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Risvegliarsi al presente

di Thomas Keating - 03/03/2010

Thomas Keating

Padre Thomas Keating è un monaco cistercense del monastero di San Benedetto a Snowmass, nel Colorado. È noto per essere un fautore della preghiera “di centratura”, una pratica individuale di silenzio contemplativo attraverso l’uso di una parola sacra (come “Dio”, “Gesù”, “pace”, “silenzio”, “apertura” o “presenza”) oppure un’immagine sacra (ad esempio, il riposo nelle braccia del Signore). Diversamente dal mantra, la parola o l’immagine non vengono ripetute continuamente, bensì considerate come punto focale al quale fare riferimento quando il consueto clamore dei pensieri diventa troppo insistente.

Padre Keating è anche l’autore di diversi libri, tra i quali Il mistero di Cristo e Invito all’amore. Nella metà degli anni Ottanta gettò le basi del programma Contemplative Outreach, il cui fine era dare informazioni sulla vita contemplativa non solo agli ordini monastici, ma a tutti i cristiani. Ciò veniva offerto attraverso ritiri intensivi della preghiera di centratura a Snowmass e in altri centri regionali affiliati.

Uno di questi centri è Chrysalis House, vicino al villaggio di Warwich, in mezzo alle colline boscose a circa ottanta chilometri a nord-ovest di New York. Proprio lì ha avuto luogo questa intervista, un pomeriggio degli ultimi giorni di ottobre.

Cynthia Bourgeault: Nel libro Il mistero di Cristo parli del fatto che viviamo in due diversi tipi di tempo, quello ordinario e quello eterno. Potresti spiegarci cosa intendi con questa distinzione?

Thomas Keating: Il tempo eterno implica i valori dell’eternità, che trascendono il tempo ordinario, interrompendo il tempo lineare. Al di là del mondo tridimensionale del tempo e dello spazio, c’è la sua fonte originaria, che è sempre presente anche come fondamento di ogni realtà. E i suoi valori comprendono e uniscono l’eternità in un eterno abbraccio. In tal modo, per la persona o il ricercatore che ha interiorizzato questi valori, tutta l’eternità è presente in ogni istante.

Cynthia Bourgeault: Il momento in sé si posiziona all’interno del tempo cronologico?

Thomas Keating: Sì, il tempo cronologico continua a scorrere. In questo contesto potremmo anche immaginarlo come un tempo circolare. Il tempo cronologico è una delle concezioni preferite in occidente, mentre il tempo “circolare”, forse più aderente ai cicli naturali, gode di maggiore considerazione nelle religioni orientali. Ma in ambedue i casi, sia che lo si concepisca come circolare o lineare (e quindi diretto verso un punto finale), il tempo eterno è presente in tutti gli istanti, dal momento che trascende il continuum spazio-temporale. E questo è ciò che rende straordinario ogni momento del tempo ordinario.

Cynthia Bourgeault: Non sembra che noi lo avvertiamo molto spesso come straordinario.

Thomas Keating: Questo avviene perché la nostra percezione del tempo è ordinaria, nel senso che ci sembra che non stia accadendo niente. Ma nella realtà, in ogni istante sta accadendo di tutto…

Cynthia Bourgeault: …se solo potessimo risvegliarci a ciò?

Thomas Keating: Questo è l’autentico significato di “risveglio”. “Risveglio” vuol dire la riscoperta del pieno valore di ogni istante, in quanto permeato di valori eterni. E di pari passo con l’eternità, ovviamente, vanno tutti i valori intuitivi dell’unità che vengono nascosti dalla percezione delle categorie e delle divisioni a livello mentale-egoico, o razionale, soprattutto in quelle culture spogliate delle loro radici e tradizioni contemplative. A un livello più elevato o profondo (che io preferisco definire più “centrato”) qualsiasi movimento verso il centro di sé è, allo stesso tempo, movimento verso il centro di tutti, ovvero verso quell’unità che è la fonte di tutta la creazione. In altre parole: gli individui sono legati insieme da una forza unificante che è sempre presente, ma di solito non è percepita (a causa della condizione umana) senza la disciplina di una pratica che riesca a penetrare il mistero del tempo ordinario.

Cynthia Bourgeault: Stai parlando solo della nostra civiltà occidentale o dell’intero genere umano?

