione (Trani, Italia, 1066) e Giotto dipingeva meglio degli espressionisti astratti. Però non si abortiva legalmente e Pier Damiani poteva scagliarsi contro la sodomia del clero senza essere denunciato per omofobia. Parlava, ohibò, in nome di Dio, un’idea espunta dalla storia in quanto frutto del passato, quell’orribile sentina di schifezze da cui ci siamo liberati.

I signori del progresso stanno lasciando nelle nostre mani una battaglia fondamentale, per nulla confessionale, anzi laicissima. Le idee di famiglia e di matrimonio sono un elemento centrale dell’ingresso delle comunità umane nella civiltà. Distruggerle significa regredire di migliaia di anni, uscire dal recinto della legge – altra conquista della civilizzazione – e precipitare negli istinti, nella giungla del “poliamore” caro a mondialisti come Jacques Attali, rientrare nel buio della guerra di tutti contro tutti. Qui sta il punto: è il capitalismo nella sua versione terminale, il nemico assoluto. La famiglia, come la comunità destrutturata, è il bastione più forte contro la mercificazione globale, è il luogo dove non si misura ogni cosa in dare e avere, prodotto interno lordo, partita doppia.

E’ il regno –l’ultimo- della gratuità, dei rapporti che Ivan Illich definiva conviviali, in cui si prende e si dà senza cartellino del prezzo. Le relazioni intrattenute in assenza di calcolo dei profitti e delle perdita dispiacciono al mostro neoliberale. Prima hanno ricondotto tutto, matrimonio compreso, a un contratto con articoli e capitolati, penali e descrizioni minuziose; ora passano alla fase ulteriore, nessun legame, tutto deve essere liquido, casuale. I figli sono prodotti da ordinare sul mercato, statura, colore della pelle, sesso, pardon genere. Osceni cataloghi sono disponibili in rete, ma i nazisti non sono loro, i caini antiumani del progresso, bensì chi richiama all’accoglienza della vita, chi smaschera lo schiavismo sessuale, la compravendita di ovuli e sperma, la riduzione zoologica dell’uomo, pratiche come l’utero in affitto che avrebbero fatto indignare Carlo Marx.

Alla fine, il verbo di Adam Smith resta il più sincero: gli individui stanno insieme solo per interesse e “non è dalla benevolenza del macellaio e del fornaio che avremo pane e carne”. Hanno inteso mettere tutti contro tutti, uomini contro donne, giovani contro anziani, genitori (1, 2, 3 quanti ne vogliamo) contro figli. Nessuno deve essere ciò che è, ma quello che gli suggerisce, cioè impone, il sistema. Oggi sei donna, domani etero, dopodomani ti senti cinese e l’anno prossimo chissà. Importante è essere buoni consumatori, credenti e osservanti della religione del progresso, dell’acquisto e del desiderio.

Si sono ribattezzati paladini dell’amore, se possiamo usare il termine battesimo, simbolo oscurantista della religione imposta dai genitori 1 e 2 al povero nascituro. Loro sono tutto amore, gli altri malvagi dispensatori di odio. L’alfiere della nuova crociata del Bene, del Giusto, dell’Uguale e del Progresso fu Barack Obama, che salutò come vittoria dell’amore il matrimonio omosessuale introdotto nel cuore dell’impero neoliberale. Strano riferimento, se poi tutto, a cominciare dal matrimonio, è trattato come un contratto da stracciare a piacimento. Presto avremo le nozze a tempo, il problema è come fare con i figli. Ma esiste la soluzione: possono essere affidati a cooperative, comuni collettive o allo Stato, imponendo di non farli crescere secondo istinto biologico naturale. Essenziale è che si estirpi la famiglia: totalitarismo disgustoso mascherato da emancipazione.

Lascia senza fiato il farmaco che inibisce lo sviluppo sessuale secondo natura prima della pubertà, da somministrare già a dieci-undici anni. Questi sono i frutti del “loro” amore, il segno del progresso, la vergogna del mercato pronto a vendere qualsiasi porcheria in nome della libertà e, come no, dei sacri diritti dei consumatori nel circo commerciale. Anche l’eutanasia è un atto d’amore, in cui sono all’avanguardia le socialdemocrazie nordiche e i baluardi dell’etica mercantile come l’Olanda, in cui a pagare le campagne per la legalizzazione della “dolce morte” furono le assicurazioni sanitarie. L’ombra sinistra della morte pervade un mondo estenuato che chiama amore ogni capriccio e libertà qualunque istinto. Eros e Thanatos, come nei peggiori incubi sul lettino del dottor Freud.

