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Il veleno della libertà

di Emanuele Franz - 28/04/2019

Il veleno della libertà

Fonte: Ereticamente

Oggi viviamo nell’epoca della libertà e mai come negli ultimi 70 anni abbiamo assistito a un vero e proprio culto della libertà come quello che oggi si consacra nel mondo occidentale. Vi sono manifestazioni per le libertà individuali, per la libertà di qualsiasi gruppo di persone, animali, collettività e per la libertà dei popoli. Vi sono statue della libertà e feste della liberazione. Allignano parole come liberismo, liberalismo, libertà di parola, di circolazione, di espressione, di manifestazione, di voto, e così via. Ma libertà da che cosa? Liberazione da che cosa?

Guarda caso i Paesi che si fanno promotori di questo culto della libertà sono gli stessi che praticano una politica imperialistica e l’unica libertà da loro concessa è quella di servire il loro impero. Mentre sul patrio suolo delle libertà si erige una statua al cielo che inneggia a questa chimerica libertà su quello stesso suolo si ordiscono rovesciamenti di governi e si attuano programmi per il controllo del mondo. Nello stesso tempo però i cittadini si sentono liberi, e questa libertà è loro concessa perché hanno le ferie retribuite, le vacanze, le santissime feste nazionali, le domeniche libere da dedicare agli acquisti. È questa la libertà? Che cosa è dunque la libertà? Essa è la libertà di stare bene? Di godere appieno dei piaceri e degli averi? La libertà di consumare e produrre?

Dunque la libertà è un vizio. Essa è un fatto egoistico, e questo lo dice la parola stessa: il latino -líberum- dalla radice -libère- e più anticamente -lub-ère- significa “far piacere”, aggradare. Essa è un rilascio, una mollezza, ella è un estrinsecare, è un portare fuori, un accasciarsi. Quindi è un cadere. Non è, al rovescio, un portare dentro, un erigersi, un librare, un innalzare. Chi ha libertà di parola, esterna ogni cosa orizzontalizzando l’interiorità, chi invece si autolimita nell’espressione produce una verticalizzazione.

Se il pensiero viene infatti esternato ogni qualvolta ne ha la possibilità esso si vanifica in un flusso perpetuo senza avere la possibilità di accrescersi, di estendersi. Non comunicarlo subito invece, ma farlo maturare dentro noi stessi, permette la sua elaborazione ed elevazione. Sono pronto ad affermare che tutti i mali dell’uomo moderno derivano da questa -libertà- ed essa è, anzitutto, un equivoco terminologico, andrebbe chiamata licenza, rilascio, e non libertà. Io sono contro la libertà. La libertà è come catena, come blasfema e come pena.

La libertà è un cancro. Come un tumore si riproduce senza regola uccidendo l’organismo. Un tumore è semplicemente una cellula che si rifiuta di aderire ad una appartenenza superiore, quella di una unità ultima alla quale lei è destinata. Poichè essa, specifica nella sua funzione al servizio della totalità, ora si aliena da questa appartenenza e perde ogni rivolgersi al tutto. Tutto ciò è uno specchio di quest’epoca, che sta perdendo ogni intrinseco senso di appartenenza e di volizione al tutto, per allignare, come cellule tumorali, individui identici al servizio solo di sé stessi. Le malattie non riflettono, in ultima istanza, che un processo metafisico, che altri chiamano storia. Una storia che ha il suo culmine nel trionfo della libertà che è poi il suo massimo Pathos, poiché appunto rende liberi gli individui, ovvero li svincola dal tutto, dall’organismo completo. La libertà dell’Io individuale, puramente egoistico, che si riproduce identico a milioni di altri individui sacrificando ogni ideale superiore al piacere singolare.

Libertà invece dovrebbe essere, ed è, tutt’altro. Libertà è vincolo, legame con un Ideale altissimo, sacrificio di sé, la Libertà è superare una resistenza, è il vincere un peso che ci trae verso il basso e che con fatica superiamo, Libertà è un patto, un impegno, una relazione indissolubile con l’altro, ciò che è fuori di noi e sopra di noi. La Libertà è una condizione di reciproca appartenenza con ciò che di più ineffabile si cela attorno a noi. In altre parole la Libertà, l’unica e la sola Libertà degna di un Culto, è quella di un Dovere che ci si pone verso l’Assoluto, un Dovere atavico, originario che oggi è stato coperto dalla polvere. Ma la Libertà è sempre e comunque e solo un Dovere, mai un diritto.

La parola Greca per indicare la Libertà, Eleutheria (Ἐλευθερία) non ha nulla a che vedere con le presunte libertà del moderno, che vede nella mollezza e nell’agio la sua massima realizzazione. La Dea Eleuthia, chiamata anche Eileithia (o Ilithyia), era la Dea Greca del parto e della nascita annuale del bambino divino, collegato al Dio Poseidon, lo scuotitore della terra. Ma Eleutheria era anche un epiteto della Dea Artemide. Il culto della nascita divina dal seno della Natura terrestre che genera la vita culminò nei Misteri Eleusini, che erano le massime celebrazioni misteriche della grecità antica.