Thomas Keating: Dell’intero genere umano. Tutte le religioni del mondo sembrano d’accordo nel sostenere che il presente stato di consapevolezza evolutiva è molto basso.

L’illusione (non sapere cosa è la felicità autentica) e la concupiscenza (il desiderio di cose sbagliate o la brama eccessiva di quelle giuste) ci fanno soffrire. E se anche riuscissimo a scoprire la strada per la perfetta felicità, non riusciremmo a seguirla a causa della nostra mancanza di volontà e scarsa energia. Questo è quello che i cristiani definiscono classicamente “le conseguenze del peccato originale” mentre nella religione induista ciò viene indicato come “maya”: ovvero, la comprensione che nell’apparente stato attuale della consapevolezza di tutti – della famiglia umana – qualcosa manca o è radicalmente sbagliato. Alcune religioni descrivono tutto ciò come una caduta da uno stato di grazia o felicità maggiori.

E così, nel disperato sforzo di trovare la felicità – sforzo che sembra comune a tutti gli uomini – cominciamo a sviluppare programmi emozionali che puntellino il nostro fragile ego, per compensare la felicità che non riusciamo più a trovare nell’esperienza intima della fonte della vita. Quando si smarrisce la connessione con le nostre origini, quasi ogni cosa sembra meglio del vuoto, della noia, dell’alienazione – del terrore esistenziale, forse – che vanno di pari passo con il senso di isolamento in un universo potenzialmente ostile.

Cynthia Bourgeault: Non c’è una parte di noi che ostacola questo ricongiungimento? Qualcosa al nostro interno che rimane attaccato alla percezione usuale del tempo? Dobbiamo arrivare a combattere per ritrovare la nostra fonte unitaria?

Thomas Keating: Penso che in genere le cose vengono sperimentate così. Infatti, questo è il motivo per cui nelle diverse tradizioni si usa l’immagine del guerriero o del combattente spirituale: perché si tratta di una guerra. L’illusione non sparisce a semplice richiesta; è saldamente radicata nel subconscio, al punto che anche quando siamo coscientemente immersi nel viaggio spirituale e nei suoi valori, l’io falso ride di queste cose e continua per la sua strada. E qui si sperimenta la contraddizione tra ciò che si vorrebbe fare e ciò che realmente si fa, rimanendo ancora sotto l’influenza dell’inconscio. Il nocciolo dell’ascesi, in pratica, consiste nel tentativo di smantellare i valori inconsci, ma questi permangono fino a quando non gli si dà coscientemente la caccia.

Questo è il motivo per cui vediamo persone che fanno parte di gruppi religiosi, o che hanno intrapreso un cammino spirituale, abbandonare beni di tutti i tipi e cominciare una nuova vita. Ma se non si chiede al falso sé di cambiare, nulla muta veramente. È la stessa mondanità, magari sotto una facciata rispettabile.

Cynthia Bourgeault: Insomma, quello che è necessario è cambiare atteggiamento.

Thomas Keating: Esatto, e questo è difficile che avvenga, perché quando cominciamo il cammino spirituale, il falso sé è fortemente radicato in noi. E quindi la sua influenza nella nostra vita è molto potente e sottile, a meno che non lo affrontiamo direttamente, cercando di smantellarlo. O, come dicono i buddisti, cerchiamo di avere “una mente che non si aggrappa a nulla”.

Cynthia Bourgeault: Prima hai parlato del bisogno “della disciplina di una pratica che riesca a penetrare il mistero del tempo ordinario”. Ti stavi riferendo espressamente alla preghiera di centratura ?

Thomas Keating: La preghiera di centratura è una tecnica per introdurre la dinamica della contemplazione nella tradizione cristiana. Mettendo tra parentesi, per così dire, il flusso ordinario dei pensieri per un tempo predeterminato, in modo di poter cercare Dio a livello intuitivo, si permette al praticante di sperimentare una pausa dall’usuale flusso di pensieri che tendono a rinforzare gli oggetti dei desideri del falso sé. Quindi, è un modo per iniziare a risvegliarsi ai valori eterni che sono sempre stati presenti, ma soffocati da questo chiasso di desideri interminabili e di bisogni disperati.

Cynthia Bourgeault: Mi domando se questa sorta di interruzione, di rilassamento nel momento presente, non esista in pressoché tutte le tradizioni.