Negli stessi giorni dell’incontro di Verona, a Barcellona, uno dei luoghi simbolo del libertarismo, girava un autobus del locale Partito Socialista, ex paladino dei lavoratori. In nome dell’amore e dell’immancabile tolleranza, sulle fiancate erano scritte quattro parole d’ordine: antifascismo, femminismo, diversità, orgoglio, con l’immagine di due uomini intenti a baciarsi. Sull’altra fiancata, per par condicio omo, il bacio tra due donne.  La causa scatenante? Il comizio di un partito di destra, Vox, antiabortista e nemico dell’ideologia di genere. Tolleranza a senso unico, tanto più che nei giorni precedenti erano stato multato un bus del gruppo cattolico Hazteoìr, Fatti sentire, che si batte contro l’aborto senza limiti anche per le minorenni.

Insomma, qui e altrove, il campo di battaglia è la morale familiare unita con la legge naturale. In materia, i signori tolleranti, amorevoli e difensori della libertà, non possono accettare opinioni contrarie, o meglio, quelle imposte senza discussione ai loro cervelli gregari dal sistema neoliberista alleato del progressismo mediatico e accademico. Nessun contraddittorio è ammesso nel nome della libertà: la sedicente società aperta, lo teorizzò Karl Popper, è non chiusa, ma sbarrata ai dissidenti provenienti dal trapassato remoto. I roghi delle streghe, comicamente imputati al medioevo e ai cattolici, laica ignoranza, vengono nuovamente attizzati per chiunque sospettato di non aderire alla Verità postmoderna. Mancano ancora, ma si stanno attrezzando, i falò della vanità della Firenze rinascimentale, non medievale, nella breve stagione di Gerolamo Savonarola, destinato a salire lui stesso sul rogo dei cangianti umori popolari manipolati dal potere.

Si afferma un sentimento violento, incapace di sfumature, squilibrato, avverso a ogni idea ricevuta dal passato aderente al progetto della natura. L’uomo illimitato odia il tempo in cui non era presente e vuole disfarsi di ogni elemento che provenga da quelle tenebre. L’oggi e il futuro prossimo sono perduti. Una civiltà che non si riproduce, culturalmente e biologicamente, ha il destino segnato già a medio termine. Ricordava Giuseppe Prezzolini che il conservatore – sostenitore di ciò che è permanente- può non essere l’uomo di domani, ma sicuramente lo è di dopodomani. Il nemico- ormai dobbiamo chiamarlo così- ci sta facendo un grande regalo, consentendoci di intestarci in esclusiva le grandi battaglie di civiltà e cultura della famiglia e dell’etica naturale.

Il congresso di Verona ha sintetizzato un progetto esistenziale che, volenti o nolenti, è un potente programma politico, un’entusiasmante grido in difesa della vita e della Patria. Chiede di sbarrare il passo a pratiche immonde come l’utero in affitto, alias gestazione per altri (sempre l’imbroglio politicamente corretto). Esige di stabilire il diritto per i bambini ad avere un papà e una mamma, a ricevere un’educazione che non metta in discussione la loro identità biologica, vivere un’infanzia e una prima giovinezza libere dalla precoce sessualizzazione. Chiede alla politica di istituire un fondo salva famiglie e di salvaguardare i diritti delle madri che decidono di non abortire, nonché di dichiarare ciò che è evidente, la natura di esseri umani dei nascituri. E’ incredibile rivendicare tali ovvietà, ma a questo siamo.

E’ un programma rivoluzionario ma non estremista, folle o negatore dei diritti di chicchessia. Chi lo afferma è in malafede anche se di professione fa il filosofo, come Sebastiano Maffettone, teorizzatore di un improbabile “cattosovranismo, un puritanesimo radicale, sicuramente fondamentalista e probabilmente vetero protestante”. Bum, professore, l’ha sparata grossa, una prova provata della perdita di prestigio della filosofia divenuta gioco verbale. In fondo, è più saggio il presidente della Camera Roberto Fico, il quale, dall’alto della sua carica, invita a prendere atto che la famiglia è cambiata, dunque occorre “adeguarsi”. Già, adeguarsi è molto più … Fico. No, anche se tutti noi no, proclamava un canto di battaglia.

Non ci adegueremo. Perché non è giusto, perché siamo convinti di avere ottime ragioni e comunque vada la battaglia, noi lasceremo traccia, a differenza dei vili, dei disertori, degli opportunisti. Infine, perché quando si rappresenta una giusta causa (quasi) perduta, bisogna suonare la tromba, saltare a cavallo e tentare l’ultima sortita, senza la quale si muore di vecchiaia nel fondo di una fortezza dimenticata che nessuno assedia perché abbandonata dalla vita.