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Perché la Chiesa è parte del sistema usuraio globale

di Francesco Lamendola - 07/06/2019

Perché la Chiesa è parte del sistema usuraio globale

Fonte: Accademia nuova Italia

Certo, fa impressione vedere la convergenza ormai esplicita che si è creata fra la chiesa di Bergoglio e la grande finanza internazionale, con il suo filantropismo di facciata e la sua abituale spregiudicatezza, per non dire il suo cinismo amorale, nel trattare le questioni sociali e specialmente la pretesa emergenza umanitaria posta dalle “migrazioni” dal Sud del mondo verso il Nord, presentate come un fenomeno spontaneo e inarrestabile ma, in realtà voluto e pianificato a tavolino per scopi inconfessabili. Anche da questo lato bisogna considerare l’attuale (falso) pontificato come un elemento di chiarificazione e quindi, paradossalmente, come un evento non del tutto negativo, se almeno potrà servire a far aprire gli occhi a milioni di cattolici che vivono nell’illusione di una chiesa cattolica che non è più cattolica e che non è nemmeno “chiesa” nel vero significato della parola.

D’altra parte, non è chi non veda come lo scandalo di una chiesa compromessa col grande capitale finanziario non è nato improvvisamente in questi ultimi anni, ma si era già ampiamente manifestato nei decenni  successivi al Concilio e aveva assunto connotati particolarmente inquietanti e tenebrosi sotto il pontificato di un papa, Giovanni Paolo II, che, ingenuamente, molti contrappongono ancora oggi a Bergoglio quale esempio di un vero pastore della Chiesa, animato dalle migliori intenzioni e sollecito unicamente nel difendere la fede dei cattolici, lontano da qualsiasi debolezza o concessione demagogica e opportunistica al cosiddetto spirito del mondo. Ma il ricordo di banchieri criminali e massoni come Ortolani, Sindona, Calvi, Gelli, non si è perduto nel ricordo di chi ha vissuto quegli anni e non può essere sfuggito all’indagine di chi, anche se più giovane, ha studiato onestamente gli atti di quel pontificato; così come la sinistra figura di monsignor Marcinkus e gli oscuri legami che, per suo tramite, lo IOR intratteneva con questi soggetti, legati a un modo di fare che prevedeva anche l’omicidio nei confronti di quanti ostacolavano gli affari delle logge o minacciavamo di divulgare i loro segreti finora così ben custoditi. Viene da chiedersi come si sia creata una tale situazione, e, soprattutto, come mai i fedeli cattolici, e il clero stesso, non abbiano mai chiesto, e preteso, di sapere con quali criteri opera lo IOR, a quali finalità è diretto, e come mai i numerosi scandali nei quali è stato coinvolto si sono risolti in un polverone che ha lasciato le cose come prima, senza che venissero accertate le precise responsabilità, né fossero puniti gli abusi che si erano verificati, né che venissero stabilite delle norme di trasparenza tali da rendere difficile il ripetersi di simili deplorevoli situazioni e di far sì che l’istituto risultasse diverso da un qualsiasi altro istituto finanziario d’interesse privato.

Si tratta, in effetti, di domande piuttosto ingenue, che denotano una grossolana ignoranza dei meccanismi della finanza odierna, verso i quali chi entra a far parte del sistema, perlomeno oltre un certo ordine di grandezze, inevitabilmente deve adeguarsi. In altre parole, l’aspettativa che la finanza vaticana si distingua da ogni altro grande soggetto finanziario per una sua intrinseca “purezza”, cioè, in parole povere, per un rifiuto del metodo della speculazione e di quello dell’usura, i due cardini di tutta la finanza moderna e contemporanea, è del tutto irrealistica e si spiega col fatto che la stragrande maggioranza dei fedeli cattolici, clero compreso, non s’intende, né s’interessa affatto di questioni finanziarie, avendo una mentalità di tutt’altro tipo, orientata verso la spiritualità, la trascendenza e il lato disinteressato dell’azione sociale, caritativa e umanitaria. O, almeno, così dovrebbe essere.  Perciò, la sola domanda onesta che un cattolico ha il diritto e il dovere di porre alla Chiesa, e di porsela anche nell’intimo della propria coscienza, è se la vecchia massima di Niccolò Machiavelli, che il fine giustifica i mezzi, sia sempre valida anche per la dimensione materiale della struttura ecclesiale; se sia lecito separare, almeno in linea di massima, l’etica dalla finanza; e se il conseguimento di importanti risultati di ordine pratico e politico sia di per sé sufficiente a rendere accettabile una deroga alla dottrina morale cattolica, che antepone sempre la persona umana, con la sua intrinseca dignità, alle leggi e ai meccanismi dell’economia, e che non ammette la precedenza del capitale, specie se derivante dalla speculazione, sulla legge dell’amore ispirata al Vangelo di Gesù Cristo.

