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La Francia torna nella Nato. Cosa cambia nella geopolitica mondiale?

di Simone Santini - 13/03/2009





obamasarkozy

«Il momento è arrivato. Non dobbiamo più auto-escluderci, gli assenti hanno sempre torto. La Francia deve codirigere piuttosto che subire». Con queste parole pronunciate l’11 marzo 2009 alla scuola militare di Parigi, il presidente francese Nicolas Sarkozy annuncia il reingresso del paese transalpino a pieno titolo in seno all'Alleanza atlantica, ovvero nel suo comando militare integrato.





Si chiude così una storia lunga 43 anni. Era infatti il 7 marzo 1966 quando il generale Charles de Gaulle, in piena guerra fredda, decideva di far uscire la Francia dal comando della Nato, di cui, tra l'altro, era stata una delle fondatrici nel 1949.

La Francia aveva vissuto i traumi dei processi di decolonizzazione del dopo-guerra: l'abbandono dell'Indocina negli anni '50; il caso della nazionalizzazione del canale di Suez nel 1956; la lacerante sconfitta in Algeria (1962) dopo otto anni di guerra. In tutti questi esempi la permanenza francese nella Nato non solo non aveva dato alcun frutto, al contrario avevano sancito la perdita di influenza mondiale della Francia a vantaggio, soprattutto, di un alleato, gli Stati Uniti.

De Gaulle volle così sancire la specificità francese e risparmiare al paese l'affronto definitivo all'orgoglio nazionale. La Francia, unico paese del blocco occidentale, non avrebbe ospitato basi americane e soldati stranieri sul proprio suolo. Forte della raggiunta deterrenza nucleare e della posizione strategica che non metteva in alcun dubbio la propria sicurezza, la Francia decise il grande passo, tuttavia non denunciò integralmente il Trattato atlantico ma rimase sulla soglia, con un piede dentro ed uno fuori (in and out), uscendo solo dal comando. Ciò che rassicurava anche gli americani.

Non di meno, nel corso degli anni sono intercorse varie trattative, talvolta palesi e più spesso segrete, per un ritorno di Parigi nella Nato. Sorprendenti quelle intavolate tra Mitterand e Bush sr. all'inizio degli anni '90, in uno dei momenti di massimo idillio tra i due stati in procinto di attaccare l'Iraq nella prima guerra del Golfo, quando segretamente gli ambasciatori di Usa, Gran Bretagna, Francia si incontrarono più volte in sede Nato.

I tempi non erano maturi e l'avvicinamento non portò a nulla di concreto, i francesi tendevano ancora a considerare prioritario un progetto di difesa europeo che si sarebbe potuto verificare solo con una drastica riforma della Nato ed un ridimensionamento dell'egemonia statunitense.

I contatti tuttavia proseguirono anche negli anni successivi durante il conflitto nella ex-Jugoslavia, in particolare durante la guerra in Bosnia quando la Francia partecipò per la prima volta ad una operazione atlantica tesa all'instaurazione di una zona di interdizione aerea.

Nel 1995, con la presidenza Chirac, il ritorno francese sembrò cosa fatta, non se ne fece nulla perché Parigi pretendeva il comando sud della Nato con sede a Napoli, considerato invece strategico ed irrinunciabile da parte americana.

L'ultimo capitolo è storia di questi giorni. In un mondo ormai completamente cambiato, senza più la logica dei due blocchi, Sarkozy ha voluto sottolineare che la posizione francese è anacronistica e controproducente. Durante una recente intervista a «Le barackozyFigaro», il ministro degli Esteri Bernard Kouchner ha delineato perfettamente la posizione dell'Eliseo e del governo: «Noi siamo membri fondatori dell'Alleanza atlantica. Il generale de Gaulle ci ha ritirati dal comando integrato nel 1966 perché non voleva, nel contesto della guerra fredda, che truppe straniere fossero dislocate in Francia senza essere sotto il comando francese. Oggi il contesto è cambiato. Il Patto di Varsavia e il pericolo comunista non esistono più. Abbiamo partecipato a tutte le operazioni Nato, in Bosnia, Kosovo, Afghanistan, ma senza tuttavia essere stati associati alla elaborazione dei piani. La Francia non può continuare ad essere l'unico regista di un film di cui non è stata invitata a scrivere la sceneggiatura! E questo non mette in causa in nessun modo la nostra indipendenza di decisione. Si ricordi che la Germania fa parte integrante della Nato ma non è stata obbligata a partecipare alla guerra in Iraq. In compenso guadagneremo dei comandi che saranno significativi e, soprattutto, la partecipazione alla elaborazione di piani che, in quanto vogliamo, si presume dovremo applicare [...] Siamo amici ed alleati degli americani, non al loro seguito».

