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Le illusioni della democrazia e la critica alla globalizzazione per Massimo Fini

di Giuseppe Gagliano - 12/07/2019

Le illusioni della democrazia e la critica alla globalizzazione per Massimo Fini

Fonte: Osservatorio globalizzazione

Lo stile brillante con cui Massimo Fini ha espresso le sue riflessioni sulla democrazia accompagna un pensiero che denota un’efficace (stilisticamente parlando) sintesi di riflessioni mutuate dalla sociologia di Max Weber, dalle riflessioni di Vilfredo Pareto, dalla Scuola di Francoforte, dall’intellettuale francese Alain de Benoist, dalla sociologia di Wright Mills, e da una vasta gamma di pensatori che va da  Serge Latouche a Martin Heidegger (soprattutto in relazione alla tecnica) passando per George Simmel, Nietzsche e Giuseppe Prezzolini.
Vediamo di riassumere in punti essenziali alcune delle critiche che Fini muove alla democrazia.
Secondo il giornalista italiano l’esistenza dei partiti non rappresenta il fondamento della democrazia ma al contrario il vulnus della democrazia perché nega uno dei presupposti fondamentali e cioè la partecipazione. Il cittadino da solo non è in grado infatti di partecipare alle elezioni democratiche ma può farlo soltanto attraverso i partiti che ormai hanno occupato ogni ambito del settore pubblico e in gran parte di quello privato. Provocatoriamente l’autore afferma che i partiti non sono l’essenza della democrazia ma, al contrario, ne rappresentano la fine. Concretamente parlando la democrazia non è fatta dal popolo ma da un’aspra competizione tra oligarchie o poliarchie.
In secondo luogo coloro che fanno queste oligarchie ,cioè gli uomini politici o la classe politica, sono persone che hanno come unico elemento fondamentale il voler fare politica,sono cioè dei professionisti della politica, che vivono di politica e sulla politica.
Quanto alla tanto conclamata formazione della nomenclatura politica, questa è puramente ed esclusivamente burocratica poiché avviene all’interno degli apparati di partito, attraverso lotte spietate analoghe a quelle che avvengono all’interno delle organizzazioni criminali. Infatti, secondo l’autore, la corruzione presente all’interno dei partiti e, quindi, della democrazie non è una variabile ma è una costante poiché i partiti pur di spartirsi il potere e, quindi, il denaro non hanno scrupoli di alcun genere.
In relazione alla questione del potere mafioso le riflessioni dell’autore sono nette: la linea che divide le oligarchie legali da quelli criminali è molto sottile poiché i valori sui quali questi gruppi si tengono insieme e si difendono verso l’esterno sono gli stessi e cioè la fedeltà, la lealtà, l’omertà rispetto gerarchico e molto spesso anche i metodi sono in parte coincidenti. In fondo la tangente politica non è altro che un pizzo. Insomma, alla luce di questo raffronto, la democrazia nella sostanza è un sistema di mafie fatta da alcune attività legali e da altre prevalentemente criminali.
Un terzo aspetto sottolineato da Fini è quello relativo all’adesione dei cittadini ai partiti, che non è in gran parte di una decisione da parte del popolo ma è frutto della possibilità di trarre vantaggi, benefici o favori secondo una logica esclusivamente clientelare.
Quanto poi alla cosiddetta reale libertà nel votare, ed è il quarto aspetto, da un lato questa è determinata da una continua e costante manipolazione che i partiti attuano attraverso i giornali, i mass-media e i social network e dall’altro lato sono i partiti o gli apparati che impongono al popolo i loro rappresentanti. A tale proposito, non senza ironia, Fini sottolinea come la vera attività dell’uomo politico – oltre a quella di amministrare il potere – sia quella di parlare, cioè di ingannare, e mentire attraverso la parola al popolo. Il vero politico, in fondo, non è altro che un vero e proprio demagogo.
Invertendo il processo democratico che si presume parta dal basso per arrivare all’alto, l’intellettuale italiano sottolinea che in realtà il vero potere della democrazie è di tipo verticale poiché il potere passa dal popolo ai suoi rappresentanti, da costoro ai partiti, dai partiti agli apparati ed dagli apparati ad un ristretto gruppo di persone per arrivare poi al segretario del partito. In fondo le caste politiche dei sistemi democratici non sono molto diverse da quelle sovietiche perché anche queste vogliono l’autoconservazione e cioè il mantenimento del potere e dei vantaggi che adesso sono collegati.
Andiamo adesso alla cosiddetta libertà d’informazione, che sarebbe uno degli elementi di maggiore differenza rispetto sistemi totalitari. In realtà, sottolinea l’autore, i grandi organi di informazione, e cioè quelli che contano, sono in mano a determinate oligarchie economiche strettamente legate, attraverso una serie di intrecci di natura politica e non alle oligarchie politiche. In buona sostanza tra il Corriere della Sera e la Repubblica ci sono in realtà differenze minime perché in fondo fanno gli stessi interessi, sottolinea Fini. D’altronde non si spiegherebbe come mai i partiti sono così attenti a lottizzare la televisione di Stato né si spiegherebbe come mai la carriera politica di Berlusconi è stata possibile anche grazie alle sue televisioni private.
