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Iraq, L’infanzia rubata dei bambini di Baghdad

di Jeffrey Fleishman e Rahim Salman - 23/10/2008


A Sadr City, molti bambini si accollano responsabilità che vanno oltre la loro età, alcuni non ancora adolescenti, ma che si guadagnano da vivere per mantenere le famiglie. La scuola, e una vita migliore, sono solo un sogno malinconico.


Venite a Sadr City e seguite i bambini: quello che trasporta farina sul suo asino, quello che raccoglie l’immondizia sul suo trattore, i due fratelli con i capelli tagliati a scodella e le mani macchiate di grasso, che sollevano marmitte e batterie per automobili, nel caldo della tarda mattinata.

Molti ragazzini qui non sanno dirvi quanto fa 6 x 3. Non sanno leggere. Non hanno tempo per giocare. Lavorano dall’alba fino a che la luna è alta. Sono bambini solo per quanto riguarda la taglia.

Il nuovo anno scolastico è iniziato di recente, ma non per Karrar Raad, 12 anni, e suo fratello Allawi, che di anni ne ha dieci. Lavorano per dei meccanici in garage attigui - più piccoli dell’armadio di una signora ricca. Il padre è malato e non ha lavoro, e i ragazzi devono mantenere otto bambini e due adulti. Guadagnano 2 dollari e 70 cents al giorno, più le mance.

"Mi guadagno da vivere per la mia famiglia", dice Karrar, un ragazzino slanciato con occhi nervosi e i pantaloni macchiati di olio. "Mi piacerebbe andare a scuola. Non ci sono mai stato. Neanche un giorno. I miei amici mi dicono che la scuola è bellissima".

Ali Rashid è il proprietario del negozio di marmitte. Un uomo imponente con dei taglietti sulle mani, che ha a sua volta sette figli ormai grandi, ha notato Karrar e Allawi che raccoglievano lattine per strada alcuni mesi fa, e gli ha offerto un lavoro. Dice che i ragazzi non dovrebbero vivere di lattine, e, inoltre, le strade sono troppo pericolose per raccogliere le cose. Le lattine potrebbero essere imbottite di esplosivo, con micce e polvere da sparo.

"A Sadr City ci sono troppe famiglie povere, e troppi bambini che lavorano", dice Rashid. "Per questi ragazzi è meglio qui che per strada, dove rischiano bombe ed esplosivi. Non credo che avranno un bel futuro. Non hanno una istruzione, e la loro famiglia non può aiutarli. A volte non hanno nulla da mangiare. Com’è possibile avere un futuro se non si ha nulla da mangiare?"

Che cosa pensa un ragazzo quando sente queste cose? Sentir dire che non c’è nulla di meglio di ciò che vede adesso: muri anneriti, marmitte appese in alto, un seghetto a un gancio, un poster dell’Imam Ali come unico colore nell’oscurità.

I fratelli Raad, e decine di migliaia di bambini come loro, in questo distretto sciita povero e chiuso da muri, sono stati formati dalla guerra, rifiniti dalla povertà. Sono testimoni della violenza confessionale, delle milizie sciite, di sermoni arrabbiati che echeggiano attraverso le moschee, del rumore degli Humvee [veicoli militari NdT] per le strade, e di foto di leader religiosi e di ricercati in alto sui cartelloni pubblicitari. Questi bambini possono non conoscere la grammatica e la punteggiatura, ma sanno cosa fare quando arrivano i proiettili, come mettersi al riparo, come nascondersi da sequestratori, combattenti, e soldati.

Lo spargimento di sangue e anni di conflittualità sono insegnanti rigidi, in particolare a Sadr City, dove il 30% dei bambini hanno lasciato la scuola, secondo un ufficio di Baghdad che si occupa di risorse umane. Si tratta probabilmente di una stima al ribasso. Un rapporto delle Nazioni Unite ha scoperto che in Iraq il 94% dei ragazzi frequenta la scuola elementare, ma che la percentuale cala al 44% quando si arriva alle superiori. Per quanto riguarda le ragazze, l’81% iniziano la scuola elementare; il 31% va alle superiori.

