Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / L’era del berlusconismo e la fine della politica

L’era del berlusconismo e la fine della politica

di Alessandro Puma - 06/11/2011

 

 

Quella del berlusconismo è l’era del trans-politico per eccellenza, cioè del “fare politica” come se si facesse altro. Del governare come se si stesse facendo del cinema o del teatro o, più semplicemente, dell’intrattenimento televisivo.

         La fine della grande politica ha questo di paradossale: il riconoscimento della sua stessa inutilità e la spettacolarizzazione di questa presa di coscienza, come la messinscena di qualcosa di obsoleto alla quale si finge di continuare a credere per spiazzare – cioè intrattenere – il cittadino medio, in quanto fruitore incapacitato ad agire.

         Sicchè i nostri stipendiati politici della Casta, in realtà, fanno quello per cui sono così stupendamente, ed abnormemente, pagati: per intrattenerci. C’è chi lo fa meglio, c’è chi lo fa peggio, ma il punto è capire che: “L’Italia – e non solo l’Italia del Palazzo e del potere – è un paese ridicolo e sinistro: i suoi potenti sono delle maschere comiche, vagamente imbrattate di sangue (e di umore vaginale n. d. r.): ‘contaminazioni’ tra Molière e il Grand Guignol. Ma i cittadini italiani non sono da meno […]. Ponevano (pongono) un tale impegno nel divertirsi a tutti i costi, che parevano (paiono) in uno stato di ‘raptus’: era difficile non considerarli spregevoli o comunque colpevolmente incoscienti. Specialmente i giovani”. (P. P. Pasolini, Lettere luterane, Garzanti, VB).

         Ecco perché l’italiano medio accetta supinamente le battute di un criminaloide come La Russa o di un venduto come Scilipoti: perché, va detto, la sua è una cultura – come quella dei suoi governanti – di serie B, formatasi quasi esclusivamente sui giornali e sulla televisione. Cioè l’italiano non ha, in generale, una cultura umanistica sviluppatasi sui libri o una coscienza critica derivata dalla saggistica.

         Ed è per questo che, proprio per la sua rozzezza e mancanza di cultura, per il suo liberalismo anti-ideologico e canagliesco, Berlusconi sa che, in Italia, ci sarà sempre qualche coglione che – come lui – riderà di gusto a una battuta insipida e greve come quella della “Forza Gnocca”.

         La fine della politica passa anche per una spiritosaggine (?) che descrive, in realtà, il vero stato delle cose, la follia, detta quasi esplicitamente agli italiani, di fare il Premier ‘a tempo perso’.

         Certo, l’abiezione di oggi non può essere comparata con nessun governo precedente, tuttavia questa endemica incapacità degli italiani alla serietà era già stata segnalata da un sociologo acuto come Baudrillard, il quale, già qualche anno fa scriveva: “Altro esempio di una società immorale e che vive di un’immoralità profonda: l’Italia […] che non si difende disperatamente – ed è per questo, in definitiva, che la vita vi è più felice – contro questa perdita di sostanza, di valore e di senso, che costituisce la disgrazia degli altri paesi e la loro infelicità. Le altre nazioni vivono in uno stato di simulazione irritato, l’Italia, fatte le debite proporzioni, vive in uno stato di simulazione gioiosa. La legge vi ha già, forse vi ha sempre, ceduto il posto a un gioco e a una regola del gioco. Tutti gli italiani, dalle BR ai servizi segreti, dalla mamma alla mafia, dai terremotati alla cellula P2 (miracolo dello Stato che si è fatto società segreta!), sono in qualche modo complici, intrattengono una connivenza ironica sulla teatralità, sulla simulazione, già da oggi, del potere, della legge, dell’ordine e del disordine vigente – un patto segreto sulla strategia delle apparenze che domina tutto ciò. Sull’effetto di trompe-l’œil del politico e del sociale che si rappresentano e si eludono in un batter d’occhio, e sul godimento degli effetti (il modello del Rinascimento non è lontano). Il vero retaggio sociale attuale è il retaggio collettivo della seduzione.

         Esiste forse un cemento più fantastico di questo?” (Baudrillard, Le strategie fatali, Feltrinelli, Milano).