Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Dobbiamo diventare i genitori ideali di noi stessi per chiudere il cerchio della consapevolezza

Dobbiamo diventare i genitori ideali di noi stessi per chiudere il cerchio della consapevolezza

di Francesco Lamendola - 19/09/2009


«Che cosa farai da grande?», chiede l'adulto al bambino; e, il più delle volte, si attende di ricevere risposte come: l'astronauta; il calciatore; l'attrice o l'attore di successo, magari il chirurgo o lo scienziato…
Il bambino, che possiede le antenne, capta il pensiero dell'adulto e risponde esattamente a quel modo, pensando di esprimere la propria volontà. Del resto, tutta la società lo spinge in quella direzione, a cominciare dai mass-media, che parlano sempre di astronauti, calciatori, attrici bellissime e attori famosi, chirurghi e scienziati…
Sono tutte attività o professioni che conferiscono notorietà, denaro e un alto livello di gratificazione sociale; che fanno balenare immagini invitanti di automobili di lusso, ville sfarzose e confortevoli, vacanze esotiche, e - magari - anche qualche prima pagina sulle riviste di gossip, stuoli di giornalisti adoranti, e schermi cinematografici o televisori che trasmettono la propria immagine davanti a milioni e milione di persone, mute per l'ammirazione e l'invidia…
Le mamme e i papà sono i primi a suggerire al proprio figlio, già con il loro comportamento e con l'esempio quotidiano, che, nella vita, l'importante è farsi furbi e aprirsi la strada del successo in ogni modo; che, terminati gli studi superiori, bisogna iscriversi a qualche facoltà prestigiosa, che dia accesso a professioni ben remunerat; oppure brigare per fare qualche provino pubblicitario o televisivo, per entrare nelle grazie di qualche regista, di qualche produttore, di qualche direttore di giornale.
Ebbene, tutto questo significa preparare l'infelicità dei propri figli e indirizzare i giovani su una strada completamente sbagliata: una strada che potrebbe, sì, portarli ad una invidiabile posizione sociale e, forse, addirittura al successo; ma che, quasi certamente, non li renderà felici, realizzati e in pace con se stessi; ma che farà aumentare il numero dei nevrotici, dei frustrati, degli infelici, che sfogano sugli altri o su se stessi tutta la propria sorda disperazione.
L'unica cosa che gli adulti dovrebbero suggerire ai bambini e ai ragazzi, quanto alle loro future scelte di vita, è, semplicemente, di fare un po' di silenzio entro se stessi e di ascoltare la propria voce interiore, la voce della chiamata. Tutti siamo stati chiamati per una ragione, in questa vita: nessuno di noi è qui per caso. E questa ragione non può essere solamente quella di guadagnare tanti soldi, di soddisfare il narcisismo del proprio ego e di inseguire il miraggio di un benessere puramente quantitativo; tanto meno può essere quella che - scriveva brutalmente Leonardo da Vinci, sfogandosi nei suoi appunti privati - consiste nel lasciare al mondo, dopo il proprio soggiorno terreno, semplicemente in certo numero di «cessi pieni».
Lo scopo del nostro esserci non può consistere che nel lavorare su noi stessi per comprendere, appunto, quale sia tale scopo: ovvero quale sia la nostra vocazione, la nostra chiamata. Ciascuno di noi ha la propria: e solo seguendola, riusciremo a trovare la pace del cuore, sia pure - eventualmente - in mezzo alle difficoltà materiali. Tradendola, non troveremo altro che amarezza e infelicità: anche se potremo sfoggiare un superbo tenore di vita e anche se tutti gli altri, che non sanno, guarderanno a noi con invidia e ammirazione, come a degli esempi di successo realizzato.
Ma noi, in fondo all'anima, sapremo di essere dei falliti: perché non avremo dato spazio alla nostra parte più autentica; che non è, né può essere, quella che si lascia suggestionare da aspirazioni artificiali, indotte dal martellamento consumistico; ma quella che realizza il nostro vero io.
In un certo senso, si tratta di farci carico di noi stessi, imparando a volerci bene come un bravo genitore ne vuole al proprio figlio; si tratta di puntare a divenire, idealmente, i genitori di noi stessi, il genitore ideale che avremmo sempre desiderato, ma che, forse, non a tutti è stata data la fortuna di avere.
Il concetto è stato bene espresso dal filosofo americano Robert Nozick, già docente all'Università di Harvard (nato a New York il 16 novembre 1938 e morto a Cambridge, nello Stato del Massachusetts, il 23 gennaio 2002), a conclusione del suo libro «La vita pensata» (titolo originale: «The Examined Life», 1989; traduzione italiana di Giulia Boringhieri, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1990, p. 333):