In un mondo diverso, ragazzi come i fratelli Raad potrebbero sognare di diventare ingegneri, medici, oppure aspiranti performer di hip-hop. Ma qui a incutere rispetto sono la divisa e il fucile, il soldato che indossa occhiali da sole scuri, e stringe fra le mani una mitragliatrice calibro 50. Il soldato e il poliziotto offrono protezione: qualcosa che nessuna aula o nessun programma Encarta possono garantire, non in questo quartiere – una accozzaglia di rumore, di case polverose e tetti in lamiera, che si estende come un mare grigio, dal negozio del sarto agli angoli dove la pecora urla prima di venire macellata.

Non ci sono aule nella lunga giornata di Ali Kadhim Baidani. Il padre è vecchio e curvo, e Ali, che ha 15 anni, raccoglie i rifiuti sul suo trattore per aiutare a provvedere alla sua famiglia di nove persone. Nel 2001, il suo clan si è trasferito a Sadr City dalle paludi a sud-est di Amara. Il trattore era destinato a coltivare i campi che circondano Baghdad, ma ogni giorno, alle 5 di mattina, Ali lo guida dai campi arati, per raccogliere l’immondizia nelle strade e nei vicoli, dirigendosi verso la discarica intorno alle 2 del pomeriggio.

Quando torna a casa, i fratelli più piccoli gli si fanno intorno per ascoltare le storie della città: lo aiutano a lavarsi le mani, spolverano i suoi vestiti. Ali, che è il figlio maggiore, non è mai stato a scuola; la sua infanzia è come il suo trattore – consegnata ad altre responsabilità. Presenzia a funerali e matrimoni al posto del padre, rappresentando la famiglia presso i vicini e il mondo.

"Per me, il momento più felice", dice, "è quando ricevo i soldi da chi mi ha ingaggiato [per raccogliere i rifiuti] e li do a mio padre perché li spenda per la famiglia. . . . Farò questo lavoro, e quando sarà finito ne cercherò un altro".

Il percorso del trattore di Ali attraversa le stesse strade di un carretto con un asino guidato da Sajjad Hassan Saadi, che ha 12 anni. Ha lasciato la scuola dopo la quarta elementare, per vendere la farina delle razioni governative al mercato di Jamilia. E’ illegale, ma, come molte cose qui, è un reato minore per la sopravvivenza accettato, che passa inosservato. Può guadagnare dagli 8 ai 12 dollari al giorno, ma, un pomeriggio di poco tempo fa, non aveva soldi in tasca.

"Quando vedo dei ragazzini, specialmente quelli che conosco, mi sento triste", dice. "Loro faranno gli insegnanti e gli ufficiali, ma che tipo di lavoro c’è dopo questo?"

Pochi isolati più in là, dopo edifici che portano i segni delle granate di mortaio e dei proiettili, dopo ingorghi di traffico e mercati affollati, dopo le armi nascoste dei miliziani sciiti contrari agli Usa, i fratelli Raad sono indaffarati in mezzo a batterie e marmitte, un set di attrezzi malridotti, una fiamma ossidrica, un pneumatico consunto, liscio come il marmo.

L’angolo è carico dell’elettricità statica delle radio. Poliziotti, sudati nelle camice bianche, e soldati con  indosso una tuta mimetica grigia, da città, con i fucili neri e lucidi, stanno di guardia. Molto potrebbe succedere fra il negozio del meccanico e l’angolo, ma la sicurezza era là, vigile di fronte ai muri anti-esplosione e al filo spinato. E’ il motivo per cui le strade del quartiere sono diventate assai più sicure.

"Una volta, mentre stavo lavorando", dice Karrar, "un elicottero americano ha sparato dall’alto contro alcuni uomini armati. Mi sono precipitato, ho chiuso il negozio, e sono corso a casa. A volte, qui ci sono scontri a fuoco. Senti i proiettili. Una volta avevo paura delle sparatorie, ma adesso sono in grado di distinguere se la sparatoria è vicina al mercato o da qualche altra parte".

Karrar tira fuori un sogno dal grasso.

"Mi piacerebbe molto entrare nella Guardia Nazionale", dice. "Quando li vedo, mi piacciono tanto. Sono coraggiosi, e adoro il modo in cui portano i loro fucili".

Dei bambini passano davanti al garage: alcuni hanno cartelle e abiti nuovi, o, almeno, abiti vecchi puliti.

Abdul Bidan, il padre di Karrar, che si è fermato a salutare i suoi due figli, sussurra: "Quando vede dei ragazzini con le cartelle, diventa invidioso".


(Traduzione di Ornella Sangiovanni)

Articolo originale
Los Angeles Times