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La Scuola di Francoforte: tra potere e contropotere

di Roberto Siconolfi - 25/04/2019

La Scuola di Francoforte: tra potere e contropotere

Fonte: Ereticamente

La Scuola di Francoforte è una definizione generica che inquadra la corrente sociologica, filosofica, e in ultim’analisi culturale, politica e “scientifica” del marxismo storico. Essa nacque nel 1923 con l’”Istituto per la Ricerca Sociale” dell’Università Johann Wolfgang Goethe di Francoforte sul Meno, su iniziativa di una serie di intellettuali e ricercatori – per lo più tedeschi e di origine ebraica –, apportando una “revisione” del marxismo “ortodosso” – a partire dal marxismo-leninismo, la teoria ufficiale dell’URSS staliniana. La revisione era rivolta agli aspetti più dogmatici legati al “materialismo” e al “positivismo”.

I punti principali di divergenza della Scuola di Francoforte rispetto al marxismo “ortodosso” riguardano la categoria dei rapporti di produzione capitalisti, valutati come “incorporati nelle forze produttive”. Di conseguenza i macchinari, l’organizzazione del lavoro e le strutture produttive sono di per sé “capitaliste” – vedere tutta la critica riguardo tecnologia, media e i grandi apparati di fabbrica.

E ancora circa la classe dominante, la borghesia, concepita come in grado di governare la società e di integrare in essa la classe dominata, gli operai, grazie a un suo “piano” (il piano del capitale).

Sempre rispetto al marxismo “ortodosso”, con la Scuola di Francoforte il processo di sviluppo societario perde le accezioni di tipo “scientifico”, “oggettivo” e “positivistico”, per cui il capitalismo diviene un modo di produzione “malvagio” la cui sostituzione col comunismo è “auspicabile” e “moralmente necessaria”, ma non è un processo storico “oggettivo” e “inevitabile”, tipico del positivismo, appunto.

Fondamentali nella lotta per il superamento del sistema capitalista divengono, più che partiti e movimenti comunisti, gli “intellettuali critici” e tutti coloro che sono in grado di comprendere il carattere “negativo” e “malvagio” del capitalismo.

L’onda lunga della Scuola di Francoforte si è sviluppata per tutto il novecento e i suoi frutti ideologico-culturali si avvertono ancora oggi. Tra i suoi massimi esponenti abbiamo Theodor Adorno, Max Horkheimer, Herbert Marcuse, Erich Fromm, Jürgen Habermas e Walter Benjamin

Lo studio della Scuola di Francoforte è, dunque, più che mai fondamentale, in quanto parecchi dei suoi capisaldi sono stati incorporati all’interno dell’attuale “struttura di potere” mondialista, sia che si esprimano in chiave “dominante”, sia che facciano parte di quella sacca di opposizione “concessa”, “tollerata”, per certi versi “finta” o “inoffensiva”, benché “radicale” in senso “parolaio” – interessante, anche se non legato a questo aspetto, è il fenomeno della parlata “complessa” – o addirittura “violento”.

Un insieme di forze e di idee che procede a partire dall’influsso di Marcuse sui “movimenti” degli anni’60/’70 e sui vari gruppi riconducibili alla “Nuova Sinistra”. Molti dei suoi “esponenti” o “figli” sono divenuti “sistema”, in particolare nel mondo accademico-universitario – quello italiano ad esempio –, e i “paradigmi conoscitivi” di riferimento sono la base dei programmi di studio di diverse facoltà – quella di Sociologia su tutte.

Una cosa particolarmente odiosa, quest’ultima, perché la Scuola di Francoforte è sicuramente una parte importante della cultura occidentale, ma non tale da affidargli un ruolo “dominante” nel mondo dell’istruzione pubblica.

Uno dei cardini fondamentali, fatto proprio dalla mentalità di massa odierna e postmoderna, è la questione della “liberazione sessuale”. Una “liberazione” che non ha condotto alla società della “libera espressione”, della “disinibizione” in funzione “anti repressiva” tanto agognata dal Marcuse in Eros e Civiltà (Marcuse, 1955), ma di converso ha prodotto una forma eguale di “estremizzazione”, di “conformismo” e per certi versi di “oscurantismo sessuale”, seppur dal contenuto opposto: il “pansessualismo” e la “pandemia sessuale”.

