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Dignità della Bielorussia

di Simone Torresani - 12/07/2019

Dignità della Bielorussia

Fonte: Il giornale del Ribelle

Sono appena tornato da un viaggio molto esaustivo in Bielorussia in cui ho girato, a titolo personale, col solo scopo di osservare e capire, una buona fetta del Paese, dalla metropoli Minsk ai villaggi e alle cittadine di provincia. Altre volte avevo visitato il Paese, ma mai girandolo in lungo e in largo. Sì, proprio la Bielorussia: quella che la vulgata mainstream considera l' "ultima dittatura d' Europa", impone sanzioni al suo Presidente Lukasenka (questa è la grafia corretta, non Lukashenko) e a molti funzionari e membri del governo per "violazione diritti umani", accusa le autorità di truccare le elezioni e di farle svolgere in un "clima di terrore", eccetera e sente solo la campana degli oppositori (per la verità pochini: in caso contrario Lukasenka avrebbe già levato le tende). Insomma, il classico "Stato-canaglia", definizione che piace tanto agli occidentali.
Vogliamo udire anche una narrazione diversa, di un viaggiatore indipendente senza pregiudizi? Anzitutto il "clima di terrore" regna nelle periferie italiane, ormai in balia di balordi, spacciatori e baby gang che operano nella totale impunità, non a Minsk, che è una città largamente sicura dove il concetto di ordine pubblico, rispetto delle regole e del prossimo, non sono astrazioni ma pratica quotidiana. Tralasciando pure l' altissimo senso di civismo e la certezza della pena (so che non mi crederete, ma a Minsk si può dormire benissimo con le porte aperte da tanto è elevato il livello di sicurezza) che sono forse due concetti ostici per gli italiani, vorrei far notare che la vera libertà è quella dal bisogno e dalla paura, non quella di vantarsi d' infilare una scheda elettorale nell' urna per eleggere governi che da Tangentopoli non ne indirizzano una. Cosa vogliamo rimproverare a Lukasenka? Di governare con cipiglio e far rispettare le leggi e le regole? O forse la cosa più grave è quella di non sguazzare nella "economia di mercato" del turbocapitalismo liberale postmoderno, coi suoi postulati di "destra del capitale e sinistra del costume"? A differenza di altri omologhi, Lukasenka non è andato a dormire coi piani quinquennali per risvegliarsi seguace delle teorie di Milton Friedman o altri simili pensatori. La Bielorussia è l'unica delle 15 ex Repubbliche Sovietiche in cui vi è stata una transizione morbida, che continua seppur tra mille difficoltà pure oggi e le cifre parlano da sole: il suo Indice di Gini è di 0,309 e occupa la ventitreesima posizione della classifica, mentre l'Italia con 0,360 è cinquantaduesima e la tanto decantata Polonia il quarantaduesimo. Forse non vi sono state crescite spettacolari, forse il Paese è ancora indietro con la digitalizzazione e la robotizzazione, ma girando per le strade sia della capitale che delle province non troverete mai un postulante o uno straccione: al massimo qualche vecchietta nella metropolitana, che vende fiori o ortaggi per arrotondare la pensione. Le ultime proteste popolari del 2017 ebbero un carattere squisitamente economico e per nulla politico. Non è facile per Lukasenka cercare di mantenere un solido welfare state quando la stessa Russia, primo partner commerciale e prima fonte di aiuti è essa stessa in ambasce e vittima di immeritate sanzioni.
Altri meriti di Lukasenka sono stati, nell' ordine, una politica estera dignitosa che non lo ha mai portato a essere una marionetta dei russi e ad anteporre l'interesse nazionale innanzi tutto- sino a pagarne conseguenze, vedi la disputa sul gas del 2007 e la condanna dell'annessione della Crimea del 2014- e la mancata genuflessione ai poteri forti finanziari mondiali, sino al punto di scontrarsi, nel 2016, con l'FMI e le sue condizioni giudicate "assurde". Lukasenka è un classico politico equilibrista, che vuole giostrarsi tra Russia, Ucraina, Cina (molti gli accordi stipulati e molti i cinesi che si vedono all'aeroporto di Minsk) ed Unione Europea mantenendo- e questo è davvero il bello- una propria peculiarità identitaria e nazionale, senza sottostare alle lezioni di nessuno su come dovrebbe essere il "modello interno di politica ed economia" e senza pelose supervisioni o pericolose ed eterodirette "rivoluzioni colorate". La piccola Bielorussia nonostante le difficoltà è uno degli Stati più "sovranisti" d' Europa, di cui solo il paraocchi ideologico di molti politici nostrani e continentali impediscono di comprendere l'essenza: ha una sua politica estera ben precisa e autonoma, una sua Banca centrale e una sua moneta, un esercito solido e motivato non legato mani e piedi da alleanze scomode.
Concludo con un paio di note. Taluno accusa Lukasenka di non rimuovere le statue di Lenin e i simboli ex sovietici. Se a voi non piace chi tiene in piedi le sculture di Lenin, a me non piace, di converso, chi cancella la Storia e ne vuol fare tabula rasa o una damnatio memoriae in nome non si sa di che. Aggiungo che esiste pure un busto di Stalin al Museo della Guerra di Minsk e che serve più anticonformismo ad esibire Stalin (anche se al chiuso d' un museo) anziché rimuovere le statue di Lenin. Come seconda cosa, faccio notare che la festa del 3 luglio (festa nazionale, liberazione di Minsk, 1944) è ancora straordinariamente sentita da giovani e anziani e il mito fondante della vittoria nella "Grande Guerra Patriottica" funge da collante che unisce le generazioni e tutto un popolo. E con buona pace dei filoamericani, il primo contribuente della sconfitta del nazismo fu l'URSS, che piaccia o no leggerlo. Restino ben salde, dunque, le statue di Lenin. Un popolo dignitoso, disciplinato, rispettoso delle regole e dell’autorità, cordiale con lo straniero (sono stato circondato da simpatia e umanità per tutto il viaggio), in un Paese straordinario ricco di bellezze naturali e storiche ben tenute e molto orgoglioso della propria identità. Quasi quasi mi era venuta la tentazione di rifugiarmi nel primo ufficio governativo o commissariato della "militsya" e chiedere asilo politico.  Fossero questi gli "stati di terrore”, il mondo sarebbe un bel posto colorato.