Per quanto riguarda l’importanza del consenso popolare basterebbe notare come le politiche monetarie che riguardano miliardi di persone siano decise dalle banche centrali e dal Fondo monetario internazionale; per quanto poi riguarda le scelte di politica estera, nonostante la contrarietà delle opinioni pubbliche occidentali alla guerra in Iraq, questa si fece comunque. Tutto ciò accade perché il consenso che i leader politici cercano è puramente strumentale, cioè lo cercano solo per legittimare e o ampliare il loro potere.
L’omologazione alla quale ormai tendono tutte le società contemporanee è tale che la maggior parte dei partiti che si definisce di destra o di sinistra sono in realtà a favore del libero mercato che, insieme al modello industriale, è uno dei meccanismi fondamentali che determina la nostra stessa vita, i nostri stili di vita, di cui la democrazia costituisce solo l’involucro legittimante. Ed a proposito della presunta differenza tra destra e sinistra, non fu forse il democratico Bill Clinton a legittimare la guerra in Jugoslavia? Ebbene, gran parte della opinione pubblica italiana, non era forse contraria al cosiddetto intervento umanitario in Jugoslavia? O forse quando le guerre vengono promosse da un governo di sinistra sono legittime e nascono con l’intenzione di salvaguardare i diritti umani mentre quando vengono promosse da un governo di destra o di centro destra in realtà violano i diritti umani e sono la conseguenza di politiche imperialistiche?
Perché allora scandalizzarsi di fronte alla lottizzazione politica del CSM? Le oligarchie politiche, sottolinea l’autore, devono necessariamente autotutelarsi attraverso una serie di immunità e ,proprio per questo, è fondamentale il controllo del potere giudiziario. In alcune democrazie vi è un controllo diretto del potere giudiziario in altre il controllo avviene in modo più indiretto.
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Un altro tema molto caro a Massimi Fini è certamente la critica alla globalizzazione. Numerose sono le conseguenze nefaste alle quali la globalizzazione ha condotto la nostra società secondo l’intellettuale italiano. Fra queste certamente vi è l’affermarsi del modello paranoico secondo il quale abbiamo la subordinazione dell’uomo al meccanismo produttivo, l’esistenza nella nostra società  di ritmi sempre più incalzanti e insostenibili, la standardizzazione e l’omologazione degli stili di vita in relazione alle esigenze di mercato. Contrariamente alle tesi di Karl Popper e del francese Alain Minc, Fini sostiene – e questa è una altra conseguenza nefasta della globalizzazione- che il mondialismo porterà in primo luogo ad una società multi etnica alla quale poi seguirà  una sorta di meticciato universale, cioè un unico tipo di uomo che sarebbe il risultato dell’incrocio  di popolazioni europee ed extra europee. D’altra parte, la globalizzazione, ha portato a consumare gli stessi cibi, a vedere le stesse cose, ad avere una cultura unica ed uniforme e ad avere leggi molto simili. Ecco dunque che la globalizzazione e l’immigrazione sono strettamente collegate: il meticciato universale al quale la globalizzazione si condurrà annullerà, secondo Fini, tutte le identità. Al contrario, sostiene l’intellettuale italiano, l’identità costituisce un bene prezioso perché fornisce senso e significato alla vita. Il rispetto della proprietà identità deve necessariamente passare per il rispetto di quella altrui altrimenti siamo soltanto di fronte a una nuova forma di sopraffazione.
Ebbene tutto ciò è stato possibile grazie alla “tecnica”, che ha consentito la globalizzazione. Seguendo le riflessioni di Martin Heidegger, dello psicanalista Umberto Galimberti e di George Simmel anche Fini, in termini apocalittici, sottolinea che la tecnica ha creato un meccanismo che ha subordinato l’uomo ai propri fini massificandolo, omologandolo e togliendoli quindi identità e soggettività. Infatti, nella società attuale, la tecnica da strumento è diventato fine cioè ha acquisito una dimensione autoreferenziale e tautologica. Lo scopo della tecnica infatti è quello di riprodursi in modo illimitato aumentando la sua efficienza e la sua potenza a livello globale.
Infine la globalizzazione è stata possibile grazie allo stretto legame tra tecnica ed industrialismo che a differenza delle economie del passato non trasferisce beni ma crea i beni. Grazie all’industrialismo la civiltà occidentale scopre la natura illimitata dei bisogni e, cioè, scopre come sia facile influenzare gli esseri umani trasformandoli in consumatori. Il legame stretto tra industrializzazione e globalizzazione è dovuto anche al fatto che l’industrialismo, per poter sopravvivere, deve conquistare sempre nuovi mercati allargandosi in modo progressivo. L’esito  ultimo di tutto questo processo, secondo l’intellettuale italiano, è la creazione di una società  più disumana nella quale domina non più la concorrenza ma la competizione in modo sfrenato.