Thomas Keating: In forme diverse, ha un ruolo essenziale in tutte le tradizioni; inoltre, ci sono molti modi per raggiungerlo. Lasciando andare il flusso ordinario dei pensieri durante una preghiera regolarmente ripetuta, si sperimentano il silenzio, la solitudine, una vita semplice e la disciplina della preghiera. In tutte le tradizioni questi sono i quattro ingredienti di uno stile di vita contemplativo, e nella realtà dei fatti essi riescono spontaneamente a manifestarsi come un cambiamento di abitudini di vita, ovvero nel raggiungimento di un livello di quiete e benessere più profondi che durante il sonno normale.

Ma nella tradizione cristiana il singolo individuo ha una relazione personale con Cristo o con Dio, pertanto non si prega solo per avere un’esperienza di quiete, ma per approfondire il proprio rapporto con Dio, cosa che a sua volta rende capaci di affrontare il lato oscuro dell’inconscio. Se dentro di noi non stiamo trasformando questa esperienza di quiete nella pratica e nella libertà interiore, tale esperienza è semplicemente un ottimo calmante.

Cynthia Bourgeault: Tutto ciò ha a che fare con l’ingiunzione di San Paolo di “pregare senza sosta” ?

Thomas Keating: L’autentico significato della preghiera senza sosta, secondo me, è che la presenza divina o i valori eterni nel momento presente cominciano a diventare più trasparenti: diventano una sorta di quarta dimensione del mondo tridimensionale. La consapevolezza della presenza di Dio al livello più sottile di tutte le realtà comincia a essere una sorta di addizione spontanea della consapevolezza ordinaria, non attraverso un pensiero o uno sforzo, ma perché semplicemente esiste, e la nostra capacità di percepirlo si è risvegliata grazie alla preghiera contemplativa.

Poter accedere alla presenza divina dentro di noi sembra in grado di sbloccare la capacità di percepire quest’ultima in ogni evento, per quanto opachi questi ultimi possano sembrare alle comuni percezioni umane. Per cui, la preghiera senza sosta vuol dire essere consapevoli della presenza divina in ogni istante, come una parte spontanea della realtà.

Cynthia Bourgeault: Finora abbiamo parlato della preghiera contemplativa come di una relazione personale con Dio. Non c’è una somiglianza con il modo in cui una comunità religiosa, in quanto gruppo, può compiere una simile relazione attraverso la liturgia, in particolar modo durante l’Eucarestia?

Thomas Keating: Assolutamente sì. Forse per la maggior parte di noi è la partecipazione regolare al culto a tenerci in contatto con i valori eterni in maniera regolare e ricorrente. Nell’antico testamento, il sabato pare aver avuto questa funzione, e la domenica per i cristiani è semplicemente un altro modo per celebrare una sorta di momento “di vetta” nel tempo ordinario, in cui l’accesso al tempo eterno è particolarmente forte, di solito grazie alla comunità di individui praticanti che cerca di entrare in contatto con il divino.

Cynthia Bourgeault: La liturgia è rivolta solo alla comunità o anche al singolo individuo? E cosa dona essa all’individuo che la preghiera contemplativa non potrebbe donare?

Thomas Keating: Fortunatamente, le due cose sono strettamente legate, quindi ogni progresso nella prima è un progresso nella seconda; inoltre, esse tendono a rinforzarsi reciprocamente. In altre parole, la migliore preparazione per l’eucarestia è rendere più profondo l’atteggiamento contemplativo. E in realtà la contemplazione è in se stessa un evento sociale, perché è una partecipazione reale alla passione e morte di Cristo, ovvero il paradigma di quello che sta avvenendo dentro di noi. In altre parole, anche noi stiamo sperimentando la morte del falso sé: questo è, secondo i cristiani, il significato del Cristo che assume la condizione umana, che “si fa carne”. La “carne” indica la condizione umana nel suo stato decaduto, e questo è ciò che, secondo noi, il figlio di Dio ha preso su di sé.

Cynthia Bourgeault: Puoi dire qualcosa di più riguardo l’anno liturgico, ovvero il modo in cui esso espande e approfondisce i vari momenti della liturgia su basi cicliche e regolari?