È noto che per molti secoli la Chiesa ha condannato qualsiasi forma di usura, intesa come guadagno ottenuto mediante l’interesse su un prestito, in qualsiasi forma e percentuale: dottrina che venne confermata da Clemente V ai primi del XIV secolo. Poi, lentamente, vi fu un ammorbidimento. Tre secoli e mezzo dopo, alla metà del XVIII secolo, Benedetto XIV ribadiva la condanna del prestito a usura, ma permetteva che il prestatore realizzasse un guadagno, purché piccolo, sul capitale anticipato al debitore. Questo progressivo aggiustamento della dottrina della Chiesa in materia di prestito a interesse si spiega sia con l’affermarsi e il rafforzarsi del sistema bancario prodotto dal capitalismo moderno, sia con il graduale riconoscimento che il denaro prestato rappresenta una utilità, per cui non è del tutto irragionevole pretendere che vi sia un utile, un compenso, per chi lo concede. Una volta, poi, che la Chiesa ha deciso di dotarsi anch’essa di un sistema finanziario aggiornato agli standard della finanza moderna, era inevitabile che pure lei entrasse in quella particolare logica. Lo IOR, Istituto per le Opere di religione, è stato creato il 27 giugno 1942 sotto il pontificato di Pio XII; attualmente è diretto da Jean-Baptiste de Franssu, dispone di un centinaio di dipendenti e ha un fatturato di 6,3 miliardi di euro (dati del 2016), con un utile netto di 36 milioni. Secondo il suo statuto, modificato nel 1990, durante il pontificato di Giovanni Paolo II, esso ha ufficialmente lo scopo di provvedere alla custodia e all'amministrazione dei beni mobili e immobili trasferiti o affidati allo IOR medesimo da persone fisiche o giuridiche e destinati a opere di religione e carità. L'Istituto pertanto accetta beni con la destinazione, almeno parziale e futura, di cui al precedente comma. L'Istituto può accettare depositi di beni da parte di Enti e persone della Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano. A questo punto, ripetiamo, la sola domanda onesta che un cattolico può fare è se il gioco valga la candela; se l’adozione di stili, strumenti e comportamenti totalmente allineati con lo spirito del mondo, nel senso più materiale e profano del termine,  per quanti vantaggi possa offrire, appunto, sul piano concreto e materiale, non rischi fatalmente di penetrare nella mentalità del clero, o almeno dei suoi vertici, allontanando la Chiesa nel suo insieme dalla sua vera natura e dal suo scopo originario e fondamentale: condurre le anime a Cristo, sola via, verità e vita. Citiamo dal libro di Marco Della Luna Euroschiavi. Dalla truffa alla tragedia (Arianna Editrice, 2012, pp. 281-282):

Recentemente ero a un convegno organizzato da un’associazione culturale cattolica. Alcuni membri di questa chiesero a un docente universitario di finanza, là presente, pure di area cattolica, se avesse letto “Euroschiavi” e se fosse vero che le banche facevano quelle cose. Il professore confermò. Allora gli chiesero se avremmo avuto la Chiesa cattolica al nostro fianco nella campagna per riformare il sistema bancario e monetario. “Impossibile”, rispose il docente, “perché la Chiesa dipende finanziariamente dallo IOR [Istituto Opere Religiose; N. d. A.], che è una banca non solo partecipe, ma anche molto attiva in questo sistema, godendo di particolari guarentigie legate alla sua condizione di banca di uno Stato, ossia del Vaticano”. I cattolici furono molto afflitti da questa risposta. Essi pensavano che la Chiesa, siccome teoricamente perseguente valori “spirituali”, cristiani, non si sarebbe mai messa con gli usurai, che non avrebbe perseguito il profitto; che la Chiesa, una volta debitamente informata di queste cose, sarebbe insorta, si sarebbe messa a capo di una crociata di trasparenza e giustizia per liberare l’umanità dal signoraggio privato e dal debito infinito. In realtà la Chiesa è da oltre un secolo compiutamente consapevole dei meccanismi monetari, e ha fatto quel che ha fatto. D’altronde il professor Giacinto Auriti e i suoi seguaci, che si professano molto cattolici, la stanno informando adeguatamente oramai da decenni, con molta buona volontà, e non hanno ottenuto altro che adesioni sporadiche di qualche prelato periferico. Il Vaticano non risponde. Il magistero della Chiesa potrebbe benissimo intervenire con una enciclica in materia monetaria e di usura, ma tace. Preferisce occuparsi di “pacs” e “dico”. In realtà la Chiesa (o la Chiesa mondana, se preferite – ogni chiesa mondana di ogni religione) non risponde, e invece partecipa al sistema della ricerca del profitto, non perché non sia abbastanza informata, né per una sua pecca morale, ma per la semplice ragione che essa è un’organizzazione grande e stabile; e ogni organizzazione grande e stabile viene guidata, come tale, dal motivatore universale, vale a dire dal denaro (ciò appare, perlomeno, sul piano del sensibile, del conoscibile; su quello dell’insensibile, dell’inconoscibile o del “conoscibile” solo per fede, non ci addentriamo). Certo, questa realtà sensibile, constatabile, può disturbare chi si aspetta che essa manifesti, invece, di essere guidata dallo Spirito Santo. Lo Spirito Santo può guidare più verosimilmente i singoli piccoli gruppi informali e che non fanno circolare valori patrimoniali.

