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Non credere, disobbedire e … dibattere

di Eugenio Orso - 25/03/2009


 

Abbiamo come ricchezza delle famiglie otto volte il nostro prodotto nazionale annuale, il più alto numero di automobili al mondo rispetto alla popolazione, il più alto numero di telefonini, siamo dei grandi playboy, quindi tutti i nostri ragazzi mandano almeno dieci messaggi al giorno alle loro tante ragazze, e siamo anche il Paese che ha il maggior numero di case di proprietà nelle singole famiglie.
Silvio Berlusconi in merito alla crisi economica italiana, 27 maggio 2005

La crisi economica, sociale e soprattutto etica dell’Italia è in atto ben da prima dello scoppio della crisi sistemica globale e con lei oggi si intreccia, amplificandone gli effetti.
Un potere politico incapace, cialtrone e mentitore – oggi incarnato da Berlusconi e dalla sua claque – per mantenersi in sella diffonde ottimismi ingiustificati, cerca di nascondere una penosa realtà che rischia di approssimare il completo sfacelo produttivo, infrastrutturale e istituzionale, nella colpevole assenza di interventi veri e risolutivi, di un deciso cambiamento di rotta nelle politiche economiche e sociali praticate.
La consegna sembra essere quella di spargere ottimismo e buonumore – ben simboleggiati dall’insopportabile e offensivo sorriso berlusconiano davanti alle telecamere – di minimizzare disinformando, di nascondere la miseria che si va diffondendo rapidamente nel paese, mentre sappiamo bene che la socializzazione delle perdite delle imprese e delle banche private, da trasferire a carico del settore pubblico, implica scaricare gli effetti della crisi sugli strati sociali più bassi, sulla maggioranza della popolazione senza rappresentanza e senza difese, e questo particolarmente in Italia, dove accentuate rispetto al resto dell’Europa occidentale sono le disparità di reddito, in cui i redditi da lavoro dipendente sono i più bassi e dove l’evasione e l’elusione fiscali e contributive da tempo immemorabile sono ampiamente tollerate [se non giustificate e promosse, come da passate dichiarazioni dello stesso Berlusconi] quale meccanismo perverso di spostamento della ricchezza dal lavoro alla speculazione, all’intermediazione parassitaria e al profitto.
Dissoltasi nei fatti la sinistra di sistema, a partire dall’arcobaleno fino ad arrivare al Pd in attesa di congresso, non rimane saldamente in piedi che Berlusconi con il suo cartello elettorale unificato “che è ormai cosa reale”, se si eccettuano due o tre pessime formazioni minori, comunque ben integrate nel sistema e parte dei suoi precari, truffaldini equilibri.
Imperterrito, Berlusconi procede ad ampie falcate verso il suo destino politico, che alla fine non sarà benigno, trascinandosi dietro l’intero sistema-paese e le ultime speranze di sopravvivenza degli italiani.
Recente l’ennesima, irrealistica iniezione di fiducia: “Bisognerebbe avere tutti la voglia di reagire, di avere molta fiducia, di impegnarsi e magari lavorare anche di più riguardo a questa influenza americana e questo virus che viene dall'America”.
Siamo arrivati al grottesco: il lavoro sta svanendo, i posti di lavoro stabili o precari si stanno sciogliendo come neve al sole, continuano le delocalizzazioni dell’industria pirata in oriente, nonostante i soldi pubblici che riceve, riprende a salire minaccioso il prezzo del greggio con la speculazione che rialza la testa nei mercati internazionali, e Berlusconi incita gli italiani a lavorare di più, come antidoto a questa banale “influenza” sistemica importata dagli Stati Uniti d’America.
Ridicola e intellettualmente disonesta è l’idea berlusconiana, venduta al popolino come salvifica, che grazie al discusso piano-casa in attesa di decreto legge e in odor di incostituzionalità, si possono rimettere in moto gli affari e far circolare quel denaro che le banche tengono stretto ed erogano con difficoltà crescenti agli attori del sistema produttivo nazionale.
Il grande imbroglio di questo esecutivo, il suo gioco delle tre carte con riflessi propagandistici, è già fin d’ora scoperto e lo sarà ancor di più nei mesi a venire, perché è finalizzato a non uscire dal solco delle politiche di stampo liberista e mercatista – proprio quel insensato culto del mercato, quel fideismo diffusosi a livello di massa dopo la caduta del muro di Berlino, che il mendace Tremonti ha dichiarato pubblicamente di voler combattere – le quali connotano lo “stato leggero” chiamato a gestire l’ordinaria amministrazione, in ambiti di autonomia sempre più ristretti, lasciando la moneta, i tassi d’interesse, la gestione del risparmio, il capitale finanziario nelle altrui mani private.
Gli effetti della crisi non devono colpire i livelli di comando sistemici, i loro camerieri e i grand commis politici locali, e l’impiego delle risorse pubbliche, la pressione fiscale che non concede respiro alle “classi subalterne” si impiegano e saranno sempre più impiegate proprio a questo fine, mentre il declassamento dei ceti medi può essere visto, dall’alto, come una sorta di “razionalizzazione” forzata della società, un necessario livellamento per continuare sul vecchio binario facendo fronte alla “sfida della globalizzazione”, cioè alla terribile e devastante minaccia commerciale asiatica.
