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Dalla Siria al Venezuela

di Israel Shamir - 07/04/2019

Dalla Siria al Venezuela

Fonte: Comedonchisciotte

Pochi giorni fa, con un aereo da trasporto Ilyushin IL-62M oltre cento fra soldati e ufficiali russi sono arrivati a Caracas. Simbolicamente, avevano fatto scalo in Siria, come se avessero voluto ribadire che il Venezuela è il prossimo paese, dopo la Siria, che dovrà essere salvato dalla rovina e dallo smembramento. La missione militare era guidata dal Capo dello Stato Maggiore, il generale Tonkoshkurov (“permaloso”, un nome che avrebbe fatto la felicità di Vladimir Nabokov). “Non pensateci neanche, aveva esclamato John Bolton, ad intromettervi nell’emisfero occidentale! Giù le mani dal Venezuela! È il nostro cortile di casa!” I Russi non sono stati al gioco. Qualche tempo fa avevano cercato di obiettare ai carri armati statunitensi posizionati in Estonia, a breve distanza da San Pietroburgo, e tutto quello che avevano ottenuto era stata una predica sul fatto che sovranità significa sovranità, e che l’Estonia non aveva bisogno di chiedere il permesso ai Russi per ricevere assistenza militare da parte degli Americani. Adesso hanno ripetuto alla lettera questo sermone americano a John Bolton e al suo capo. Per prima cosa andatevene dalla Siria, hanno aggiunto.

 

Questo è un nuovo livello nelle relazioni russo-americane, o dovremmo piuttosto dire confronto. Per molto tempo, i Russi si erano autoconvinti che la loro ammirazione per gli Stati Uniti fosse reciproca, o, almeno, che sarebbe stata un giorno ricambiata. In ogni caso, questo periodo è finito, hanno aperto gli occhi e si sono finalmente resi conto dell’implacabile ostilità dell’America. ‘Questi Russi sono davvero stupidi, se se ne sono accorti solo ora,’ potreste mormorare. Basta leggere i commenti al pezzo del New York Times sulla riabilitazione di Trump da parte di Mueller per rendersi conto che l’odio verso la Russia è l’alimento base delle élite americane, alla pari con l’amore per Israele. Ecco dove siamo. Ma i Russi sono sempre stati di tradizione opposta. I Russi avevano un debole per la grande nazione al di là dell’oceano al tempo degli Zar, nei giorni dell’Unione Sovietica, e, ancora di più, negli anni post-sovietici. A loro piacevano le mirabolanti imprese dell’America, i suoi coraggiosi pionieri, i contadini, il jazz, Hollywood. Paragonavano il motto americano “Giovani, andate all’Ovest” con la loro esplorazione della Siberia. Confrontavano le loro città in rapida crescita con Chicago. Kruscev era rimasto impressionato dalle coltivazioni di mais e aveva invitato il suo popolo a competere pacificamente con l’America. Le classi dirigenti russe istruite all’occidentale (“intellighenzia”) si erano schierate con gli Stati Uniti durante la guerra del Vietnam e nei vari conflitti in Medio Oriente. Questo amore per l’America era così radicato che non esistevano (praticamente) film russi/sovietici con cattivi americani. Proprio così, non c’è un equivalente agli antagonisti di Rambo o a Igor dei classici horror. Gli americani nei film russi sono bravi ragazzi, con pochissime eccezioni nei film a basso costo. “Non ci fidiamo della Russia, non lo faremo mai. Non saranno mai nostri amici … Li colpiremo tutte le volte.” Queste parole memorabili di Nikki Haley non avevano nessun riscontro da parte russa, e questo sentimento era sconosciuto in Russia. Ora, probabilmente, tutto questo cambierà. L’ultimo film d’azione russo, The Balkan Line, racconta la storia di un commando russo che opera in Bosnia e nel Kosovo contro gli alleati della NATO, gli Islamisti trafficanti di organi del Kosovo, sulla falsariga del thriller turco, The Valley of the Wolves. È stato presentato al momento giusto, in occasione dell’anniversario del bombardamento di Belgrado, l’evento più traumatico per i Russi post-sovietici. Quando Clinton aveva ordinato il bombardamento della Serbia, alleata e correligionaria dei Russi, nonostante le suppliche e le mediazioni russe, i Russi avevano capito che il loro cambio di regime avrebbe solo provocato rovine. Il Primo Ministro russo Primakov aveva saputo della decisione di Clinton mentre era in volo verso Washington e aveva ordinato al suo aereo di effettuare un’inversione a U sull’Atlantico. Dopo pochi mesi, Putin aveva assunto la presidenza russa, e la Russia aveva iniziato il suo corso, più risoluto, ma ancora amichevole nei confronti dell’America. Tuttavia, gli Stati Uniti avevano insistito nel trattare la Russia come uno stato sconfitto, come l’Iraq dopo Saddam o il Giappone nel 1945. Questo era stato troppo. I Russi avrebbero potuto accettare di essere trattati come un vassallo, ma un vassallo importante, un vassallo a cui prestare attenzione e di cui ascoltare il parere. Il sostegno all’insurrezione islamista in Cecenia o l’incoraggiamento dell’aggressione georgiana non erano il modo in cui un sovrano giusto poteva trattare il suo vassallo. Il legame si era spezzato.