«Quando avevo quindici o sedici anni giravo per le strade di Brooklyn con in mano, copertina bene in vista, una edizione economica della "Repubblica" di Platone. Ne avevo letto solo un po', e capito ancora meno, ma ero eccitato da quel libro e sapevo che doveva essere qualcosa di meraviglioso. Quanto avrei voluto che un adulto si accorgesse di me e ne fosse impressionato, che mi battesse sulla spalla e dicesse… non sapevo esattamente che cosa.
Talvolta mi chiedo, non senza un certo disagio, cosa penserebbe quel giovane di quindici o sedici anni di ciò che è diventato. Vorrei credere che di questo libro sarebbe compiaciuto.
A questo punto mi chiedo se 'adulto di cui egli allora cercava il riconoscimento e l'affetto non potrebbe essere, in fin dei conti, la persona che egli stesso sarebbe poi diventato. Se raggiungiamo l'età adulta diventando i genitori dei nostri genitori, e la maturità trovando un sostituto adeguato del loro amore, allora, diventando i genitori ideali di noi stessi, il cerchio si chiude e raggiungiamo la completezza.»

Bella questa domanda: il bambino che eravamo tanti anni fa, sarebbe contento di vedere, ora, quello che noi siamo effettivamente diventati?
Perché - questo è certo - con QUEL bambino non saremmo in grado di barare al gioco: non potremmo fargli credere di essere felici, di essere realizzati; e non lo potremmo ingannare gettandogli negli occhi il fumo del nostro successo esteriore.
No, quel bambino capirebbe al primo sguardo come stanno veramente le cose: lo vedrebbe nei nostri occhi, infallibilmente; perché i bambini riconoscono al volo gli occhi di una persona viva (anche se, magari, molto anziana)  e quelli di una persona interiormente morta o semiviva (che potrebbe anche essere relativamente giovane).
Dunque: per non deludere quel bambino o quel ragazzino che eravamo noi un tempo, pieno di sogni e di incanto del mondo, bisogna che noi gli mostriamo di aver conservato intatti i nostri sogni, che poi sono i suoi, e di aver conservato l'incanto, lo stupore e la freschezza davanti allo spettacolo del mondo, della vita.
Ma, perché questo sia possibile, è necessario che noi rimaniamo fedeli alla voce della chiamata; e possiamo farlo solo se ci abituiamo ad aver cura di noi stessi, proprio come farebbe un bravo genitore. Un bravo genitore ascolta la voce del suo bambino e tiene conto dei suoi desideri; e così dobbiamo essere capaci di fare noi con noi stessi, con quel bambino pieno di sogni e di incanto del mondo, che è dentro di noi.
Così come il bravo genitore non darebbe al proprio figlio se non le cose migliori - le migliori in senso spirituale, si capisce, non certo soddisfacendo ogni suo capriccio di tipo materiale -, così noi dobbiamo imparare a fare per noi stessi: trattandoci bene e non concedendoci se non le cose migliori, tali da soddisfare la nostra realizzazione come persone. Le cose migliori sono la verità, la bontà e la bellezza dell'anima. Pertanto, dovremo affidarci a tutte le strade che potranno avvicinarci al possesso di queste grandi sorgenti spirituali; e tenerci ben lontani dalle strade che - ingannandoci con false immagini di bene - ci potrebbero allontanare da esse.
Dovremo, inoltre, cercare la compagnia di quanti ci sembrano avviati nella stessa direzione, e cercare la guida di coloro i quali ci appaiano già in possesso, almeno in parte, di tali preziosissimi beni; ed evitare, nel modo più assoluto, di stringere relazione con coloro i quali percorrono strade diverse, ispirate dallo spirito di menzogna, di malignità e deformità morale.
Perché, esattamente come faremmo se dovessimo scalare una difficile montagna, o attraversare una regione sconosciuta, è importante che ci mettiamo nelle mani di una buona guida e che ci scegliamo dei compagni di viaggio che condividano il nostro ardente desiderio di giungere alla meta, o, almeno, di non allontanarcene troppo.
