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Se i pastori diventano un bene da tutelare

di Carlo Petrini - 30/08/2010

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COSA ce ne facciamo dei pastori sardi se su quella stessa isola importano latte ovino dall' estero, con il quale si produce, per l' appunto, formaggio sardo mentre il latte sardo risulta sottopagato dalle industrie di trasformazione? È questa l' idea che abbiamo di un mestiere straordinario, di uno dei pochi rimasti a dialogare direttamente con la natura: i pastori come inutili testardi che per una scelta di retroguardia si trastullano in occupazioni ormai perfettamente sostituibili. Certo, finché sull' etichetta ci potrà essere scritto, semplicemente "latte, caglio, sale", nulla potrà far capire al consumatore che quel formaggio è cattivo. Avete letto bene. Cattivo. E non è una valutazione di carattere organolettico. Né di carattere salutistico.È un formaggio cattivo perché si comporta male. Male con il suo territorio, male con le persone che di quel territorio giorno dopo giorno, stagione dopo stagione, passo dopo passo, si prendono cura. Male con chi - i pastori sardi - ha messo a punto la sapienza che viene spesso frettolosamente accantonata per inseguire forse più facili profitti (offrendo prodotti a bassi prezzi), con chi - ancora i pastori sardi - ha creato la reputazione di un formaggio che oggi viene prodotto bypassandolie utilizzando il loro nome e la loro sapienza, oltre che il prezzo che loro hanno saputo spuntare sul mercato. E intanto il latte delle loro pecore viene pagato una miseria, ma evidentemente con i produttori di altre parti del mondo è ancora più facile fare i prepotenti, e quindi ci si rifornisce dove si riesce a pagare meno, non si sa come maie con quali costi sociali. Gli stagionatori non hanno ancora firmato i contratti con i pastori sardi, cosa che in generale a quest' epoca dell' anno è già avvenuta. I pastori non possono che aspettare (a proposito: mentre si aspetta il formaggio stagiona, e stagionando perde peso) e sperare che si decidano, ma magari quest' anno decideranno di acquistare il formaggio fatto da grandi caseifici che riconoscono poco al pastore perché fanno produzioni di massa. Il refrain è sempre lo stesso: signore e signori, consumatori e consumatrici a cui importa non solo di mangiare prodotti di qualità, ma che avete ben chiaro in mente che il lavoro del pastore è un lavoro di cura del paesaggio, del territorio e della cultura (e non ce lo possiamo ricordare solo quando franano intere montagne abbandonate), cercate i produttori e acquistate direttamente da loro, nella certezza di rendere un servizio al presente e al futuro di questo Paese. E pagateli a prezzi giusti: solo così avrete un prodotto che si comporterà bene. Il prezzo giusto è quello che garantisce un prodotto buono e genuino al consumatore e riconosce le fatiche e il ruolo del produttore. E questo deve valere per tutti i contadini e pastori del mondo. Ritornando al nostro caso. Fidatevi dei pastori: di quegli uomini e di quelle donne che potete andare a cercare, che vi spiegheranno come hanno allevato le loro pecore e vi diranno quali sono le loro difficoltà e le gioie del loro lavoro. Fidatevi di loro, non delle etichette che, specie nel settore caseario, ci dicono solo quel già sappiamo: latte, caglio, sale. In attesa che la nuova politica agricola europea si occupi non solo dei prodotti, ma anche di tutti i servizi che agricoltori e pastori rendono all' ambiente, dobbiamo far da soli. I pastori, se possibile ancora più dimenticati e vessati degli agricoltori, non possono attendere i tempi della Politica agricola comune.