E’ incredibile constatare come la vita degli occidentali, nel giro di un 50/60 anni (dal ’68 in poi), si sia riempita di “sesso”. C’è sesso ovunque, persino nei programmi televisivi per bambini, ed è da notare come ad ogni critica ragionata e non armata di bigottismo a questa piega societaria, si risponda con stereotipi e frasari figli degli insegnamenti francofortisti e del ’68 in generale, della serie “ognuno è libero di fare ciò che vuole”!

Insegnamenti che imbevuti del “femminismo delle ultime ondate”, invece, generano per compensazione atteggiamenti del tutto opposti. In particolare quando al centro dei riflettori si trova una donna esteticamente attraente ma non particolarmente colta, o che magari sia esponente di un mondo politico e culturale avverso – su tutti la caccia al bersaglio contro Melania Trump.

Tutti ragionamenti derivanti dalla “corrente di Francoforte”, che da un lato sono divenuti di “massa”, “pop”, dall’altra, scorporati della questione “di classe”, sono divenuti parte organica della mentalità “elitaria”. A partire proprio dalle oligarchie in senso stretto, fino a giungere a quel ceto di intellettuali, uomini dello spettacolo e della cultura definiti “radical chic” – categoria in realtà molto più diffusa e che corrisponde ad un certo approccio da “uomo superiore” riscontrabile in chiunque, anche nel lavoratore, nello studente e nell’“uomo comune” in generale.

Tutto lo stile di vita delle masse occidentali e il fondo edonistico che ve ne sta alla base è investito da questo approccio alla vita – la già citata “liberazione sessuale”, fino ai miti egualitaristici del femminismo, del movimento LGBT e ai paradossi degli “studi di genere” (gender studies). Questi ultimi sono frutto di una miscela delle teorie della Scuola di Francoforte e della “psicologia culturale” alla Vygostkij, che vede la natura della mente umana come un costrutto socio-culturale. Un incrocio di rapporti tra la psiche, intesa in senso materialistico, i più arditi giungono fino a Jung, e i contesti sociali e culturali.  Una tabula rasa sulla quale si costruisce il proprio essere, senza alcuna possibilità per l’“elemento ordinatore dello spirito” di fare la sua azione – approccio che viene giudicato sorpassato, sostituito in ciò dal ruolo fondamentale ed “autodeterminativo” della materia.

Un individuo letteralmente “contraffatto”, “ricostruito”, come semplice “costrutto di relazioni socio-culturali” – o per i più radicali “di classe” –, e non pensato, invece, come il frutto dell’estrinsecazione di sue “qualità interiori”, le quali in seconda battuta si incrociano col mondo delle relazioni interpersonali.

Tornando specificamente alla sessualità, questo modello rappresenta l’esatto contrario di una consapevole acquisizione dell’identità sessuale. Un processo che investe inevitabilmente il ruolo della “metafisica del sesso” e dei rapporti della polarità maschio/femmina, tra loro “complementari” e non “eguali”.

Rientra in questa concezione il consumo di droghe sbandierato a mito “aggregativo” e di “esperienza coscienziale”, e tutto un modo di fare, di vivere, di relazionarsi basato sul concetto del “faccio quel che voglio”, in base alla propria “libertà di essere” e di “esprimersi” – ragionamento che è parte anche del cosiddetto “rizoma” di Deleuze e Guattari, capovolto in senso orizzontale, rispetto alla naturale verticalità del rizoma stesso. Un individuo senza più asse portante, dunque, “essere tante cose per non essere nulla” (oggi scrivo, domani dipingo, poi mi impegno in politica, poi di nuovo dipingo, magari lavoro, ecc.), tutto senza una reale autorealizzazione personale, e talvolta nemmeno del lavoro o dell’arte in cui mi cimento.