Thomas Keating: Ciascun istante di tempo è ovviamente breve, almeno dalla nostra prospettiva. Così, anche se l’intero mistero di Cristo è contenuto in un’eucaristia, poter in qualche modo “disfare il pacco” e separare le varie parti è molto importante. In tal modo, è possibile concentrarsi su un solo aspetto di questo mistero vivente e dinamico; esso può venir comunicato totalmente in un solo momento, ma, date le umane facoltà, può venire assimilato molto meglio tramite una graduale iniziazione a ciascun mistero, così come si manifestano nel ciclo.

A seconda di dove ti trovi nel processo, seguirai la liturgia identificandoti in uno stadio piuttosto che in un altro, perché in quel momento sei più in sintonia con quello stadio. Quando nel ciclo quel mistero si ripete, la consapevolezza si approfondisce. Alla fine, li hai assimilati e integrati tutti, e allora diventi la parola di Dio; in altri termini, ora l’hai udita a un livello più profondo che mai. In ultima analisi, il vangelo si rivolge al nostro essere più profondo, e in realtà non viene udito fino a quando non si raggiunge tale livello finale. E in quel momento tutti gli altri livelli si risvegliano e si arricchiscono, perché una volta raggiunto il centro e penetrato il mistero, tutti i simboli diventano più trasparenti e tutte le altre forme di preghiera si arricchiscono, senza che si debba dipendere da esse come sostituti del mistero stesso.

A proposito dell’anno liturgico, esiste una meravigliosa saggezza che insegna a vedere tutta la teologia spirituale in maniera concreta, quasi teatrale. Ma a differenza del teatro, non stai soltanto guardando: tu sei nel dramma e il dramma è in te. Pertanto, nella messa in scena della morte e resurrezione di Cristo, prima viene la purificazione rappresentata dalla quaresima: affrontare il falso Sé e smantellarlo con l’aiuto della grazia.

Dopo la quaresima, si è purificati e si accede ai misteri della pasqua e della pentecoste, esperienze di resurrezione frutto della libertà parziale dal nostro falso sé ottenuta grazie alle pratiche quaresimali. Anno dopo anno, nella liturgia si celebra la propria esperienza interiore di liberazione e di purificazione.

La pentecoste celebra il completamento del ciclo. Essa è la pienezza dello Spirito Santo, la piena illuminazione della grazia pentecostale, che consiste nel vedere la realtà attraverso gli occhi della saggezza divina, che è amore. E ricordiamo che l’anno liturgico legge il vangelo alla luce della pentecoste, non a quella degli stessi vangeli sinottici.

Cynthia Bourgeault: Ma il calendario liturgico non usa l’espressione “tempo ordinario” per il periodo tra pentecoste e avvento?

Thomas Keating: Sì, è chiamato così. Ma tutto il tempo è straordinario, quando viene osservato dalla prospettiva dello spirito.

Cynthia Bourgeault: Tuttavia, sembra che sottovalutiamo l’importanza del tempo ordinario nell’anno liturgico, così come smarriamo o ignoriamo l’importanza del tempo ordinario nella nostra vita quotidiana. Aspettiamo i giorni delle grandi feste come il natale, la pasqua e la pentecoste, e per il resto dell’anno pensiamo di non aver bisogno di andare a messa; questa non è un’esperienza “di vetta”.

Thomas Keating: Ma l’intero scopo delle grandi feste è risvegliarci all’importanza del tempo ordinario. Questo puoi vederlo negli ordini contemplativi. Dopo un po’, essi preferiscono i giorni feriali del tempo ordinario, perché questi ultimi non sono collegati a festività particolari, bensì comunicano la semplicità della vita quotidiana, con gli umili simboli del pane e del vino, del mangiare e del bere, che racchiudono tutto l’insieme della realtà.

In altre parole, tutta la vita è trasformata. L’eucarestia vuol dire che l’universo intero è davvero il corpo di Dio; dunque, qualunque sia la manifestazione dell’universo, stai sempre toccando, vedendo e sentendo Dio. E la coscienza che spontaneamente prende atto di questo profondissimo livello di realtà, è totalmente presente in queste cose semplici, perché adesso tutto è una rivelazione totale di Dio, che tu sia in chiesa o fuori da essa. Quindi, il vero motivo per andare in chiesa è riuscire a fare a meno di essa: il che è come dire che tu stesso sei diventato il tempio di Dio. E quindi il culto comunitario è la celebrazione di un’esperienza continua.