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Il tradizionalismo di Elémire Zolla: critica sociale e filosofia perenne

di Giovanni Sessa - 09/08/2019

Il tradizionalismo di Elémire Zolla: critica sociale e filosofia perenne

Fonte: Ereticamente

Nel 1964 venne pubblicato un libro di Umberto Eco che fece molto discutere, Apocalittici e integrati. Nelle sue pagine, il noto semiologo sviluppava una critica radicale nei confronti degli intellettuali che interpretavano una visione del mondo antitetica alla società di massa. Tra i «non integrati» è necessario ascrivere Elémire Zolla. Lo ricorda un’ampia ed organica monografia dedicata al pensatore tradizionalista, impreziosita dalla prefazione di Luciano Pellicani, da poco nelle librerie per Historica editrice, firmata dal giovane studioso Lorenzo Morelli, Elémire Zolla. Tradizione e critica sociale (per ordini: info@historicaweb.com, pp. 511, euro 22,00). Pur inquadrabile tra le schiere degli «apocalittici», Zolla, come precisa l’autore, non può essere definito, in senso stretto, un intellettuale di destra: «poiché egli respingeva completamente la dialettica destra-sinistra, e perché molte sono le destre» (p. 153).

   Dalla lettura del libro si evince che egli fu, fondamentalmente, un antimoderno. La sua radicale opposizione alla modernità, al suo modus vivendi, fu sviluppata in sequela alle posizioni anti secolari di Leo Strauss e Karl Löwith. Questi avevano individuato l’origine del germe progressista nell’immanentizzazione del fine della storia cristiano, il Regno di Dio, pienamente espresso nelle filosofie della storia del secolo XIX. La modernità fu esperita da Zolla quale civitas diaboli, quale esito dell’azione autoredentiva e neognostica messa in atto dagli uomini per realizzare il «paradiso in terra»: «Segno sicuro della satanicità è la smania di mutamenti, lo spirito innovatore, nozione immemoriale della demonologia» (p. 210). E’, pertanto, del tutto evidente che, nell’Italia del secondo dopoguerra, uno studioso animato da simili idee fosse considerato un oppositore dell’ establishment intellettuale, un inattuale costretto, il più delle volte, a confrontarsi con una critica malevola e di parte. In quel frangente storico, dato il tragico crollo del fascismo, l’Italia era egemonizzata dalla cultura marxista e, soprattutto, neoilluminista, che aveva quale proprio luogo d’elezione Torino, città dove Zolla nacque e si formò e, per «compagni di strada», i cattolici «democratici».

   La biografia, interiore ed esteriore, dello studioso è puntualmente ricostruita da Morelli, che si avvale di una conoscenza non comune della opere zolliane, ma anche della vasta letteratura critica in tema. Tre sono le fasi dell’iter esistenziale di Zolla. I primi trent’anni, trascorsi a Torino, furono essenziali per la formazione intellettuale e caratteriale del giovane. Nell’ambiente familiare apprese il gusto: «del poliglottismo che avrebbe in seguito coltivato nei suoi studi» (p. 31). Ammalatosi di tubercolosi, si confrontò con l’impermanenza delle cose. Conobbe, giovanissimo, la poetessa Maria Luisa Spaziani che, successivamente, sarebbe diventata sua moglie. E’ in questa fase che preparò il romanzo d’esordio, Minuetto all’inferno che, nel 1956, gli consentì di vincere il premio Strega e di ottenere la notorietà, mentre, nello stesso frangente, iniziò a collaborare con riviste e quotidiani. Nello stesso anno Zolla si trasferì a Roma, dove ebbe inizio la seconda fase della sua vita, centrata, a livello intellettuale, sulla critica della società di massa. Dette alle stampe nel 1959, L’eclissi dell’intellettuale, nel 1962, Volgarità e dolore ed infine nel 1971, con Che cos’è la Tradizione, elaborò la propria proposta per uscire dall’impasse contemporanea.

   Nel 1967 fu immesso nella carriera universitaria e fu protagonista dell’avventura culturale, essenziale per il pensiero di Tradizione, dell’Istituto Ticinese di Alti Studi, cui presero parte noti intellettuali controcorrente. Assunse, nel 1966, assieme a Del Noce, la direzione di una collana di Borla editore, per chiamata diretta di Cattabiani: seguì quest’ultimo nell’esperienza editoriale della Rusconi, punto di riferimento della cultura conservatrice e tradizionalista. Fondò, inoltre, il periodico Conoscenza religiosa. Le opere della terza parte dell’esistenza di Zolla, furono, al contrario, segnate dal: «suo progressivo distacco dall’anatema antimoderno e dall’abbraccio sincretico dell’Oriente» (p. 30). Negli altri capitoli del volume, Morelli discute il pensiero di Zolla. Premessa generale dalla sua esegesi è che il percorso del pensatore torinese fu coerente, ma complesso e non riducibile a semplicistiche definizioni. Egli mirò al recupero della dimensione metafisica e contemplativa, via regia verso le quali è da considerarsi l’iniziazione. Per questo, alla critica della civitas diaboli, egli fece seguire il riconoscimento e la presentazione, a beneficio dei lettori, della filosofia perennis, della quale andò alla ricerca: «attraverso le pieghe della storia millenaria delle civiltà umane e soprattutto delle civiltà orientali» (p. 17).

   Zolla ritiene che il susseguirsi di civiltà della critica e civiltà del commento sia conseguenza di due forze che abitano, da sempre, l’uomo: impulso prometeico e raffrenamento orfico, cioè conoscenza conscia del limite, atta a cogliere i ritmi del cosmo. Quando prevale il primo impulso, come accaduto con la modernità, gli uomini vengono asserviti ai nefasti demoni della materia, dell’utile, del denaro. Paradossalmente, egli introdusse in Italia gli autori della Scuola di Francoforte, ma comprese, tra i primi, i limiti della loro proposta speculativa pienamente aderente ai canoni moderni. In realtà, sapeva che l’alternativa alla ferialità del tempo presente non va neppure costruita, perché da sempre esistente: «Essa consiste nel ritorno alla sapienza tradizionale» (p. 19). Nella sua ottica, tale sapienza possedeva, innanzitutto, tratto sincretico, in quanto: «fondata su archetipi comuni a Oriente e Occidente» (p. 20). La padronanza del mondo simbolico con cui, nel corso dei millenni, l’umanità consapevole, si è avvicinata al Principio, era tratto essenziale della formazione di Zolla e si riverberava nella sua prosa, costruita, complessa, a volte ridondante di riferimenti eruditi, che rendono l’accesso alle sue pagine via iniziatica.

   Si badi, in esse possono entrare comunque i neofiti, purché dotati della sensibilità di rintracciare nel bello il vero: i suoi libri sono verità segrete esposte in evidenza. Negli ultimi anni, Zolla fu attratto dalle ricerche di uno studioso romeno, allievo di Eliade, Ian Petru Culianu, in particolare dall’interesse che quest’ultimo nutrì nei confronti degli sviluppi cognitivi, emergenti dalla fisica relativista. Da ciò le speranze risposte nella realtà virtuale. Noi gli siamo comunque grati per essere stato l’artefice dell’introduzione di Tolkien in Italia e per il trasparire, nelle sua prosa, del sapere di altri grandi. Non ultimo quello degli «imperdonabili» Cristina Campo e Roberto Bazlen.