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L'uomo e la donna sono destinati a non capirsi, perché i loro mondi sono incommensurabili

di Francesco Lamendola - 18/01/2009


 

Come abbiamo già avuto occasione di notare in tutta una serie di articoli, le condizioni specifiche della società postmoderna sono tali da rendere particolarmente difficoltosa la relazione fra uomo e donna, come hanno intuito perfettamente, e con largo anticipo sugli eventi, scrittori come Henrik Ibsen e August Strindberg; o, più recentemente - ma sempre con un certo anticipo - registi cinematografici come Ingmar Bergman (e non solo nel memorabile «Scene da un matrimonio», ma un po' in tutta la sua opera).
D'altra parte, la società post-moderna non favorisce le relazioni umane di alcun genere, neppure quelle degli esseri umani (maschi o femmine, giovani o adulti) con se stessi; per cui la problematica della relazione fra uomo e donna potrebbe apparire semplicemente come uno degli aspetti della generale alienazione e del generale senso di isolamento che caratterizzano l'individuo nelle condizioni attuali.
È arrivato, però, il momento di affrontare decisamente un aspetto ben più essenziale della questione, ossia - al di là delle mutevoli circostanze storiche, sociali e culturali - la condizione strutturale, ontologica, di incomunicabilità e di reciproca incomprensione che caratterizza la relazione fra l'uomo e la donna.
In genere, le persone si limitano ad osservare il fenomeno e ne traggono motivo di sfoghi più o meno amari, di invettive, di cocenti rimpianti. La donna rimprovera all'uomo la sua insensibilità, la sua rozzezza, la sua totale indelicatezza; l'uomo rimprovera alla donna la sua tortuosità, la sua sconcertante tendenza a contraddirsi, la sua emotività viscerale.
Ma quanti fanno uno sforzo per guardare più in là del puro e semplice fenomeno e per tentare di comprendere le ragioni dell'altro?
Una forma deplorevole di demagogia spinge sovente l'uno o l'altra a solidarizzare genericamente con il punto di vista dell'altra parte: si assiste allora al curioso fenomeno - e, per certi aspetti, assai malinconico - della donna che parla male di tutte le donne e che si rammarica di non essere un uomo; o dell'uomo che insulta l'intero genere maschile e proclama, con accenti commossi, che il mondo sarebbe assai migliore se le donne potessero esercitarvi una funzione predominante.
In questa singolare e aggiornatissima versione del pirandelliano gioco delle parti, gli individui di sesso maschile - a nostro avviso - stanno superando ogni limite di dignità e di decenza, inseguendo l'applauso ad ogni costo del pubblico femminile e denigrando il proprio sesso a più non posso: quanto per convinzione e quanto per calcolo furbesco (specialmente se si tratta di giornalisti a caccia di lettrici o di politici e amministratori a caccia di elettrici), non è dato sapere. Sia come sia, il fatto è quello; è non è un bello spettacolo.
Intendiamoci, esiste anche il fenomeno opposto, ossia della donna che denigra il genere femminile ed esalta le virtù maschili; solo che, in generale, si tratta di una calcolata strategia per ridurre i signori uomini in proprio potere: come fa Mirandolina ne «La locandiera» di Carlo Goldoni, la quale riesce a far innamorare il Cavaliere di Ripafratta appunto simulando disprezzo per il genere femminile e presentandoglisi quale amica cameratesca.
Una triste "eroina" del romanzo popolare in versione post-moderna, ossia il «Grande Fratello» televisivo, ha condensato questa antichissima strategia femminile in questa frase: «Io li stuzzico, li provoco a mio piacere; ma quando loro abboccano all'amo, sono io che sto sopra e loro stanno sotto».

