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Piccoli passi verso l'autonomia della poltica dai mass media?

di Claudio Moffa - 13/09/2010

Fonte: claudiomoffa

 
Le minacce di un rogo di copie del Corano da una parte, e dall’altra di un attentato a Copenaghen – la città un cui quotidiano scatenò nel 2006 fa la polemica sulle vignette antiislamiche – sembrano riproporre anche quest’anno lo scenario usuale, quello provocato nove anni fa dalla strage dell’11 settembre: non a caso il termine “paura” e’ ricorrente in tutti i commenti e articoli sui quotidiani di ieri, anniversario dell’attentato alle Torri Gemelle. Tuttavia, dietro le cronache allarmate provenienti dagli Stati Uniti e dietro l’irrisolta questione di Al Qaeda, qualcosa si sta muovendo: non nelle cosidette “opinioni pubbliche” ancora drogate dalla propaganda dei tanti reverendi Jones che hanno le hanno plasmate negli anni diffondendo un odio pregiudiziale verso l’Islam, ma – udite udite – nelle leaderships politiche di alcuni paesi, che hanno compiuto gesti politici significativi destinati a favorire il dialogo con il mondo islamico.
Mi riferisco agli Stati Uniti di Obama, all’Italia di Berlusconi e alla Russia di Putin. Questi tre paesi – l’ultimo dei quali non fa parte dell’ “Occidente”, ma con le sue prese di posizione internazionali aiuta oggettivamente da anni coloro che negli USA o in Europa, lavorano al dialogo con il mondo musulmano e alla fine della orribile “guerra infinita” teorizzata dai neocons di George Bush – hanno compiuto tre passi importanti nella direzione giusta, scontrandosi con le cosiddette, sopra ricordate, “opinioni pubbliche”.
La scelta di Obama è nota: l’annuncio del presidente americano di voler costruire una moschea nel luogo del criminale attentato che molti attribuirono irresponsabilmente all’ “Islam” senza svolgere un minimo di inchiesta sulla sua dinamica e sui suoi molteplici lati oscuri, è stata sia coraggiosa che giusta. Coraggiosa come hanno dimostrato la reazione isterica di uno squilibrato – l’assai poco reverendo Jones – e i suoi fruttuosi echi sulla stampa americana e mondiale; giusta perché da’ il segnale della necessaria distinzione dell’Islam dagli eventuali manovali islamici che hanno compiuto la strage delle Twin Towers. Obama ha fatto il suo annuncio in un momento di forte calo dei suoi sondaggi: è ovvio che lo ha fatto in modo calcolato e cosciente, ma questo vuol dire che ha optato – al
contrario di quello che fece Bush dopo l’11 settembre - per lo scontro con i mass media proprio per rilanciare la sua immagine di Presidente lesa dai tanti cedimenti e mancate promesse dopo la sua elezione. E’ la Politica che reagisce al Quarto Potere: e questo è il dato positivo, ovviamente dentro un quadro complessivo a dir poco deludente, a cominciare dall’illegittima occupazione americana e dell’Afghanistan a sostegno di un regime corrotto e impopolare.
Controcorrente rispetto alle “opinioni pubbliche” – quelle costruite negli anni dalla catena di De Benedetti, Repubblica in testa – è andato anche Berlusconi quando ha invitato Gheddafi in Italia. La visita è stata un successo [1]: probabilmente ogni sortita provocatoria del leader libico è stata concordata, compresa la conferenza sull’Islam con un pubblico di giovani non paganti ma pagate. Le accuse sono state tante, ma i messaggi e i risultati positivi ci sono: fra i messaggi, significativo ad esempio quel curioso riferimento del musulmano Gheddafi al meticciamento fra libici e italiani – la libertà esogamica non appartiene a tutte le religioni del Libro – che stempera forse anche la presunta invasività dell’altro messaggio, quello della conversione all’Islam. Detto a un governo che (giustamente) vuole porre un freno all’immigrazione senza regole, compresa quella musulmana, la sortita di Gheddafi costituisce un motivo di riflessione su quanto sia complessa la questione Islam-Italia, da affrontare senza schemi e fobie o “filie” precostituite.
Fra i risultati della due giorni, ci sono la riconferma dell’Italia come partner privilegiato della Libia e la celebrazione di uno storico accordo che il centrosinistra non ha mai saputo concludere. Ovviamente il tutto non è piaciuto alla stampa di sinistra, memore forse dello sgarbo di Gheddafi nel 2009 al loro nuovo leader, il Presidente della Camera Gianfranco Fini, costretto ad aspettarlo per più di un’ora in Campidoglio fino a realizzare che l’illustre ospite non sarebbe mai arrivato; e memore probabilmente anche del duro attacco di Gheddafi a Israele, accusato nel 2008 da Tripoli di fomentare guerre e contenziosi in tutta l’Africa. Quanto poi alla richiesta di una montagna di soldi all’Europa per bloccare l’immigrazione clandestina, si vedrà come andrà a finire: ma lo schiaffo per ora simbolico è andato alla insopportabile burocrazia europea, e alla sua ipocrisia nell’accusare l’Italia – con il concorso di personaggi che hanno sempre applaudito alle guerre dell’Occidente contro la Jugoslavia e i paesi islamici, come Louise Arbour – di violare nientemeno che i “diritti umani” solo perché il governo di centrodestra è favorevole – come sacrosanto diritto dell’Italia - alla regolazione del fenomeno immigratorio e al blocco dell’immigrazione clandestina.
