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Valuta vera o falsa: fa differenza?

di Marco Giacinto Pellifroni - 24/06/2008

Fonte: truciolisavonesi

 

 

La notte tra il 9 e il 10 luglio 1943 la Sicilia subì un massiccio attacco da parte delle truppe

americane, che in un mese riuscirono ad occupare l’intera isola. Dalla Sicilia sarebbe

partita l’operazione per la conquista dell’Italia: un’operazione durata quasi due anni.

In questo lasso di tempo gli americani invasero, o liberarono, a seconda dei punti di vista,

la penisola; ma all’invasione militare aggiunsero anche quella monetaria. I primi due aerei

carichi di AM lire partirono dagli USA nel luglio 1943 alla volta dell’Italia e il generale

Alexander, Comandante in capo della campagna militare italiana, emise un proclama in cui

imponeva la circolazione forzosa delle AM lire (Allied Military Currency), che chiunque

era tenuto ad accettare per qualsiasi pagamento. L’Italia fu in seguito inondata da questa

moneta estranea alla sua economia per un totale di ben 130 miliardi di lire, che, per il

periodo considerato, era davvero una montagna di soldi. Le AM lire continuarono ad avere

corso legale fino al 30 giugno 1950.

Ma gli americani non si limitarono alle AM lire: introdussero anche, sempre con lo stesso

corso forzoso, un’imprecisata quantità di dollari col sigillo giallo, anziché blu, come quello

dei dollari americani (ciò allo scopo di poterli dichiarare fuori corso nel caso ingenti

quantitativi fossero caduti in mani nemiche). Essi furono dichiarati valuta legale dal

governo Badoglio il 24 settembre 1943. Per inciso, si noti la scritta che ne certifica la

copertura in argento, “pagabile su richiesta al portatore”. Bei tempi, verrebbe da dire, visto

che oggi il dollaro, come d’altronde tutte le maggiori valute, ha a Fort Knox oro o argento

per lo 0,00….% (e ufficialmente neppure questo, dal 15 agosto 1971!). Credo comunque che

nessun italiano abbia mai potuto pretendere argento in cambio di questi dollari “italiani”,

ma solo scambiarli per merce prodotta in Italia, col lavoro italiano; e questo fino al 31

luglio 1945, quando furono dichiarati fuori corso, ossia carta straccia.

Le AM lire erano state stampate senza quelle sofisticazioni e accorgimenti usati per la

valuta corrente, per cui parecchi falsari, specie a Napoli, si dettero a riprodurne in

quantità.

La domanda che io ora pongo è: agli effetti del danno prodotto all’economia italiana, già

stremata da anni di guerra, anche civile, faceva qualche differenza che le AM lire (o i dollari

col sigillo giallo) fossero quelle “genuine”, stampate dalle tipografie americane, o quelle

stampate in qualche scantinato napoletano?

La mia risposta è: no. Infatti, ogniqualvolta la moneta di una nazione viene stampata da un

ente che non rispetta la proporzione che la nuova moneta deve avere con la crescita di

ricchezza della nazione in cui viene fatta circolare, quella moneta non fa che far lievitare

l’inflazione, riducendo il potere d’acquisto della moneta circolante. Che poi venga definita

falsa o meno è solo una questione semantica. Le truppe americane dovevano finanziare le

loro operazioni belliche e, emettendo AM lire e dollari “italiani”, ne addossavano un carico

corrispondente, in termini di inflazione, sulle spalle del popolo italiano. Del pari facevano i

falsari, che ponevano in circolo moneta per fini propri, gravando anch’essi sul resto della

popolazione.

Finora abbiamo considerato due esempi che espongono, in tutta evidenza, il loro scopo

parassitario, e cioè l’appropriazione di ricchezza altrui tramite la forzosa o clandestina

diffusione di moneta aliena all’economia nazionale. Ma che dire di un club di banchieri

privati che, grazie alle leggi di governi a loro subalterni, compiono la medesima stampa di

moneta, successivamente imposta nel Paese? L’operazione è simile a quella delle AM lire e

dei dollari “gialli” sotto il profilo della forzosità -che ovviamente non vale per la valuta

falsa-, ma entrambe non si discostano da quella di chi stampa per proprio esclusivo lucro.

Guardiamo la tabella in fondo all’articolo. Come possiamo notare, tutte le maggiori

nazioni, ad esclusione di Giappone e Svizzera, annualmente stampano valuta e concedono

credito in volumi decisamente superiori alla crescita del loro PIL. La differenza

corrisponde a moneta o crediti creati senza una corrispondente produzione di ricchezza. Le

loro valute dovrebbero svalutarsi in proporzione a tale differenza, e i liberi rapporti di

cambio evidenziano la caduta, non in termini assoluti, ma relativi: ad es. il rublo si svaluta

a velocità doppia dell’euro, ma entrambi si svalutano comunque, e la loro svalutazione

appare sotto forma di perdita di potere d’acquisto, circa doppia in Russia rispetto

all’Eurozona.

