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Lo spazio sacro e il sacrificio dell'architetto

di Maurizio Corrado - 20/04/2019

Lo spazio sacro e il sacrificio dell'architetto

Fonte: L'architetto nella foresta

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Rendere sacro lo spazio, agganciarlo al cosmo con l’istallazione di un Asse e con la proiezione dei punti cardinali appartiene agli stadi più antichi della nostra cultura, mentre la fondazione del Mondo con la ripetizione rituale dell’azione esemplare del Dio o dell’Eroe è stata inaugurata dalle culture agricole, dove il Mondo si genera dalla frattura e contrapposizione tra il territorio abitato, considerato sacro e reale, e lo spazio circostante, sconosciuto, indeterminato, caotico.

Nulla può durare se non ha un’anima

Il nostro sentiero, dopo aver evocato le foreste e le praterie delle origini si è immerso prima negli orti, poi nei campi coltivati per ritrovarsi davanti alle prime costruzioni stabili, nei villaggi e nelle nostre prime città. Siamo ora, letteralmente, a casa, nel mondo che conosciamo e al quale siamo abituati, quello basato sulla sedentarietà, che abbiamo visto iniziare in un periodo relativamente recente, appena 10.000 anni fa, ieri, se si considerano i 195.000 anni della nostra storia reale. Abbiamo imparato a costruire. Addentriamoci nel senso di questa pratica.

Tutti i rituali di costruzione sono una conseguenza di una metafisica arcaica, di un archetipo: nulla può durare se non ha un’anima, se non è animato. Da questo presupposto partono pressoché tutte le leggende, i miti, le narrazioni che ci parlano del costruire. Troviamo lo stesso elemento in Europa, in Africa, in Polinesia, in Asia, nelle Americhe. Il tema ha due varianti, nella prima c’è una costruzione che non si regge fino a quando non viene fatto un sacrificio umano. Nella seconda, più numerosa, il sacrificio viene fatto all’atto della fondazione e spesso la vittima è sepolta viva. Secondo Mircea Eliade, in tutto quello che fa l’uomo arcaico imita un gesto primordiale della divinità, non per timore o superstizione, ma per proteggersi dal nulla e dall’illusione, perché la divinità e il senso del sacro equivalgono a forza e realtà, che si possono ottenere solo attraverso un contatto diretto con il sacro. Nei rituali di costruzione “il senso originario di questi sacrifici non era: si sacrifica per animare una cosa, ma si sacrifica perché così si è fatto “all’inizio”, quando hanno avuto origine i mondi e poichésoltanto così si anima una cosa e le si conferisce realtà e durata.” (Eliade, 1990, pag. 51) Questa è la motivazione che spiega, secondo Eliade, tutti i rituali connessi con la creazione di manufatti umani. È interessante notare come venga qui superata un’altra delle motivazioni sostenute da altri studiosi secondo i quali il sacrificio serva a rabbonire lo spirito del luogo irritato dalla nuova costruzione, teoria che non spiegherebbe l’uso di sacrifici dove non può esistere lo spirito del luogo, come ad esempio nel caso del varo di una nave.

Il sacrificio dell’architetto

 Chi viene sacrificato più degli altri è proprio colui che costruisce, il mastro muratore o l’architetto. La credenza che il costruttore muoia appena terminata la sua opera era molto diffusa. In Polonia chi costruiva non terminava mai l’opera, lasciando qualcosa d’indefinito, una crepa o un altro elemento non chiuso, per timore di morire entro un anno. Troviamo in questi casi il timore dell’uomo per l’opera delle proprie mani, perché solo Dio può creare un’opera perfetta. Nell’universo mentale popolare la nozione di creazione è indissolubilmente legata a quella di sacrificio e morte. L’uomo, essendo stato creato lui stesso, è sterile fino a quando non anima la sua opera con il sacrificio di sé o di un altro essere umano. Di conseguenza, un’opera nuova è qualcosa che non vive sino a quando non assorbe un’anima, che solitamente è quella del primo essere con cui entra in contatto. Il primo che la sorte fa arrivare, è destinato a morire. Così raccontano le leggende che narrano di ponti, città, torri. Nel mito primario di creazione, è la divinità che immola se stessa e questo sacrificio viene poi riformulato con quello dell’essere più caro e vicino, un altro modo per significare il sacrificio di sé. In queste leggende appare spesso nel ruolo di vittima un fanciullo. Il fanciullo è un simbolo degli inizi, delle cose nuove, della vita totale, dell’eternità. Sacrificando un fanciullo si assicura all’opera non solo la durata, ma la perennità.

Col tempo, il sacrificio umano è stato sostituito con sacrifici di animali o di elementi ritenuti in grado di infondere la vita al manufatto, ossa, metalli carichi di forze cosmiche come l’oro e l’argento, perle o alimenti vegetali, o anche di elementi simbolici, come nel caso delle barche che hanno disegnato sulla prora un occhio. In questo modo la barca è trasformata in un corpo, ottiene vita e un’anima, e con loro la forza che le permette di esistere e durare.