Dicevamo che, piuttosto di abbandonarsi al gioco di imprecare contro l'altro sesso o di indulgere a quell'altro gioco, carico di ambiguità, che consiste nell'imprecare contro il proprio ed esaltare quello opposto, forse sarebbe il caso di fare almeno un tentativo per comprendere le cause che sono all'origine della sistematica incomprensione fra i due generi.
Le quali ci sembrano consistere essenzialmente in una verità tanto semplice quanto categorica: il maschile e il femminile sono due mondi incommensurabili; non esiste un punto d'incontro fra il sentire dell'uno e quello dell'altro, perché perfino le parole hanno, per essi, un peso e un significato completamente diverso; e, a maggior ragione, hanno un peso e un significato diverso le fantasie, le emozioni, i sentimenti, i pensieri e i ragionamenti.
La psiche maschile si fonda sull'evidenza oggettiva, o su quella che all'uomo appare tale. La realtà è quella che si può definire mediante concetti; le parole la esprimono con un discreto margine di approssimazione; la logica è lo strumento fondamentale per stabilire relazioni di significato entro la rete dei rapporti interpersonali.
In parole più semplici - e, ovviamente, parlando di situazioni «normali», ove siano escluse deliberate strategie di menzogna che pure, ovviamente, esistono - quando un uomo (normale) dice una cosa, intende proprio quella; e quando fa la somma di a) e di b), arriva immancabilmente al dato c). Se, ad esempio, dice: «Non capisco quello che hai detto», intende proprio quello: che non capisce quello che gli è stato detto.
La psiche femminile, per converso, è basata sul dato intuitivo: ciò non vuol dire che la donna sia incapace di logica (al contrario), ma che riserva le categorie della logica alle forme del pensiero astratto, prima fra tutte la matematica. Nella vita di ogni giorno, e particolarmente nelle relazioni interpersonali, la donna si lascia guidare dall'intuito: per lei le cose non sono mai come appaiono; sempre ella si domanda che cosa si celi, che cosa si nasconda dietro di esse e al di sotto di esse.
Per cui, se un uomo (normale) dice a una donna (normale): «Non capisco quello che mi hai detto», quest'ultima non prenderà le sue parole nel loro significato immediato ed evidente, bensì comincerà a domandarsi che cosa abbia voluto egli dire in realtà.
Non si tratta tanto di diffidenza e neppure di paranoia, ma di una innata attitudine a spingere lo sguardo oltre la superficie delle cose. Ciò sembrerebbe candidare la donna al ruolo di mistica per eccellenza; e, in effetti, vi sono state delle mistiche straordinarie, da Ildegarda di Bingen a Teresa d'Avila; però troviamo almeno altrettanti uomini, se non di più, dotati di una eguale potenza di elevazione mistica.
Il fatto è che la donna, generalmente parlando, non guarda al di sopra delle cose, ma al di sotto: fruga incessantemente nei piani inferiori della realtà, con un intuito quasi infallibile per le debolezze dell'uomo, ma con una scarsa capacità di gettare un ponte di umana comprensione verso di lui. A meno che salti il fosso a pie' pari e che si getti, anima e corpo, nella direzione opposta: ossia facendosi schiava volontaria del suo uomo, il quale potrà anche essere un disgraziato, un violento, un tiranno: ma, dal momento in cui viene «eletto», diviene per lei la creatura migliore di questo mondo. Se la picchia, è perché è geloso; e la sua gelosia è la prova del suo amore, dunque di quanto ella sia preziosa ai suoi occhi.
Insomma, la donna non riesce mai a porsi sullo stesso livello dell'uomo: o cerca di umiliarlo, di abbassarlo, di degradarlo (come fanno certe eroine negative dei romanzi di Dostojevskij, dalla Polina de «Il giocatore» alla Katerina Ivanovna de «I fratelli Karamazov»; oppure lo mette in trono e si fa sua serva, per adorarlo ciecamente e per godere, nella sua forte componente masochista, di essere maltrattata da lui.
L'uomo (normale, ripetiamo) vorrebbe, al contrario, portare la donna al proprio livello, o portarsi egli al livello di lei: vorrebbe, cioè, incontrarla su un piano di parità, per trovare in essa una amica, una compagna, una confidente; ma va a sbattere contro l'opposta esigenza di cui abbiamo detto sopra. Presto o tardi, anche l'uomo meglio intenzionato finisce per accorgersi che la donna non vuole questo, da lui: vuole dominarlo oppure vuole esserne dominata, senza sfumature o vie di mezzo.
E, alla fine, egli si arrende e rinuncia al tentativo.