Questo è il nocciolo della questione. La Chiesa cattolica è un’organizzazione grande e stabile: dunque, è inevitabile che essa si fornisca di strumenti finanziari all’altezza dei tempi? Se la risposta è sì, allora nessuno, a meno di essere un ipocrita, ha poi il diritto di scandalizzarsi se emergono brutte storie di speculazione, di mafia e di massoneria, come quelle del tempo di Paul Marcinkus, Michele Sindona e Roberto Calvi. Pertanto, bisogna valutare bene la posta in gioco, prima di rispondere in maniera affermativa. È proprio vero che la Chiesa non potrebbe sostenere le sfide della modernità se non facesse come tutte le altre grandi istituzioni, cioè se non si affidasse al potere del grande capitale finanziario e speculativo? In fondo, è una domanda simile a quella che si potrebbe porre riguardo ad altri aspetti della modernità, ad esempio l’uso del cinema, della radio, della televisione, della stampa. E infatti, sulle prime, ci fu qualche anima lungimirante che si rese conto dei pericolo che si celava dietro l’adozione di tali moderni mezzi di comunicazione; tuttavia, ben presto prevalse, sia pure con riserve ed esitazioni, l’opinione di quanti ritenevano che, se la Chiesa non avesse accettato di entrare a far parte, in prima persona, del sistema delle comunicazioni e dell’informazione di massa, sarebbe rimasta tagliata fuori dal rapporto con la società e avrebbe finito per ripiegarsi interamente su se stessa, senza più essere in grado di far sentire la sua voce, di farsi ascoltare, di svolgere la sua funzione fondamentale che è la salvezza delle anime mediante la predicazione del Vangelo di Gesù Cristo.

I meccanismi della modernità, e specialmente della tecnologia, hanno questa natura: entrano a poco a poco nella vita dei singoli e delle società, poi richiedono dosi sempre maggiori, attenzioni sempre più grandi; infine estromettono o emarginano tutto ciò che non è funzionale ad essi e restano padroni del campo, in una spirale di continua crescita che non ha mai fine, perché non è guidata dalla razionalità degli scopi, ma solo dalla razionalità dei mezzi. In altre parole, è quasi impossibile tracciare una chiara linea di demarcazione fra l’uso appropriato e quello improprio degli strumenti della civiltà moderna, specialmente quelli tecnologici (e lo sono tutti, del resto, finanza compresa), senza contare l’estrema difficoltà psicologica di conservare la perfetta padronanza di sé, avendo a disposizione un sistema automatizzato e informatizzato che darebbe la testa a chiunque, per la vastità delle operazioni che rende possibili, e alla fine indispensabili, e per la velocità e l’efficienza strabiliante delle prestazioni di cui è capace. Questo significa che un grande organismo, come la Chiesa, diretto a uno scopo spirituale e niente affatto mondano, avrebbe dovuto rinunciare, sin dall’inizio, ad adottare i mezzi della modernità, compresi quelli d’ordine finanziario? Probabilmente sì. O, quantomeno, avrebbe dovuto non perdere mai di vista l’incompatibilità di fondo esistente fra la sua missione e la natura del mondo moderno, intrinsecamente e irrimediabilmente anticristiana. Non potete servire due padroni: dovete scegliere fra l’uno e l’altro, ammonisce severamente Gesù Cristo. La Chiesa moderna, credendo di restare in contatto con la società, ha deciso di adottare gli strumenti della modernità; ma ben presto gli strumenti le hanno preso la mano, e sono diventati stili e, sovente, scopi. È stato un inganno fatale. La Chiesa, per esercitare la sua azione sulle anime, ha bisogno di anime sante, non di banche. Un vero uomo di Dio, come san Pio da Pietrelcina, porta più anime a Dio, e soprattutto le porta nella giusta prospettiva, di quante ne potranno mai portare gli imponenti mezzi finanziari dello IOR o di qualsiasi altra provenienza. Al contrario, i cardinali banchieri, col loro rivoltante cinismo, allontanano le anime. Da quando in qua la Chiesa ragiona in termini quantitativi? Del resto, l’albero si giudica dai frutti. E cosa è diventato lo IOR, cosa è diventata la stampa “cattolica”, da quando il criterio dell’efficienza e l’abitudine alla politica hanno sopravanzato la spiritualità? La Chiesa muore per la perdita di spiritualità, non per scarsità di soldi...