I casi anomali sono quelli di Svizzera e Giappone, per motivi ben diversi: la prima per il

suo speciale e forse unico status di nazione a base prettamente finanziaria con

un’immagine di stabilità secolare: una cassaforte che non necessita di attirare i capitali

stranieri remunerandoli con alti tassi di interesse; il secondo per la scarsa propensione alla

spesa e al consumo dei giapponesi, indifferenti all’offerta di denaro a basso costo. Di

conseguenza entrambi i paesi sono stati oggetto di quel particolare tipo di speculazione che

è il carry trading, ossia la presa in prestito di yen e franchi svizzeri per impiegarli in

nazioni a più alto rendimento dei capitali.

In un precedente articolo avevo fatto riferimento al capitolo de Il Milione di Marco Polo

dove tratta del particolare sistema di prelievo di ricchezza effettuato dal Gran Khan a spese

dei suoi sudditi: la moneta legale circolante nel suo impero erano foglietti di carta ottenuta

dalla scorza del gelso (la pianta che fornisce il nutrimento ai bachi da seta), vidimati col

sigillo dell’imperatore e dichiarati l’unica forma di pagamento ammissibile, pena la morte.

Anche in quel caso si verificava sottrazione della ricchezza prodotta dal popolo col proprio

lavoro da parte di qualcun altro: il sovrano, che se ne dichiarava proprietario. All’epoca era

praticamente impossibile per le autorità calcolare quello che oggi chiamiamo PIL, per cui

la quantità di moneta cartacea in circolazione veniva prodotta in base al corrispondente

ammontare di beni solidi che i cittadini dovevano consegnare al sovrano in cambio di

quella moneta cartacea per i loro successivi pagamenti, essendo vietato il baratto. In

questo modo il Gran Khan diveniva fisicamente proprietario di tutti i beni dell’impero.

Oggi le banche centrali fanno esattamente lo stesso, in quanto tutta la moneta in

circolazione, sia essa cartacea o scritturale, è stata dalle stesse banche originariamente

prestata alla collettività, in cambio dei beni da essa prodotti, con un meccanismo

identico, anche se meno palese, di quello adottato dal Gran Khan o dal generale Alexander.

Tuttavia, ciò che differenzia i regimi nei quali il sovrano si identifica con il produttore di

moneta e quelli in cui tale funzione è svolta da una lobby di banchieri, cui sottosta, di fatto,

il potere politico e legislativo, è che nel primo caso si staglia ben nitida la figura della

persona responsabile sotto il profilo sia politico che economico-finanziario, mentre nel

secondo governa la lobby bancaria dietro il paravento di un Parlamento, per cui i veri

responsabili della gestione della cosa pubblica non sono identificabili, stanno nell’ombra.

Insomma, è venuta meno la responsabilità personale. Il signore che perdeva la guerra

perdeva spesso anche la testa. Oggi, possono cadere una o cento teste politiche (in Italia

siamo comunque più prossimi all’una, e comunque la caduta è solo simbolica), ma i veri

governanti, che nessuno vede, si tramandano il potere di secolo in secolo, come le dinastie

d’altri tempi, ma con rischi pressoché nulli.

 

P.S. Dopo aver scritto quanto sopra leggo della raffica di arresti di disinvolti gestori di

hedge funds e investment banks d’oltreoceano. I rischi cominciano ora a scostarsi da zero,

almeno negli USA. Qui da noi, invece, nonostante le ripetute violazioni delle norme, anche

fiscali, le banche, nostrane o straniere, sembrano dormire sonni tranquilli; il che fa nascere

il sospetto che le si voglia lasciare in pace, visto che non ci vogliono dei geni finanziari per

capire i trucchi contabili adottati per ridurre ai minimi termini le tasse dovute, in

particolare non computando all’attivo il denaro prestato, ma solo gli interessi; o truffando

lo Stato italiano con la richiesta di rimborsi di crediti d’imposta non dovuti. Autori: le solite

investment banks, Goldman Sachs (all’epoca dei fatti presieduta da Mario Draghi), JP

Morgan, Lehman Bros. Chi avesse dei dubbi si legga il più volte citato “€uroschiavi” di

Marco Della Luna e “La Repubblica delle Banche”, in uscita in questi giorni, scritto da Elio

Lannutti, fondatore 20 anni fa dell’Adusbef, associazione di difesa dei consumatori, in

particolare proprio dai soprusi bancari (www.adusbef.it). Dopo le AM lire e i dollari

“gialli”, il Bel Paese è dunque ancora terra di conquista per la grande finanza americana.