Come si può uscire da un simile vicolo cieco?
Non bisogna farsi troppe illusioni, uscirne è quasi impossibile. Avviene di frequente che l'uomo e la donna, nella prima fase della reciproca conoscenza, sembrino tendere, all'unisono, verso il medesimo fine: ma è solo un'illusione; e, prima o dopo, i veli dell'equivoco cadranno e qualcuno si sentirà ferito, ingannato, deluso, svuotato.
Diceva Nietzsche che il fine dell'uomo è la donna, mentre il fine della donna è il figlio; e, nelle sue parole, vi è un buon nocciolo di verità. Molte donne si lamentano del cambiamento di attitudine dei mariti o dei compagni, avvenuto dopo la nascita dei figli; mai quanto avrebbero ragione di dolersene gli uomini. Quando la donna ha messo al mondo una nuova vita, l'uomo comincia a diventarle superfluo, per non dire fastidioso; e, anche se lo spirito di dedizione e il forte Super-Io di moltissime donne compensa questa naturale tendenza ad espellerlo, accade che tutte le attenzioni prodigate all'uomo non siano che un risarcimento inconscio per averlo spogliato della cosa più preziosa: la dedizione e l'amore assoluti di prima, che non torneranno più.
Oggi le cose sono notevolmente complicate dal fatto che l'istinto della maternità si è di molto attenuato e che moltissime donne non lo avvertono più come l'esigenza fondamentale della propria anima, né sanno bene con che cosa sostituirlo. Vagano smarrite qua e là, in un rapporto perpetuamente desiderante e perpetuamente conflittuale con il maschio il quale ultimo, ad ogni istante, può trasformarsi dall'agognato principe azzurro in un individuo squallido e banale, se non addirittura in un nemico. Anche qui, la letteratura è arrivata prima della filosofia, della psicologia e della sociologia: si legga «Madame Bovary» per averne la misura.
E allora?
E allora, forse, la cosa migliore che uomo e donna possano fare - vale a dire, la meno peggiore - è conoscere a fondo la propria fondamentale, irriducibile diversità, e sforzarsi di vivere l'avventura del loro incontro armandosi di tutto il coraggio, di tutta la pazienza e di tutta l'elasticità di cui sono capaci.
La cosa peggiore che possano fare - e che, di fatto, incessantemente fanno - è quella di illudersi che l'amore e la buona volontà possano gettare un ponte capace di annullare la loro differenza ontologica, mettendo a posto le cose senza ulteriori inciampi. Magari fosse così semplice: di fatto, ciò accade una volta su un milione.
Perciò, se l'uomo e la donna si offrono l'uno all'altra per quello che sono, consapevoli della loro differenza ontologica e sforzandosi ciascuno di concentrare la propria vita interiore ed esteriore nell'ambito che più si armonizza con il loro profondo sentire, per lo meno essi possono ridurre i rischi del disagio, dello scontro, della frustrazione e della sofferenza.

Si dirà che questo è un punto di vista maschile sul problema della relazione tra uomo e donna; e, ovviamente, è proprio così.
Ci siano tuttavia sforzati di essere, per quanto possibile, realistici e obiettivi nel delineare i tratti essenziali di essa; ma il problema è proprio questo: che il modo di sentire della donna non è di tipo realistico e obiettivo, ma intuitivo e soggettivo.
Davvero, ci sono pochi margini di manovra per una reciproca comprensione.
D'altra parte, non si deve essere nemmeno troppo pessimisti.
L'uomo e la donna possono farsi realmente molto male l'un l'altra; ma possono anche essere di grande aiuto e sostegno reciproco.
Ne abbiamo già parlato, in particolare, nell'articolo «Nella parabola del Maestro e Margherita l'incontro felice tra il maschile e il femminile» (consultabile sempre sul sito di Arianna Editrice).
Sì, l'incontro felice tra i sessi è possibile; ma richiede notevoli risorse di coraggio e di tenacia; risorse che oggi, per le particolari condizioni della società in cui viviamo, tendono sempre più ad assottigliarsi.
E, soprattutto, richiede una grande capacità di uscire dal proprio «io» egoistico e di porre il «tu»: cosa che, in genere, non si raggiunge d'istinto, ma al termine di un lungo e sofferto cammino di autoconoscenza e di chiarificazione spirituale.
Come dire che solo l'uomo e la donna spiritualmente evoluti e maturi possono incontrarsi su un piano di parità e donarsi reciproco amore; altrimenti, non resterà loro che graffiarsi e ferirsi a vicenda, gridando inutilmente tutta la loro solitudine e la loro disperazione.