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Putin e la fine del liberalismo. Ha ragione?

di Roberto Vivaldelli - 03/07/2019

Putin e la fine del liberalismo. Ha ragione?

Fonte: Inside Over

In un’intervista già definita “storica” rilasciata al Financial Times, alla vigilia del summit del G20 ad Osaka, il presidente russo Vladimir Putin ha analizzato la crisi del liberalismo occidentale. Il leader del Cremlino ha spiegato che “l’idea liberale” è “sopravvissuta al suo scopo”, almeno fino a quando è entrata in conflitto con gli interessi della maggior parte delle persone. I liberali, ha sottolineato Putin, “non possono più permettersi di dettare le regole come hanno fatto negli ultimi decenni”. Il Motivo? Secondo il presidente russo, “l’ideologia liberale non è più di moda perché la maggior parte delle persone si è rivoltata contro l’immigrazione, contro l’apertura dei confini e il multiculturalismo”.

Putin ha marchiato la decisione della cancelliera tedesca Angela Merkel di far entrare oltre un milione di rifugiati in Germania – soprattutto provenienti dalla Siria – come un “errore”. Al contrario, ha lodato Donald Trump per il suo tentativo di bloccare il flusso di migranti e droga provenienti dal Messico. “Questa idea liberale presuppone il fatto che non sia necessario fare nulla. Che gli immigrati possano uccidere, saccheggiare e violentare restando impuniti, perché i loro diritti in qualità di migranti debbono essere protetti”. Ha poi sottolineato: “Ogni crimine deve contemplare la propria punizione. L’idea liberale è divenuta obsoleta. Essa è venuta in conflitto con gli interessi della travolgente maggioranza della popolazione”.

La crisi del liberalismo sul piano interno

Innanzitutto, il “liberalismo” a cui fa riferimento Putin non ha nulla a che fare con il liberalismo “realista” di Raymond Aron o con il liberalismo conservatore di Benedetto Croce, tanto per citare due mostri sacri del pensiero novecentesco. Il presidente della Federazione russa si riferisce più che altro al progressive liberalism affermatosi con l’esplosione della New Left americana della fine degli anni ’60 e così definito dal politologo americano John J. Mearsheimer nel suo ultimo saggio The Great Delusion. Liberal dreams and International Realities (Yale, 2018).

Quando Putin spiega che che i “liberali” non possono più “permettersi di dettare le regole”, evidenzia una caratteristica del liberalismo descritta proprio da Mearsheimer: “La maggior parte dei liberali considera il liberalismo superiore ad altri tipi di ordine politico e crede che il mondo sarebbe un posto migliore se fosse popolato esclusivamente da regimi liberali” osserva il professore. “C’è un sentimento di vulnerabilità e superiorità collegato al liberalismo che favorisce l’intolleranza” verso altri sistemi politici, “nonostante l’enfasi posta dalla teoria sulla tolleranza nel mantenere l’armonia domestica”.

Le promesse mancate

Per quanto concerne il fronte interno, il liberalismo occidentale ha decantato le sorti progressive del multiculturalismo, dell’immigrazione di massa e delle finanza globalizzata. “Sul fronte economico – spiega Mearsheimer in un’intervista – gli Stati Uniti e i loro alleati hanno spinto molto per creare un sistema iper globalizzato a partire dalla fine degli anni ’80 e negli anni ’90. L’idea era quella di trasferire capitali con poche restrizioni per sottolineare l’importanza delle istituzioni internazionali e dar loro molta autorità. Il risultato è che abbiamo avuto un’enorme quantità di ricchezza che è andata al 5% delle persone mentre le classi medie e lavoratrici sono state dimenticate”.

Un altro problema significativo con l’ordine internazionale liberale, sottolinea, “è quello che riguarda i confini non ben definiti. L’Europa ha adottato una politica molto tollerante nei confronti dei rifugiati. Questo è molto ammirevole, ma il problema è che viviamo in un mondo di stati nazione che hanno culture diverse. E le persone in questi stati nazionali si arrabbiano molto quando arriva un gran numero di rifugiati”. I liberals, infatti, hanno commesso il gravissimo errore di valutazione sottovalutando la potenza del nazionalismo; ciò ha prodotto l’avanzata dei cosiddetti “sovranisti” negli Stati Uniti e in Europa contro l’ideologia no-borderdell’immigrazione di massa. I lavoratori e classe media, traditi dalle promesse di una globalizzazione spericolata, si sono rifugiati nei partiti che promettono di recuperare la sovranità e contrastano l’immigrazione sfrenata che minaccia tradizioni e culture.

Come spiega su InsideOver Patrick J. Deneen, anche se il liberalismo è stato creato per garantire spazio e rispetto a una varietà di culture, “ai principi formativi della religione e alla centralità della famiglia – il tutto garantito dal potere della nazione nel proteggere i diritti di tali istituzioni – oggi la logica disintegrante del liberalismo si rivolge direttamente contro queste stesse usanze e istituzioni: cultura, religione, famiglia e nazione”.

Il declino dell’ordine liberale internazionale

Sul piano della politica estera, il liberalismo è stato la base ideologica nell’ordine liberale internazionale, ora in declino. Alla fine della Guerra Fredda, infatti, il famoso politologo Francis Fukuyama pubblicò il celebre saggio The End of History?: il liberalismo, sostenne, sconfisse il fascismo nella prima metà del XX secolo e il comunismo nella seconda metà, e ora non rimane alcuna valida alternativa. Il mondo, secondo il parere del politologo, sarebbe stato interamente popolato da democrazie liberali e nessuna nazione avrebbe avuto alcuna controversia significativa.

“In un mondo in cui la libertà, non la tirannia, è in marcia”, proclamò Bill Clinton durante la campagna per la Casa Bianca nel 1992, “il cinico calcolo delle politiche del potere semplicemente non funziona più. Non è adatto a una nuova era in cui le idee e le informazioni vengono trasmesse in tutto il mondo prima che gli ambasciatori possano leggere i loro cables”. Questo diffuso ottimismo e universalismo imperniato sulla leadership degli Stati Uniti attraverso le cinque istituzioni internazionali (Nazioni Unite, Fondo monetario internazionale, Banca mondiale, Accordo generale sulle tariffe e sul commercio, la Nato), ha portato molti studiosi e politici a credere che l’epoca “realista” della cinica logica di potenza fra stati sarebbe finita. Si sbagliavano.

Vladimir Putin probabilmente spera che l’Europa e gli Usa tornino a praticare il realismo, soprattutto negli affari internazionali, e dimentichino definitivamente l’egemonia liberale e l’ambiziosa vocazione missionaria di modellare il mondo a propria immagine e somiglianza. Un’intervista che contiene anche un messaggio diretto agli avversari: la Russia è una nazione troppo patriottica e fiera della propria storia e delle sue tradizioni per poter essere minacciata dal liberalismo progressista e dal partito No Border.