A Eleusi, l’adepto che decideva di intraprendere la Via della Conoscenza era chiamato Myste ed egli era chiamato ad una esistenza superiore che non terminava neppure con la morte. Dopo aver intrapreso questa strada era tenuto a un obbligo di silenzio e restrizione che prevedeva per un determinato periodo la rinuncia volontaria alla libertà di parola (Mistico deriva infatti da Myste, l’iniziato agli antichi misteri, etimologicamente significa: colui che è legato al silenzio). Il Tempio di Eileithia a Delo, l’Eileithyiaion sulle pendici del monte Cinto, è costituito da una terrazza con un altare in cui vi si rinvennero rilievi votivi raffiguranti Artemide Ilithyia.

Da questo primitivo centro di culto provenivano i xòana del tempio di Ilithyia ad Atene, (i xòana erano delle offerte votive il legno portate dai fedeli alla Dea) e questi erano coperti per non essere visti dai profani. Dunque la Dea era così sacra da dover coprire perfino alla vista dell’occhio le sue immagini votive. Non solo la restrizione della parola ma anche della vista erano necessari per accostarsi a Lei.

Sostanzialmente per i Misteri antichi la Via suprema alla conoscenza superiore coincideva con una graduale rinuncia alle consuete libertà in voto a una Libertà più alta che era di natura divina, Eleuthia appunto, una Dea che generava la vita. In ciò sta un potente Simbolo di quello che nella Sostanza è la Libertà: un darsi agli altri non a noi stessi, un Donarsi, un essere per l’altro, per il Divino. Divinità alla quale ci si legava, ci si sottometteva, ci si consacrava. La Libertà è mettersi al Servizio del Divino, non abbandono al piacere.

Questa infezione della libertà ha colpito anche tutta la nostra sfera intima ed affettiva al punto da farci ritenere che la libertà sessuale coincida con l’abbandono al piacere senza regole e si è parlato allora di libertinismo, ancora una volta tradendo quello che fu un significato originario ben diverso della Libertà, che fu dagli antichi rappresentata dal Dio Eros e dalla Dea Afrodite. L’Amore come attesa, come sublimazione dell’aspetto terreno in un aspetto celeste, l’amore come trasalimento, come ascensione al Sacro. Anche in questo caso, nell’attesa, c’è un differimento di una libertà immediata per una Libertà più alta.

L’Amore poi, inteso come Forza metafisica che genera la Vita, è quello stesso Dio che viene protetto da Eleutheria. Eleuthia, come abbiamo detto, presiede alla generazione della vita e sono innumerevoli le raffigurazioni vascolari che la vedono patrocinante la nascita delle grandi divinità antiche come Eracle, Dioniso, Apollo, Atena e così via. Ella, la Libertà, protegge il parto degli Dei conferendo loro quella Libertà che l’uomo può soltanto ambire rinunciando alle sue consuete ed effimere contingenze.

La Libertà e l’Amore sono così congiunti che il processo interiore che li genera è della medesima natura. Il limitare la parola, senza esternarla subito, consente che essa ascenda, si purifichi e salga in verticale. Egualmente accade con il desiderio sessuale, che, se esternato subito, si pone in orizzontale, ma quando al servizio dell’Attesa si eleva in verticale e culmina nell’Eros. È assolutamente un fatto fondamentale che la Dea della Libertà sia anche la Dea del parto e della nascita.
Ma non è tutto. L’uomo moderno, saccente e tronfio, si crede libero di ogni cosa, confondendo la libertà come un possesso. Possesso di beni, possesso di tempo, possesso di corpi sessuali, e anche, non da ultimo, possesso di conoscenza. Quale illusione! Il trionfo della conoscenza come ragione, come libertà di conoscere, non ha nulla da spartire con la Sapienza intesa dagli antichi. Anche qui un equivoco si è generato in tempi moderni. Durante la rivoluzione francese fu edificato un tempio della libertà iniziando quello che gli illuministi chiamarono il culto della Ragione.

Questo culto della ragione è uno degli equivoci linguistici più sconvenienti della storia. Basti ricordare qui che il termine -ragione- deriva dal latino -ratio- che era il resto che veniva dato durante una operazione commerciale. (Ratiònem in latino significa calcolo, conto di dare e avere) La cosiddetta razionalità, altro non deriva da un più bieco interesse di guadagno personale. Irrazionale infatti era agire contro il proprio interesse terreno e consumistico. Abissale è infatti da queste terminologie il Logos degli antichi e la Sophia come contemplazione dell’Ineffabile e del Mistero Universale.

Nella Sapienza c’è la Libertà, non nella conoscenza razionale illuministica, che è fatta coincidere con un possesso, con un addizione, con una somma di informazioni. Nella Sapienza non potrebbe esserci somma alcuna perché l’Essere produce senza subire diminuzione alcuna; vuoto di ogni significato appare nell’Infinito un aggiungere e un sottrarre. Sempre la Dea Eleuthia presiede presso gli antichi alla nascita di Atena dalla testa di Zeus, Dea della Sapienza; un presiedere, questo, che sancisce l’indissolubile e intimo legame fra la Libertà e la Sapienza. Ma ancora una volta questo indica un vincolo, un patto, e oltre che modo una rinuncia, una rinuncia al proprio interesse personale e quindi una rinuncia alla propria, bieca, libertà individuale. La Sapienza è infatti un atto irrazionale.

Questa epoca storica in cui si è visto il dilagare di una libertà per tutti e di tutti ha coinciso con le più grandi tragedie di tutto il tempo universale. Come scriveva il filosofo e matematico A.N.Whitehead:

I grandi balzi in avanti della civiltà portano sull’orlo del disastro le società nelle quali avvengono

Rimane da chiederci: chi ci libererà dalla libertà? Chi ci salverà da questo veleno?