Sul versante politico, in senso lato, da qui viene quel complesso di idee, o meglio di istinti, incentrati sull’odio viscerale ma mai ben ragionato verso l’autorità paterno-patriarcale, statale-poliziesca, e verso la “sovranità” – vedere L’Impero (Hardt, Negri, 2003),  opera cult figlia del “pensiero di Francoforte”, dove la sovranità è presentata come intrinsecamente “negativa”, e dove la sua scomparsa, insieme al concetto di nazionalità, è una forma di “progresso”, introdotto dall’avanzata del sistema capitalistico e dai movimenti di lotta novecenteschi. O ancora, un atteggiamento simile è l’odio verso la religione, la spiritualità e il “sacro” più in generale, talvolta recuperato nelle varianti neo-spiritualiste, New Age o sataniche (sacro invertito).

Un altro dei tratti fondanti della mentalità francofortista – divenuto anch’esso sistemico, fino a debordare in quell’insieme di manie e complessi che costituiscono la “cappa mentale oppressiva”, questa sì, del “politicamente corretto” – è l’uso della psicanalisi per fini politici e di “massa”.

E’ da La personalità autoritaria (Adorno, Brunswick, Levinson e Sanford, 1950) che viene fuori la vulgata di massa sulla personalità autoritaria “disturbata psicologicamente”, e sovente con “problemi sessuali”. Personalità che guarda caso coincide sempre con tutti i nemici del pensiero “progressista”, o delle liberal-democrazie o peggio ancora, nella fase attuale, della retorica dei cosiddetti “diritti umani”.

A quest’ultima “concezione” si aggiungono tutti quei particolari studi psicanalitici di Wilelhem Reich sulla Psicologia di massa del fascismo (Reich, 1933), o quelli sull’“Orgone” che se non direttamente ascrivibili alla Scuola di Francoforte, sono sicuramente di riferimento per una certa vecchia guardia francofortista.

In base a queste teorie, l’autoritarismo, il fascismo, o addirittura i semplici e naturali sentimenti di rabbia e odio, sono frutto della cattiva canalizzazione dell’energia sessuale e d’amore. Cosa che incorporata nell’ideologia dominante è giunta al limite tra il ridicolo e il tragico, in proposte della serie “iniezioni di ossitocina per coloro che si oppongono all’ immigrazione”, oppure la più comune vulgata secondo la quale “l’omofobo è tale perché omosessuale anch’egli” – la famosa “proiezione” de La personalità autoritaria.

Dimenticandosi dell’esistenza di thanatos al pari di eros, rimanendo sempre in psicanalisi, è proprio da notare come la non espressione della “naturalissima” forza “distruttiva”, esploda in mille rivoli tra i più disparati: isterismi, asti, violenze e distruttivismi inutili, e nel peggiore dei casi proprio a danni dei soggetti maggiormente deboli e indifesi (bambini, disabili, anziani, estranei) – vedere la “pacifista” e “benevola” società occidentale attuale dove ogni discorso che prende in considerazione l’uso della forza viene giudicato “arretrato”, “autoritario”, “fascista”, ecc.

Ma richiamarsi ad una vera conoscenza della psiche e dell’importanza dell’azione dello spirito nella realtà, come sostenevamo in precedenza, porterebbe alla invalidazione di buona parte delle teorie e dei paradigmi conoscitivi proposti da questa corrente “culturale”, pur salvando numerosi spunti interessanti.

La Scuola di Francoforte arma il pensiero, seppur oramai in forma residuale e anche “deviata”, di taluni gruppi della cosiddetta “opposizione al sistema” (es. i centri sociali), e di intellettualità fintamente “contrappositive”, sempre pronte a raccogliere i lati di superficie della “struttura di potere”, senza però mai giungere né alla fase “costruttiva” e “risolutiva”, né alla radice essenziale, sia essa di tipo “metafisico” che non semplicemente politico, sociale ed economico.

Il fulcro di questa particolare mentalità si dipana a partire da Dialettica negativa (Adorno, 1950)

L’opposizione senza “proposta”, il fenomeno del “professionismo del No”, più precisamente l’elemento “distruttivo” senza quello “conservativo” e “creativo”. L’essere “contro tutto”: “contro il sistema”, “contro fascismo e razzismo”, “contro il capitalismo”.