 

Fino a non molto tempo fa, avevamo solo la versione di Putin di ciò che era andato storto, era stata presentata nel film “Le interviste con Oliver Stone.” Ora abbiamo anche la versione americana e, incredibilmente, non è diversa dal reale andamento dei fatti. La versione americana degli eventi era stata presentata da William J Burns, un veterano diplomatico americano ed ex ambasciatore a Mosca. Era stata così riassunta da Vladimir Golstein della Brown University: 1. Ci si aspettava che la Russia agisse come un giovane partner, obbediente degli Stati Uniti. “L’America aveva pensato che Mosca si sarebbe abituata ad essere un nostro partner minore e che, anche se a malincuore, avrebbe accettato l’espansione della NATO fino al confine con l’Ucraina.  Ahimè, la spinta del presidente Bill Clinton per l’espansione verso est della NATO ha rafforzato il risentimento russo.” Sorpresa, sorpresa! 2. La Russia si aspettava un quid pro quo per il suo sostegno agli Stati Uniti dopo i fatti dell’11 settembre, ma “Putin ha di fatto frainteso gli interessi e la politica americana. L’amministrazione Bush non aveva alcun desiderio (e non vedeva la ragione) di fare concessioni in cambio di una partnership russa contro al-Qaeda. Aveva pochissima voglia di fare concessioni importanti ad una potenza in declino.” 3. Gli Americani non avevano prestato attenzione agli avvertimenti russi. L’ambasciatore racconta che Putin lo aveva avvertito di trattenere il focoso presidente georgiano dall’attaccare le popolazioni russe sotto la sua protezione, ma quell’avvertimento era stato ignorato. 4. Il cambio di regime guidato dagli Stati Uniti in Libia “aveva innervosito Putin; a quanto riferito, aveva guardato più volte il macabro video della morte del leader libico Muammar Gheddafi, catturato mentre si nascondeva in una fognatura e ucciso dai ribelli sostenuti dall’Occidente.” Apparentemente, a quel punto Putin si era finalmente reso conto che non c’era modo di sopravvivere, se non avesse fatto valere la posizione russa. Dopo il Russiagate, l’inimicizia tra i vecchi avversari è salita a livelli mai visti.

 