Evidenti, dunque, i termini della questione. In nome di una specificità ormai superata dalla storia, la Francia non può permettersi, in definitiva, di subire ed adattarsi alle decisioni altrui senza nemmeno contribuire a determinare quelle decisioni.

E tuttavia non sono stati pochi nel paese, a destra come a sinistra, ad avere mal di pancia per la decisione del nuovo corso. "Asterix ha deposto le armi?" si interroga la stampa transalpina, scomodando il simbolo della fierezza e della ribellione francese contro la supremazia della superpotenza imperiale, ieri Roma, oggi Washington. Altrettanto netti sono gli argomenti a contrario portati contro le tesi a favore.

La Francia rischia di perdere la propria autonomia per lasciarsi trascinare in guerre non sue. Parigi non sarà in grado di contrastare la supremazia americana dall'interno: in precedenza nulla impediva alla Francia di partecipare alle operazioni della Nato, ma in qualità di alleato e non di vassallo. I francesi vedono con terrore l'ipotesi di trasformarsi in una Gran Bretagna bis.

Inoltre, punto centrale e caro alla politica francese, l'ingresso a pieno titolo nella Nato potrebbe significare l'affossamento del progetto di difesa europeo di cui Parigi è tradizionalmente uno dei baluardi. Su questo si gioca gran parte della scommessa lanciata da Sarkozy.

Una struttura europea di difesa e sicurezza avanza da anni a piccoli passi, rimanendo sempre nel limbo. Ecco allora la chiave di volta: usare la struttura già esistente della Nato per creare al suo interno una sorta di Nato 2, una Nato europea autonoma che possa concepire e portare a termine missioni senza che gli Usa debbano necessariamente parteciparvi. Progetto ambiziosissimo, riequilibrare dall'interno il dominio geopolitico americano, europeizzare la Nato. Ambiziosissimo o semplicemente utopico? Kouchner fa segno di crederci, dichiarando apertamente nel corso della già citata intervista: "Noi siamo a favore della europeizzazione della Nato! Gli europei avranno più facilmente la possibilità di condurre operazioni all'estero, senza l'accordo né la partecipazione degli americani".

Ma, a leggere l'agenda della politica estera francese, si possono trarre anche altre considerazioni, ben più realistiche delle precedenti. Kouchner, non senza orgoglio, rivendica che la Francia è stata in questi anni sostenitrice di posizioni internazionali contrarie alla politica statunitense ma dietro cui gli americani si stanno ora accodando.

Prima di tutto la guerra in Iraq, con Parigi da sempre fieramente contraria e su cui Obama vorrebbe porre la parola fine. L'aver tenuto sempre relazioni serene e costruttive con Mosca, mediando sulla Georgia ed opponendosi al suo ingresso insieme all'Ucraina nella Nato, ed ora Hillary Clinton offre all'omologo Sergeij Lavrov di "resettare" le incomprensioni degli ultimi anni. Parigi ha mantenuto o ripreso il dialogo con paesi considerati nemici dagli Usa: Siria, Cuba, Venezuela. Ora quei canali sono utilizzabili anche dagli americani. Sul problema del riscaldamento globale Parigi si è mossa all'avanguardia, ora anche Washington è costretta a seguire.

Su altre questioni, tuttavia, Parigi ha mostrato il pugno duro al pari degli americani coadiuvandone perfettamente la politica. Si tratta, guarda caso, di situazioni tutte riguardanti nel medio lungo periodo, direttamente o indirettamente, i rapporti tra Cina e Occidente. A partire dal dossier nucleare dell'Iran, con la Francia che ha la posizione più determinata a livello europeo; o le vicende del Darfur e di condanna al Sudan; o infine il Tibet che ha visto uno scontro diplomatico diretto tra Hu Jintao e Sarkozy che ha incontrato ufficialmente il Dalai Lama.

Nel momento in cui gli Stati Uniti si trovano nel pieno di una scontro di potere in seno al suo governo, tra una fazione (che ha pubblicamente come leader Hillary Clinton) anti-iraniana nella prospettiva del futuro controllo della Cina e quindi ora tatticamente su posizioni pro-russe, e una fazione (che ha pubblicamente come leader il ministro della Difesa Robert Gates) pro-iraniana e tatticamente dialogante con la Cina, avendo come avversario strategico la Russia, la Francia si pone a supporto della fazione Clinton ed il suo ingresso pieno nella Nato può determinare in maniera anche decisiva i rapporti diplomatici interni all'Alleanza.

Non è poi un mistero che sia Sarkozy che Kouchner abbiano stretti rapporti con Israele che spinge con tutte le sue forze affinché il gendarme americano si metta a disposizione per risolvere a Tel Aviv, una volta per tutte, la grana iraniana.