Circa le “alternative”, i promotori di questa concezione possono ben poco, e per la semplice ragione che è lo stesso “sistema” a generare anche le “opposizioni”, e in base alla particolare conformazione che assume l’“ordine mondialista”: generare forme di disordine “controllato” e “pilotato” per mantenere la propria stabilità!

Utilizzando un frasario orwelliano, questa gente esplica il ruolo dei “due minuti d’odio” che il “grande fratello” concede ai propri sudditi per sfogare istinti ed animi repressi.

L’alternativa al capitalismo con la stessa capacità di merchandising del capitalismo, la lotta al fascismo “senza fascismo” ma coadiuvando in maniera “violenta”, in senso “mentale” e talvolta anche “fisico”, le intenzioni “totalitarie” della “struttura di potere” su media, economia, politica internazionale, “pensiero unico” e stile di vita – aspetti mai presi seriamente in considerazione dai soggetti in esame.

E ancora l’“anti razzismo” senza capire la questione delle periferie urbane, dei lavoratori, e la violazione mondialista delle “identità collettive”.

Questione che li lega di per sé all’ideologia “immigrazionista” e a tutta la mentalità “globalista”, prodotto della miscela tra Scuola di Francoforte e teorie “psicologico-culturali”. Anche in questo caso l’errore di base è porre l’individuo come “espressione della materia”, e che, dunque, la sua vita sia un “costrutto” delle relazioni socio-culturali, escludendo l’azione dello spirito, in questo caso in chiave “collettiva” – lo “spirito dei popoli”, il Volksgeist, dei vari Hegel, Herder, o anche Fichte; le concezioni organiche di De Maistre ed Evola; l’“Arcangelo” di Steiner; l’“Angelo delle nazioni” dell’“Antico testamento” –, e persino mal digerendo il concetto “moderno” di “coscienza collettiva”, portatore di un “sottile razzismo differenzialista”.

Circa le migrazioni, questione oggi attuale più che mai, va tenuto conto di un’altra corrente che si incrocia col “pensiero di Francoforte” e che è il “terzomondismo”.

Secondo questa teoria, l’Europa deve risultare perennemente in colpa per il colonialismo e l’imperialismo, idea legittima se rapportata al mondo prima degli anni ‘80. Ora bisognerebbe capire che l’Europa, e soprattutto il popolo europeo, è vittima essa stessa – in grado diverso – delle oligarchie, delle multinazionali, degli Stati imperialisti, e delle centrali di potere di cui è vittima l’Africa, l’Asia e quello che genericamente viene definito come “terzo mondo”.

Un gigantesco errore di valutazione nella migliore delle ipotesi, un paravento ideologico per giustificare il business dell’immigrazione, seppur in maniera non brutalmente economica ma ammantato di principî umani e “retorica dei diritti” e che dà vita a tutto quell’insieme di personaggi, associazioni, cooperative, e gruppi vari del terzo settore i quali non a caso sono figli dell’ideologia della Scuola di Francoforte (es. Gino Strada, Luca Casarin, le ONG).

In altri casi questa mentalità produce un “culto dello straniero”, del “migrante” che ricalca il “gusto esotico” per la Cina di Mao, il Vietnam ed esperienze politiche simili, portato avanti dai movimenti politici, studenteschi e culturali sessantottini partoriti dalla Scuola di Francoforte. Movimenti che si armavano del pensiero francofortista da un lato ma anche del maoismo, sia nella versione del cosiddetto marxismo delle tre M (Marx-Mao-Marcuse), sia nel mix di marxismo-leninismo-pensiero di Mao e francofortismo (es. le Brigate Rosse).

Una radice etica particolarmente “dura”, per certi versi “moralista” e “censoria” trova il suo suggello in questa “miscela ideologica” e la si riscontra nella repulsione che hanno questi soggetti, e i figli del loro pensiero, verso il piacere materiale, visto come “peso” che gravita sul mondo occidentale. Da quello sessuale – argomento cruciale –, all’estetica delle donne – la bellezza vista come fattore negativo, perché l’importante è l’intelligenza –, fino al buon gusto nel mangiare o nel vestire. E’ una specie di logica “monacale”, di “ascesi” e “castrazione”, di “disprezzo per la realtà” e la “vita terrena”, tipica tra l’altro dell’“ebraismo” e di un certo “cattolicesimo” – elemento, quest’ultimo che sovente si miscela nelle nuove versioni cattolico-sociali o cattolico-comuniste di questa concezione (vedi Alex Zanotelli).

