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Quando biodiesel fa rima con ‘fame’

di Giacomo Dolzani - 11/05/2011

Fonte: italiasociale




Da ormai parecchio tempo sulle televisioni, sui giornali e sui siti internet delle compagnie petrolifere si parla sempre di più di biocarburanti e, soprattutto, di biodiesel, presentandoli come la soluzione definitiva al problema dell'inquinamento globale.
Detto in poche parole, i biocombustibili sono oli vegetali tratti da cereali o da barbabietola da zucchero, che possono essere bruciati ed utilizzati come fonti di energia alternative ad esempio al petrolio.
Presentati in questo modo, dato che la loro combustione non genera troppi inquinanti, sembrano davvero l'invenzione del secolo e, di fatto, vengono spesso presentati sotto questa veste, ma la realtà è ben diversa e molto più drammatica da quella che ci viene mostrata dai media.
Come già detto, per produrre questi oli, servono cereali che devono essere coltivati, raccolti, trasportati, fatti fermentare e lavorati.
Per dare un numero orientativo, con una tonnellata di cereali, dopo i necessari processi di lavorazione, si possono produrre quattrocentoventisette litri di biodiesel.
Quello che alla televisione non dicono è che questi cereali vengono raccolti con macchine agricole che funzionano a gasolio, che le coltivazioni intensive impoveriscono il territorio e che per ogni litro di carburante prodotto sono stati necessari quattromila litri di acqua dolce.
La produzione di questi oli combustibili ha incominciato a diventare conveniente con la crescita esponenziale di domanda di petrolio e con la relativa carenza di offerta. Proprio per questo motivo le principali potenze mondiali: Cina, USA e Russia e quasi la totalità dell'Europa, si stanno progressivamente accaparrando i terreni agricoli di Africa e Sud America, per trasformarli in coltivazioni intensive, soprattutto di mais e grano. Soltanto l'Europa si è impossessata di oltre 69.000 Km quadrati (un'area grande due volte il Belgio) di terre sparse per il pianeta, destinate alla produzione di biocarburanti, per un piano continentale di progressiva diminuzione del consumo di petrolio e quindi di emissione di inquinanti in loco.
Gli stati in cui si trovano questi terreni, principalmente paesi in via di sviluppo, strangolati e ricattati dal debito, volenti o nolenti devono sottostare ai diktat delle potenze straniere e quindi riconvertire terre coltivate a scopi alimentari in coltivazioni destinate alla produzione di biocarburanti. Questa pratica ha contribuito non poco ad affamare ancora di più le popolazioni dei paesi più poveri, in quanto il prezzo dei terreni coltivabili è salito addirittura del 30% , di una quantità pari sono cresciuti i prezzi dei cereali utilizzati e quindi degli alimenti destinati a sostituire i precedenti nel ciclo alimentare, con una conseguente minore disponibilità di cibo per chi già prima aveva difficoltà a procurarselo.
Perché sia conveniente la produzione di questi oli combustibili è necessario che le coltivazioni rendano il più possibile, questo fatto è uno dei principali fattori di impoverimento e contemporaneamente di inquinamento del suolo, l'agricoltura intensiva di una stessa specie vegetale comporta infatti l'utilizzo di soltanto alcuni dei minerali presenti nel terreno che, esaurendosi, ne compromettono la fertilità e la resistenza delle piante che in questo crescono, rendendo necessario l'uso di concimi, fertilizzanti chimici e sostanze antiparassitarie tossiche e devastanti per la biodiversità.
Contrariamente a quanto si crede infatti, il terreno di un ecosistema equatoriale è molto meno fertile di quello dei climi temperati; esso rimane infatti vivo finché è in equilibrio con la foresta pluviale che normalmente vi cresce, essendo però questi terreni quasi sempre ottenuti con la deforestazione selvaggia, la loro fertilità non dura a lungo, rendendo necessario un ulteriore disboscamento delle foreste primarie.
È proprio questo disboscamento una, seppur indiretta, causa di grandi emissioni di gas serra dovute a queste coltivazioni, in quanto, oltre a non contribuire più all'immagazzinamento dell'anidride carbonica, il legname della foresta viene dato alle fiamme, riversando in atmosfera quantità enormi di carbonio e particolato.
Dando un'occhiata al procedimento produttivo di questi biocombustibili il quadro si fa ancor meno rassicurante, il processo di fermentazione genera enormi quantità di metano, che ha un potere serra pari a ventuno volte quello dell'anidride carbonica. È doveroso ricordare, come già detto sopra, che per la produzione di un litro di biodiesel sono necessari 4000 litri di acqua dolce, che viene di conseguenza sottratta all'utilizzo alimentare delle popolazioni locali, e rimessa in ambiente carica di inquinanti.
Tutto questo avviene lontano dagli occhi del mercato a cui sono destinati questi prodotti, al quale vengono mostrati i campi verdi che si possono ammirare sulle pagine web della British Petroleum, o le automobili a biodiesel che elimineranno le emissioni nocive nelle nostre città.