Non, Je ne regrette rien, e in particolare non rimpiango che i rapporti russo-americani siano andati di male in peggio. Il mondo ha bisogno di equilibrio, e i Russi fanno da contrappeso al pesante Zio Sam. Il momento peggiore della storia recente si è verificato intorno al 1990, quando la Russia aveva praticamente cessato di esistere come fattore importante della politica internazionale. Poi, gli Stati Uniti avevano preso d’assalto Panama e l’Iraq, bombardato Belgrado, creato al Qaeda e distrutto la propria classe lavoratrice. Se quell’arrogante negretto, autista di autobus, Maduro, avesse cercato di dire “no” a Washington negli anni ’90, sarebbe stato rapito, arrestato, processato per, diciamo, abuso di minore o traffico di droga e imprigionato per trent’anni. L’allora presidente russo Eltsin non avrebbe nemmeno notato, tra una sbronza e l’altra, che il Venezuela era ritornato sotto il dominio coloniale. Fortunatamente, ora la Russia e gli Stati Uniti a malapena si parlano, e i paesi che desiderano sfuggire al diktat imperiale hanno una scelta. Il Venezuela è nel mirino. Il presidente Maduro ha sottolineato che la visita dei consulenti militari russi era stata organizzata già da molto tempo. Sebbene tecnicamente vero, durante l’ultimo mese la posizione russa è visibilmente cambiata. Quando gli Stati Uniti avevano bloccato i conti bancari venezuelani, Maduro aveva detto di aver trasferito i conti alla russa GazPromBank. I petrolieri russi erano stati visibilmente contrariati dalla sua rivelazione. Avevo parlato con un dirigente di una compagnia petrolifera che si era lamentato delle parole incaute di Maduro. “La nostra banca verrà colpita dalle sanzioni degli Stati Uniti e noi saremo rovinati,” aveva detto. “Perché Maduro non ha potuto tenere la bocca chiusa? Avremmo gestito il suo conto, ma in silenzio, senza sfidare gli Americani.” Altri importanti funzionari di Mosca hanno detto che il Venezuela è comunque perso, ed è meglio dimenticarsene. Ma la visita a Mosca del vicepresidente venezuelano, la Señora Delcy Rodriguez, aveva rasserenato l’atmosfera. Questa signora elegante e dinamica è un oratore convincente e di prim’ordine. Era stata al centro dell’attenzione nella conferenza stampa con Sergey Lavrov. Con poche parole ben scelte, aveva disfatto la rete di bugie intessute contro il suo paese. Nonostante le sanzioni, il Venezuela se la cava meglio dei suoi vicini Colombia, Guatemala, Honduras. In Venezuela ci sono sei milioni di rifugiati economici e politici colombiani che non hanno nessuna voglia di tornare nel loro paese. Preferiscono soffrire nel Venezuela socialista. Ora, visto che migliaia di centroamericani sono in cammino verso il Rio Grande, gli Stati Uniti dovrebbero prendersi cura di loro, invece di preoccuparsi del Venezuela. L’esodo attuale si verifica negli stati-clienti più dipendenti da Washington. Sappiamo anche che gli Stati Uniti hanno rubato 31 miliardi di dollari di beni venezuelani e dato 1 (un) miliardo a quel Signor Nessuno che hanno nominato presidente del Venezuela. Per qualche giorno, la Russia aveva esitato. I sostenitori della linea filoamericana a Mosca sono abbastanza potenti e avevano chiesto di abbandonare Caracas. Avevano ricordato alla gente un pericolo grave ed immediato: gli Stati Uniti possono bloccare i patrimoni russi denominati in dollari e proibire tutte le transazioni in dollari delle aziende russe. Questo tipo di guerra è già stato attuato contro la Corea del Nord e l’Iran, con effetti devastanti. I Russi temono una mossa del genere, per questo motivo rafforzano le loro riserve auree e vendono le loro obbligazioni e i buoni del tesoro statunitensi. Si aspettano che una cosa del genere, prima o poi, succeda ma preferiscono rimandarla il più a lungo possibile. Tuttavia, nonostante questa minaccia, Putin ha deciso di sostenere il Venezuela di Maduro. Quindi si è passati ad un livello successivo di guerra ibrida. I Venezuelani hanno spostato la sede della loro compagnia petrolifera a Mosca, e la Russia, spavaldamente, li ha accettati. Gli Stati Uniti hanno immediatamente risposto con un attacco cibernetico contro le centrali elettriche venezuelane, causando un esteso blackout. Si tratta probabilmente del primo attacco informatico su larga scala contro infrastrutture nemiche. La distruzione delle centrifughe iraniane per mezzo del virus Stuxnet era stata di portata comunque limitata e non aveva interferito con l’economia generale. La rete elettrica venezuelana è stata recentemente aggiornata ed ampiamente modernizzata dalla grande azienda internazionale ABB. Quando l’aggiornamento era terminato, la società aveva dichiarato nel suo comunicato stampa che ora il Venezuela disponeva delle migliori e più avanzate apparecchiature elettriche. Sembra però che gli impianti sofisticati siano più vulnerabili alle minacce informatiche. Ogni cambio di regime organizzato da Washington in America Latina (ad esempio, la rimozione di Allende in Cile), di solito comprendeva un attacco alla rete elettrica , ma, fino ad ora, l’avversario doveva fisicamente sporcarsi le mani, sabotando le centrali elettriche e le linee di trasmissione. Ora hanno imparato come farlo da fuori, da Miami. I Venezuelani avevano notato che il primo avvertimento sul loro blackout era arrivato da Marco Rubio: “Marco Rubio aveva annunciato ore prima del blackout che “i Venezuelani avrebbero sperimentato la più grave carenza di cibo e di carburante,” rivelando di aver saputo che, nelle ore successive, si sarebbe verificata una sorta di shock.” Anche Moon of Alabama accetta la spiegazione del cyber-attacco, anche se poi sfuma l’accaduto ricordando che “la sfiga esiste,” e che anche gli Stati Uniti hanno subito diversi blackout. Ho chiesto ad un esperto russo di guerra cibernetica e mi ha detto che un attacco informatico alle infrastrutture è possibile. Lo ha collegato alla lotta degli Stati Uniti contro il gigante cinese delle telecomunicazioni Huawei: è l’unico importante produttore che non fornisce backdoor per le operazioni di spionaggio dell’NSA. I Russi hanno deciso di dare una mano al Venezuela. Hanno inviato esperti informatici, una missione militare, comprano il petrolio venezuelano e infrangono il boicottaggio americano della repubblica bolivariana. Aiutano anche l’Iran ad aggirare le sanzioni.

 

I Russi hanno poche ambizioni. Non vogliono governare il mondo e neanche dominare i loro vicini. Non vogliono combattere l’Impero. Si accontenterebbero di essere lasciati in pace. Ma se spinti, ed ora vengono spinti, risponderanno. Nella visione russa, anche i politici americani più ostili desisteranno prima dello scontro definitivo. Altrimenti, che sia così.

 

Israel Shamir (tradotto da Markus)

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