Non a caso i più feroci oppositori della società dello spettacolo, della moda, o critici del sistema di comunicazione, del sistema culturale, dell’immaginario collettivo e dell’opinione pubblica sono proprio i figli della Scuola di Francoforte, talvolta anche a ragione bisogna dire. A partire da Dialettica dell’illuminismo (Horkheimer, Adorno, 1947), ma anche con opere come Minima moralia(Adorno, 1951), Storia e critica dell’opinione pubblica (Habermas, 1962) si effettua una revisione sostanziale dei cardini culturali e di pensiero del sistema capitalista.

Tuttavia, così come il Marcuse – es. in L’uomo a una dimensione, (Marcuse, 1964) – era bravo ad analizzare i mali della società proponendo però delle soluzioni peggiori (ancora più disinibizione, liberalizzazione ed appiattimento egualitario della realtà), allo stesso modo queste chiavi di lettura hanno prodotto ipotesi e diramazioni concettuali peggiori dei mali stessi: la revisione del rapporto uomo-natura ammiccante al “postumano”, di cui è figlia la teoria negriana dell’“eguaglianza di uomini, animali e macchine”; la sostituzione della società dello spettacolo con modelli ancor più “informi”, “abbrutiti”, delle cosiddette “consapevolezze autodeterminate”, dove il “cattivo gusto” è equiparato al “buon gusto”, o ritenuto addirittura superiore perché si concentra sul contenuto, sull’intelligenza e sulla cultura, presunta ovviamente, senza badare alla “forma” e all’“estetica”.

Il loro è un mondo dominato dal brutto: il “brutto al potere” – altro che immaginazione! –, o all’opposizione – in base alla prospettiva.

Ultimo punto di questa “analisi critica”, per usare un concetto caro ai francofortisti, è il “cospirazionismo”, da menzionare in quanto costituisce una parte importante di tutto quell’insieme di sommovimenti politici e culturali che fanno capo al cosiddetto “populismo” odierno.

Un approccio alla realtà presente nella Scuola di Francoforte – ad esempio nella concezione del “piano del capitale” o dei processi di centralizzazione capitalistici descritti da Friedrich Pollock e nella cosiddetta “cospirazione della borghesia a danni della classe operaia”, concepita dai gruppi della lotta armata degli anni ’70 tipo BR (lo Stato Imperialista delle Multinazionali – SIM –, la superstruttura ultra-centralizzata che regolava tutta la vita del regime capitalistico con piani precisi e ben collaudati).

La questione della “cospirazione” o del “complotto” è un concetto, oramai, svalutato e divenuto di massa. Il vero complotto prevede un piano “tridimensionale” della storia legato a forze “nascoste”, talvolta “non solo umane”, che dirigono i processi storici in una certa direzione, determinando, tra le altre, la sfera “inconscia” e “preconscia” di coloro che pensano di essere gli agenti principali della storia (capi politici, filosofi, capi spirituali, ecc.).

Ma anche rimanendo in un ambito prettamente “bidimensionale”, “visibile”, certo la storia dell’uomo è piena di piani segreti e deviazioni della verità, dai più impensabili a quelli più scontati – non ultimi quelli di tipo politico internazionale, militare, o anche geo-ingegneristico. Tuttavia, prima di parlare o di sbandierare ipotesi e “verità”, magari con quattro foto ricavate su internet, bisognerebbe fare ricerche accurate sui singoli sospetti. Ricerche non alla portata di tutti, ma che costano fatica, tempo, denari e molte volte la rispettabilità, soprattutto in ambito accademico e mediatico, o addirittura la libertà personale e la vita.

Nel caso analizzato, invece, si ha a che fare con una forma mentis pronta sempre ad addebitare la causa di un evento non al fatto più semplice e immediato, ma a quello più inimmaginabile e lontano.

Una forma mentis pericolosa stesso per chi se ne fa portatore e che sfocia sovente nella paranoia.