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Il sud esiste solo d’estate

di Marcello Veneziani - 23/07/2019

Il sud esiste solo d’estate

Fonte: Marcello Veneziani

Il sud è una terra stagionale, esiste solo d’estate, quando si ripopola di turisti ed emigrati rientrati per feste famigliari e patronali. Per il resto il sud come entità geopolitica, culturale, sociale non è più presente, ma solo passato. C’era una volta il sud.

Se dici sud oggi cosa ti viene in mente? Qual è il luogo, il simbolo, la cosa, la persona che più lo rappresenta? Rispondo senza esitazioni: Renzo Arbore. Qualche sera fa l’ho incrociato in uno zapping televisivo e l’ho seguito tra folle osannanti dall’America alla Cina, dal Brasile all’Australia, per non dire di Napoli e Milano, e mi sono accorto che l’essenza del sud oggi è lui, la sua canzone, il suo mondo di revival. È lui il Massimo Rappresentante dello Spirito Meridionale da Esportazione, l’Immagine del Mezzogiorno pop e notabile che sa prenderla con autoironia, buoni sentimenti e un pizzico di comicità.

Non è la criminalità a incarnare l’essenza del sud, come dicono i malpensanti o i seguaci di Roberto Saviano, anche perché pure le mafie sono emigrate; ma non è nemmeno la cultura e le sue bellezze, gli intellettuali della Magna Grecia e il filone meridionalista, ormai decimati e scomparsi. E neanche il sud delle istituzioni, da Mattarella a Napolitano, da Conte a Di Maio che non vengono percepiti come campioni del meridione. Ma il sud è oggi una canzone nostalgica e ironica, un refrain che ci ricorda il passato, la provenienza, la melodia del tempo antico. Il sud non c’è più, resta la location, il cibario e la parentesi estiva.

L’ultima scuola meridionale che ha avuto successo e visibilità in Italia e nel mondo, a partire dall’America, l’ultimo filone meridionalista che si è imposto in Italia risale agli anni Ottanta ed è comico-canoro. Era da poco finita l’era di Totò e Peppino, Nino Taranto e i melodici del sud. E sorse l’accademia ludica meridionale di Quelli della Notte, Indietro tutta, e prima Alto Gradimento. Rettore Magnifico fu Renzo Arbore, il terreno fu goliardico-radio-televisivo da cazzeggio serale-notturno: in quell’école vi fu il meridionalismo filosofico (da Luciano De Crescenzo a Riccardo Pazzaglia), sociologico (da Roberto D’Agostino a Max Catalano), musicale (Dario Salvatori, Gegé Telesforo, le band arboriane in giro per il mondo), maccheronico (Marisa Laurito, Andy Luotto), surreale (Nino Frassica, Marius Marenco), pedagogico (Michele Mirabella, Ugo Porcelli). Più i santi protettori della musica napoletana, da Murolo a Carosone. Quella d’Arbore è l’unica “scuola meridionalista”, ramificata tra la Puglia, la Campania e la Sicilia, che ha portato il sud fuori dal sud (proseguita in parte da Fiorello). La segue il cinema pugliese, capeggiato da Checco Zalone. L’egemonia napoletana e sicula sul marchio sud è da tempo insidiata dall’ascesa pugliese, per secoli sommessa. Arbore è napoletano d’adozione ma di nascita foggiana e di famiglia mezza bitontina, come del resto Mimmo Modugno, che figurava come siciliano ma era pugliese. L’ascesa di Matera, cerniera appulo-lucana, conferma questo smottamento orientale del sud.

Lo spirito del sud si è rifugiato nella ricreazione e nel tempo che fu, canta, fa gag e battute. Anche una canzone di questa stagione, Mambo salentino di Alessandra Amoroso e Boomdabash, ipotizza di andare a sud – “L’autostrada del sole mi riporta da te” – come un viaggio a ritroso nel tempo – “Tornare indietro nel tempo”. Eccolo, il segreto del sud, la malia, il fascino malandrino del meridione. Tornare indietro, alla natura, al sole, al mare, al caldo feroce, all’estate che abita dentro di noi, all’infanzia, alle prime comunioni, ai matrimoni del sud, ai funerali teatrali. Quel sud non è solo dei meridionali superstiti ma anche dei settentrionali o dei romani oriundi, emigrati di prima o seconda generazione o semplici simpatizzanti del sud.

Però questa immagine del sud come luogo del passato, recital di Renzo Arbore, notte della taranta, struscio e controra, conferma che il sud non è più presente ma ricordo. Quel che vediamo è il residuo, in certi casi il rottame, il vintage, o più nobilmente l’aura che resta ora che il sud è sparito. Non è una percezione onirica o solo emotiva, è un fatto reale se si considera il pauroso calo della popolazione, al sud più che al nord, la fuga dei giovani dai loro paesi e dalle loro famiglie, la sostituzione dei ragazzi di famiglia coi migranti spesso nel ruolo passivo di “stangachiazze” come si chiamavano gli sfaccendati del sud che stazionavano a lungo tra piazze, bar, sale da bigliardo o seduti ai marciapiedi dell’ozio, voluto o forzato.

Il sud è andato via, non è più qualcosa che si oppone al nord, semmai è diventato il passato del nord, la versione arcaica del mondo. Il suo incanto, la sua magia, è nella sua dimensione di favola riferita a un tempo trascorso o immaginario. C’era una volta il sud.  Tutta la passione che suscita è nella forza sanguigna dei ricordi, in quell’odore di arcaico o di antico che promana dai suoi luoghi, dalla sua cucina, dai suoi modi di fare. I concerti di Arbore come le gag di Zalone evocano modi di dire, di fare, di cantare di un tempo. E il sentimento come la comicità che suscitano, nascono proprio nello stridore tra quelle espressioni di una volta e il nostro modo di vivere oggi. Il sud che piace è quello che non c’è più, è quello che abita la credenza dei ricordi, il comò della nonna, il mare da bambini, la civiltà del pane. Ai meridionali tuttora viventi al sud, non piacerà questa immagine del sud. Ma anziché arrabbiarvi, cari conterronei, prendetene atto; fate di necessità virtù e trasformate, come si dice, una perdita in una risorsa. Magari in quel “c’era una volta” c’è l’attrazione del sud, la sua elevazione a mito, leggenda e la trasformazione della calamità in calamita…