Infine la Russia di Putin. Qui il capitolo è ancora più scottante, rischioso, difficile. C’è di mezzo il coraggio e l’orgoglio di Ahamdinejad, i suoi discorsi forti su Israele, la Palestina, le minacce vere alla pace. Il 21 agosto la centrale nucleare iraniana di Bushehr è stata attivata con il concorso attivo appunto di Mosca, che peraltro è sembrata tornare indietro rispetto al suo sì a nuove sanzioni contro Teheran in uno degli ultimi Consigli di Sicurezza dell’ONU. Quali i motivi di quella scelta, forse improvvisa? Il pensiero non può non andare alle minacce costanti di Israele di un attacco diretto all’Iran, avendo Tel Aviv verificato il rifiuto degli Stati Uniti (sia Bush che Obama) ad intervenire di nuovo per suo conto, come nel 2003. Se questo era il pericolo di quei giorni agostani – come forse potrebbe indicare anche il recente articolo di Chossudovsky commentato su claudiomoffa.it – allora l’intervento russo è stato determinante in difesa della pace mondiale e del diritto dell’Iran – riconosciuto dallo Statuto dell’AIEA – a sviluppare una propria industria nucleare.
In questo caso poi, non è difficile avanzare la sottoipotesi che quella di Putin è stata una scelta di cui sono stati avvisati e che hanno condiviso Washington e almeno alcuni governi
europei, fra cui l’alleato principale di Mosca nel continente, Berlusconi. Una concertazione internazionale che se vera, costituirebbe un motivo di ottimismo, ma in un quadro sicuramente ancora deludente e difficile. Le conclusioni infatti sono due.
La prima è che i segnali di cui sopra restano dentro uno scenario drammatico di guerre guerreggiate, per responsabilità primaria di Washington e dei suoi alleati europei, che non rompono definitivamente con l’era Bush, della quale i due episodi più emblematici dal punto di vista del discorso che qui si sta facendo sono due: il discorso di sulla portaerei del 1 maggio 2003 – l’annuncio trionfante e tragicomico della inesistente vittoria americana in Iraq - e il cazzotto in faccia di papà Bush senior al figliolo, che con la sua subalternità totale, persino nella scelta “religiosa”, alle pressioni dei mass media e dei loro padroni, aveva ridotto la complessità e generalità erga omnes della tradizionale politica americana in Medio Oriente, ad una politica bellicista a senso unico, a favore di uno solo dei 16 stati della regione. Obama ha giustamente distinto fra Al Qaeda e Islam, ma questa distinzione dovrebbe portare a quattro corollari cruciali: ritiro dall’Afghanistan e trattative con i Talebani, non riducibili semplicisticamente a Al Qaeda; riconoscimento di Hamas e Hezbollah come movimenti di liberazione nazionale e legittimi o co-legittimi (Hezbollah) rappresentanti dei popoli palestinese e libanese, e fine delle sanzioni all’Iran. Scelte ovviamente che dovrebbero valere anche per l’Europa, che continua invece a considerare Hamas e Hezbollah organizzazioni terroriste, e a seguire passo dopo passo le scelte sbagliate di Washington.
La seconda considerazione è che nonostante quanto appena detto, i tre eventi di questa fine estate negli USA, in Italia e in Russia-Iran, sono un segnale della possibile autonomizzazione della “Politica” dalle interferenze dei mass media, che negli ultimi vent’anni – in Italia da dopo la fine della prima Repubblica – l’hanno resa schiava dei propri diktat, editoriali, interviste. La Politica si scontra insomma con il Quarto Potere, con la leggerezza (è il minimo che si possa dire) dell’apparato massmediatico internazionale controllato dai grandi magnati dell’editoria e della finanza “laica”, quella che nei momenti cruciali (ieri con le armi di distruzioni di massa di Saddam, oggi con la inesistente “bomba” di Ahmedinejad, e con il caso Sakineh che ha trasformato la giusta condanna di una pena di morte per lapidazione in un indecente peana nei confronti di una donna accusata di omicidio) ha sempre fiancheggiato il partito della guerra dell’oltranzismo occidentale. Non è tanto, per quanto appena detto, ma neppure poco. Per Obama è una quasi novità; per Putin – il più odiato dei leaders stranieri da parte della solita stampa “progressista” – e per Berlusconi che sono 15 anni che reagisce colpo su colpo alle aggressioni mediatico-giudiziarie, è un’abitudine obbligata. Il problema è come si svilupperanno questi segnali positivi in futuro, sugli scenari mediorientali e su quello economico internazionale rispetto al quale un timido accenno all’autonomizzazione della Politica si è avuto con il vertice G8 de L’Aquila del 2008.
[1] Quanto scrivo lo deduco dalle cronache giornalistiche: purtroppo, invitato sia dell’Ambasciata libica a Roma sia dalla Presidenza del Consiglio, non ho potuto partecipare alla cerimonia per l’anniversario dell’accordo italo-libico perché mi trovavo all’estero.
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