Il piano-casa, la riforma della pubblica istruzione con diminuzione delle risorse da assegnare a quel cruciale settore, le azioni terroristiche di Brunetta nei confronti del pubblico impiego, la stessa social card tremontiana per come è stata pensata e attuata, nonché il contemporaneo attacco ai diritti dei lavoratori con la riforma della contrattazione collettiva e la limitazione del diritto di sciopero, costituiscono il concreto corpus di misure poste in essere per profittare della circostanza drammatica della crisi e sprofondare ancor di più la maggioranza della popolazione in una condizione di crescente subalternità, per ridurla a serbatoio di mano d’opera ad un costo sempre più basso.
La sostanza degli ordini che vengono dal remoto e al quale l’attuale esecutivo italiano, se vuole restare in sella, deve obbedire è grossomodo la seguente: i processi di mondializzazione economica continuano, il “libero mercato”  va difeso strenuamente, le banche si finanziano, ma non si toccano e non si nazionalizzano e, in particolare, deve continuare lo spostamento di risorse dal lavoro al capitale.
La produttività del lavoro si eleva licenziando e il costo del lavoro si comprime con rinnovi contrattuali che non recuperano la reale perdita di potere d’acquisto e con la prosecuzione ad oltranza della nuova, sofisticata forma di schiavitù-esclusione rappresentata dal precariato.
Un capitalismo anarchico e senza redistribuzione della ricchezza conduce ancora le danze e cercherà di condurle fino alla fine, con o senza Berlusconi.
In questa situazione non ha senso parlare di “partecipazione politica” all’interno del sistema che progetta tali nefandezze nei confronti della popolazione, partecipazione che alla fine si traduce nel porre una scheda in un’urna – rinnovando un rito sterile e truffaldino – nell’adesione ad un cartello elettorale o nell’iscrizione a un sindacato giallo.
Questo sistema, a partire dal suo abito politico liberaldemocratico, occupa interamente lo stato e le sue istituzioni, e rappresenta il volto visibile e riconoscibile del nemico da combattere, non essendo espressione degli interessi della popolazione italiana o, quanto meno, della sua parte sana che sperabilmente è ancora grande maggioranza.
Chiunque serva questo sistema infame o da lui tragga benefici personali ingiusti [vedi, a titolo d’esempio, le centinaia di migliaia di “politici” presenti in Italia] dovrebbe essere considerato, a sua volta, un nemico.
E’ in discussione il nostro stesso futuro e quello dei nostri figli e potrebbe diventare, se l’onda della crisi romperà definitivamente gli argini, questione di vita o di morte.
Nel momento attuale non ci sono speranze di veder concretarsi alternative politiche radicali, e se ci si pone la domanda “dove sono le forze rivoluzionarie?”, si constata che sono presenti sul territorio soltanto piccoli nuclei di aggregazione della lotta anti-sistemica nel mondo sindacale o in qualche formazione politica minoritaria.
Che fare in questa situazione, in cui gli argini ancora reggono e le residue fiducie nella democrazia liberale, frutto del condizionamento e dell’inganno mediatico, permangono?
Quello che possiamo fare è rovesciare il noto motto dell’era fascista “Credere, Obbedire, Combattere” – che fu della Gioventù Italiana del Littorio – e ritorcerlo contro questo sistema socialmente criminale e nemico: Non Credere, Disobbedire e Dibattere.
Non Credere che ci siano reali possibilità di riformare questo sistema, che ha già mostrato ampiamente la sua irriformabilità, da Tangentopoli ai furbetti del quartierino, dalla P2 a Why Not, dalle privatizzazioni degli anni novanta alla tormentata vicenda Alitalia, da Craxi a Mastella, e non credere che lo schieramento politico oggi di falsa opposizione, a partire dal Pd, rappresenta una vera alternativa a Berlusconi e al suo presunto “blocco sociale”, tale da invertire la rotta con politiche sociali e fiscali nuove, in quanto, anche se ci fosse una tale volontà [che non c’è] la UE, la BCE, il FMI e gli altri organi della mondializzazione non glielo consentirebbero.
Disobbedire scegliendo, ogni volta che è possibile, la “diserzione”, ad esempio disertando le urne – una cosa che si può fare agevolmente, senza correre rischi e senza essere oggetto di vessazioni o attenzioni sgradite – alimentando così una non partecipazione consapevole, che raggiungendo numeri più consistenti degli attuali può causare qualche problema di tenuta sistemica, nonché ingenerare timori [fondati] nella così detta classe politica.
Dibattere, discutere, mettere a confronto opinioni e soluzioni diverse, partecipare in tal senso alla costruzione del nuovo e far circolare il più possibile informazioni, analisi e idee dai contenuti rivoluzionari, per squarciare la cappa di disinformazione, intontimento e autentico abbrutimento creata dai media mainstream e dalla “informazione” ufficiale e addomesticata, per preparare il terreno a nuove forme di aggregazione politica e sociale.
Questo lo possono fare tutti, anche i padri di famiglia timorosi del futuro che hanno responsabilità nei confronti dei figli e che non posso permettersi di rischiare con un’aperta sedizione …