Nessuno, il quale abbia deciso di accompagnarsi per un tratto di strada con un ladro, dovrebbe meravigliarsi se poi, a un certo punto, si rendesse conto di essere stato derubato; e, se si mettesse a gridare al ladro, farebbe una figura ridicola. Udendolo, infatti, i suoi concittadini potrebbero domandargli: «Ma come, ti sei accompagnato ad un ladro, e adesso ti lamenti d'essere stato derubato? Vattene per la tua strada, brav'uomo, e non ci seccare con le tue querimonie». E lui non avrebbe niente da rispondere; potrebbe solo arrossire dalla vergogna e allontanarsi in fretta, per nascondere a tutti la sua disavventura.
La vita è bella, ma non fa sconti a nessuno: il senso che noi le vogliamo dare, dipende da quale prezzo siamo disposti a pagare per rimanere fedeli alla nostra chiamata, nella Babele delle parole confusionarie e tentatrici che ci risuonano incessantemente negli orecchi. Tutti gridano, magnificando la propria mercanzia: ma si tratta di miseri ciarlatani, perché chi ha qualcosa di veramente prezioso da offrire, non si mette a gridare sulle piazze: se ne sta zitto in disparte, e aspetta che siano gli altri a venirlo a cercare.
Questa fedeltà alla propria chiamata, impone un prezzo che può essere anche salato; solo con il sacrificio, la solitudine e il dolore, si imparano le cose importanti: quelle che ci aiutano a rimanere fedeli alla nostra parte più vera e più profonda, che se ne ride del benessere puramente materiale e che è assetata di assoluto e di eterno.
Noi dobbiamo realizzarci anzitutto come persone, esseri spirituali che tendono a trascendersi, per puntare a qualche cosa che sta oltre di loro: il ritorno all'Essere, il ritorno alla loro sorgente originaria, che ha tratto ogni cosa fuori dall'oscurità radicale del non essere. Siamo tutti persone, ma solo in potenza; di fatto, per diventarlo realmente, è necessario che lavoriamo assiduamente su noi stessi, eliminando le scorie e puntando virilmente all'essenziale.
Oggi, si vive circondati dal superfluo: e molti genitori, molti adulti, sono i primi a dare ai bambini il cattivo esempio dello smanioso inseguimento  del superfluo e dell'effimero. Quanti di loro, nella propria vita, sanno puntare senza tanti giri inutili verso l'essenziale, dando così il buon esempio ai piccoli?
Puntare all'essenziale, vuol dire anche prepararsi degnamente alla morte. Perché essere pronti a morire, significa essersi sbarazzati di tutta l'inutile zavorra che ci portiamo dietro: l'ambizione, la smania di prestigio e di successo, la vanità, la gelosia, l'invidia, l'avidità, l'attaccamento alle cose, la furberia da quattro soldi; in modo da essere agili e leggeri, pronti a spiccare il grande volo verso l'infinito.
Quando noi saremo pronti a fare questo, saremo preparati alla morte - non importa se essa sia vicina, oppure lontana - e potremo guadare alla vita senza paura, senza più odio né timore, senza alcun sentimento negativo che trasformi in sofferenza la pura gioia di esistere, di essere presenti e ben desti alla vita.
In tal modo, saremo anche riusciti a chiudere il cerchio della consapevolezza. Così come i nostri genitori e coloro che ci hanno amati, si sono presi cura di noi, quando eravamo piccoli, allo stesso modo, ora che siamo diventati adulti, noi stessi avremo imparato a prenderci cura della parte più vera e profonda della nostra anima: quella che riflette il bambino che noi siamo stati, con tutti i suoi sogni e con tutto l'incanto del mondo.
E, del resto, chi mai potrebbe essere un miglior educatore della nostra anima, di noi stessi che possiamo prendercene cura per ventiquattro ore al giorno, in tutti i giorni della nostra vita? Chi meglio di noi potrebbe conoscerci, avendo ascoltato la voce della nostra chiamata, proveniente dalle profondità dell'Essere? Del resto, chi ascolta la voce della chiamata non è mai solo, abbandonato alle sue limitate forze individuali; perché quella voce che giunge a noi, è la voce medesima dell'Essere.