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Gli immigrati? Sono proprio troppi

di Giuseppe Giaccio - 07/08/2019

Gli immigrati? Sono proprio troppi

Fonte: Il Borghese

Giuseppe Giaccio, traduttore e collaboratore di varie riviste, da alcuni anni analizza gli esiti della globalizzazione nella società postmoderna offrendo letture e spunti per interpretare le condizioni dell’uomo d’oggi e della crisi della nostra civiltà. Dopo aver pubblicato analisi sulla crisi della politica (Pluriverso. La politica nell’era della globalizzazione) e sulle nuove sintesi (con de Benoist e Preve in Dialoghi sul presente), ha analizzato i temi legati alla produzione e al consumismo (La decrescita. Un mito postcapitalista) finendo con l’affrontare il tema dell’immigrazione nel suo ultimo libro Homo migrans. Un’analisi realistica dell’immigrazione (Diana edizioni, www.dianaedizioni.com) che ha sollevato un interessante dibattito.  
La vulgata corrente parla dell'immigrazione come di un fenomeno ricorrente, che periodicamente a ondate interessa l'Europa e per questo non dovrebbe preoccupare. Viene spacciato per un problema fisiologico. Un discorso che forse non convince soprattutto se si pensa alla dimensione che ha assunto negli ultimi decenni.
Non convince perché è un discorso irrealistico e ideologico. Quando si superano certe soglie, tutto cambia. È vero che l’immigrazione è un fenomeno ricorrente, che c’è sempre stata (come, del resto, ci sono sempre state forme di stanzialità). Ma una cosa è migrare su un pianeta praticamente vuoto, in cui il genere umano ammonta a dieci milioni di persone, come al tempo della rivoluzione neolitica, tutt’altra faccenda è migrare su un pianeta di sette miliardi di persone, che tra non molto dovrebbero arrivare a dieci. Persone che vorrebbero adottare uno stile di vita occidentale che la Terra già adesso non riesce a sostenere. Ancora: una cosa è migrare su un pianeta politicamente stabile ed economicamente in ascesa, come accadeva nel secondo dopoguerra in Europa, altra e ben più problematica cosa è farlo nel contesto di uno scenario geopolitico instabile come quello che stiamo conoscendo dopo la fine dell’ordine di Yalta, con l’emergere della Cina, il risveglio della Russia di Putin e un’Europa vaso di coccio tra vasi di ferro, attraversata dal basso da una contestazione populista che non si sa bene dove andrà a parare.   
Come mai esiste una forte corrente di pensiero, formata da intellettuali, e appoggiata da personalità varie, fra cui anche papa Bergoglio, che caldeggia l'accoglienza e l'arrivo di masse sempre maggiori di migranti dall'Africa e dall'Asia nonostante risulta chiaro che non si può ospitare un numero infinito di persone? Ci sono interessi economici, religiosi o solo politici?
C’è, anzitutto, l’adesione a livello culturale alla nozione di flusso. Nel caso che ci riguarda, il flusso è quello migratorio. Tutto ciò che fluisce, scorre, si muove, è associato, in Occidente, a valori positivi: alla vita, all’energia, al vigore, al futuro. Tutto ciò che non fluisce è invece visto negativamente, è rigor mortis. Come cerco di chiarire nel libro, alla nozione di flusso, sempre più insostenibile sul piano ecologico, economico e politico, bisogna opporre quella di equilibrio, di armonia dinamica del vivente. Si tratta di conquistare le menti all’idea della necessità di edificare un altro paradigma, di accantonare la hybris che caratterizza tanta parte della nostra civiltà e che ci induce a ritenerci signori e possessori della natura, per sostituirla con un approccio più pacato e sereno col mondo. Quanto a papa Bergoglio, ha assunto posizioni ambigue. I media valorizzano le sue dichiarazioni aperturiste (abbattere muri e costruire ponti), ma in diverse occasioni il papa ha detto cose che un Salvini non avrebbe nessuna difficoltà a condividere. Ha citato l’esempio della Svezia. Dopo averla elogiata per aver praticato una politica di accoglienza, Francesco ha aggiunto che gli svedesi hanno fatto bene a un certo punto a tirare i freni e a dire: ora basta, di più non possiamo. Se queste cose possono dirle gli svedesi, a maggior ragione, credo, possiamo dirle noi italiani, dato che il nostro modello di Stato e di società fa acqua da tutte le parti, a differenza di quello svedese.        
Quanto incide la globalizzazione, e i suoi attori con le loro specifiche iniziative, come a esempio quelle di Soros e di altri capitalisti, nel guidare certi flussi migratori? E quanto incide il dibattito giuridico-politico sullo Ius sanguinis e Ius soli?
Il dibattito ius sanguinis-ius soli è un’arma di distrazione di massa. Il vero nodo è l’intensità del flusso migratorio. Se quest’ultimo non viene drasticamente ridotto, avremo comunque problemi, qualunque sia il regime giuridico adottato. La globalizzazione incide, certo, perché è il tentativo di fare della Terra uno spazio liscio sul quale  possano liberamente circolare uomini pienamente reificati e cose ridotte a merci ad maiorem pil gloriam, sradicando culture e distruggendo habitat. Le statistiche di quest'anno parlano chiaro sulla notevole diminuzione, da un anno in qua, dell'arrivo di migranti. Resta il fatto che molti clandestini arrivano egualmente in Europa e i problemi sociali e di ordine pubblico si moltiplicano. Quale potrebbe essere la migliore soluzione?
Sulla diminuzione degli sbarchi è bene essere cauti. Le statistiche, infatti, non tengono conto di quelli che certi giornalisti hanno definito “mini sbarchi” di “migranti-fantasma” che spesso sfuggono ai controlli. Secondo stime ufficiose, pare che nell’ultimo anno, con questo sistema, siano arrivati settemila migranti che poi hanno fatto perdere le loro tracce. La diminuzione riguarda perciò solo gli sbarchi più consistenti. Un anno, comunque, è un tempo troppo breve per trarre conclusioni. Nel libro, cito una ricerca pubblicata dal Mulino che riguarda un arco temporale di un ventennio e dalla quale si evince che in Italia, se la situazione non cambia, il numero di migranti è destinato a raddoppiare ogni sette-otto anni. Non è difficile immaginare l’impatto che questo produrrebbe sul nostro tessuto sociale. Quanto alle soluzioni, si può indicare qualche linea d’azione. Dobbiamo anzitutto “de-moralizzare” il dibattito, come ha osservato Stephen Smith. Occorre, cioè, togliere dal tavolo i toni da salvatori dell’umanità che servono solo a sollevare polveroni. E poi costruire un pettine stretto in fase di ingresso e percorsi praticabili in uscita. Perché, come ha ricordato ancora Smith, a noi servono poche braccia e qualche cervello.        
Perché, secondo lei, l'Unione europea non fa nulla per trovare una soluzione organica a un problema come quello dell'immigrazione?
Probabilmente perché l’Ue vede nel fenomeno migratorio più una risorsa e un’opportunità che un problema. Non nego che in alcuni casi sia così, ma in generale penso che, nell’attuale fase storica, gli aspetti problematici prevalgano sugli altri.

(a cura di Manlio Triggiani)