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La giravolta del Pakistan

di Michele Paris - 16/04/2012


Il Parlamento del Pakistan ha approvato giovedì all’unanimità un documento in quattordici punti che dovrebbe riorientare la politica estera del paese centro-asiatico e ripristinare i rapporti con gli Stati Uniti, dopo il gelo seguito alla strage di soldati pakistani ad opera di aerei americani lo scorso mese di novembre. L’incidente aveva determinato la chiusura ai convogli NATO dei valichi di frontiera con l’Afghanistan, la cui riapertura dovrebbe teoricamente essere ora vincolata ad una serie di richieste sottoposte alla Casa Bianca, tra cui lo stop agli attacchi condotti dalla CIA con i droni nelle aree tribali pakistane.

Le operazioni condotte con i velivoli senza pilota sono considerate dagli USA uno strumento fondamentale per colpire le reti terroristiche che trovano rifugio nelle province pakistane al confine con l’Afghanistan. Queste incursioni, notevolmente aumentate sotto l’amministrazione Obama, causano regolarmente vittime civili e sono perciò molto impopolari tra gli abitanti dei villaggi colpiti. La cessazione dei raid della CIA, peraltro più o meno tacitamente approvati dal governo di Islamabad, è stata chiesta dal Pakistan in più occasioni in passato ma non è mai stata presa in considerazione da Washington.

La cosiddetta Commissione Parlamentare per la Sicurezza Nazionale (PCNS) ha presentato alle due camere riunite in sessione congiunta la propria proposta di revisione della politica estera, basata sulla riaffermazione della sovranità del Pakistan e sul ristabilimento dei rapporti con gli Stati Uniti sulla base del mutuo rispetto per l’indipendenza e l’integrità territoriale dei due paesi.

Quella di porre fine agli attacchi fa parte di una serie di richieste fatte dall’opposizione, tra cui la Lega Musulmana del Pakistan (PML-N) dell’ex premier Nawaz Sharif e il partito islamico Jamiat Ulema-e-Islam (JUI-F), e inserite nel documento della Commissione per assicurarsi il maggior consenso possibile in parlamento in vista dei difficili e impopolari negoziati che si apriranno a breve con gli USA per la riapertura delle rotte di transito alle forniture NATO verso l’Afghanistan.

Tra gli altri punti più importanti usciti dal lavoro di oltre due settimane della Commissione c’è la raccomandazione che il territorio pakistano non venga utilizzato per il trasporto di armi e munizioni dirette in Afghanistan. Questo riferimento lascia intendere che i valichi di frontiera potranno appunto essere riaperti, dal momento che in questi anni da essi raramente sono transitate armi o munizioni. La riapertura, in ogni caso, non viene nominata esplicitamente, così che l’incombenza della decisione ufficiale viene lasciata al governo.

Inoltre, viene stabilito che tutti gli accordi o le intese verbali relative alla sicurezza nazionale cesseranno di avere valore con effetto immediato. Un passaggio, quest’ultimo, che si riferisce probabilmente agli accordi non ufficiali siglati nel passato tra gli Stati Uniti e i potenti vertici militari pakistani.

Sempre rivolte agli americani sono anche le questioni del nucleare e della sicurezza energetica del Pakistan. La prima va fatta risalire al desiderio di Islamabad di ottenere dagli Stati Uniti un accordo sulla cooperazione nucleare civile simile a quello garantito da Washington all’India nel 2005. Questo accordo speciale, promosso dall’amministrazione Bush, per il Pakistan ha infatti modificato gli equilibri strategici nella regione a vantaggio dell’India, anch’essa come il vicino non firmataria del Trattato di Non Proliferazione Nucleare.

La seconda questione riguarda invece l’esortazione a perseguire la costruzione di nuovi gasdotti che colleghino il Pakistan con il Turkmenistan e l’Iran. Quello con la Repubblica Islamica, come ovvio, è fortemente osteggiato dagli USA e rappresenta uno dei numerosi punti critici del rapporto tra i due paesi.

Infine, la risoluzione chiede anche la proibizione dell’ingresso in Pakistan di contractors privati o agenti di intelligence stranieri. Anche in questo caso ha pesato l’ostilità diffusa nel paese verso gli operativi soprattutto americani impiegati in territorio pakistano e che nel recente passato si sono resi protagonisti di incidenti spesso mortali.

L’intero processo di revisione della politica estera pakistana appare comunque come un’operazione puramente di facciata, messa in atto dalle élite politiche del paese per rispondere in qualche modo alla profonda avversione nutrita dalla maggioranza della popolazione sia verso di esse sia per gli americani e la loro condotta, esemplificata proprio dai raid operati con i droni nelle aree tribali.

La creazione di una speciale Commissione si è resa in sostanza necessaria in seguito alle crescenti proteste nel paese, sia contro le incursioni dei droni che dopo l’incidente del novembre 2011 che ha causato la morte di 24 soldati pakistani. Per quest’ultimo episodio la Commissione chiede ora le scuse ufficiali da parte degli USA, un processo ai responsabili e la promessa che incidenti simili non si ripeteranno nuovamente.

Le raccomandazioni, in ogni caso, non sono vincolanti ma toccherà al governo implementarle dopo una serie di colloqui con gli Stati Uniti. Il governo del premier, Yousaf Raza Gilani, e del presidente, Asif Ali Zardari, così come gran parte dell’opposizione, non vuole d’altra parte rompere con gli USA, da cui il Pakistan dipende economicamente. I segnali del desiderio di ristabilire i rapporti dopo un periodo difficile erano infatti già giunti nei mesi scorsi e il percorso verso la normalizzazione, secondo alcuni, era stato aperto un paio di settimane fa nel corso di un faccia a faccia tra Obama e Gilani a margine di un summit sul nucleare a Seoul, in Corea del Sud.

Allo stesso tempo, però, nessuna parte politica intende assumersi la responsabilità di aver dato il via libera al riavvicinamento con Washington a fronte dei malumori popolari. Da qui, dunque, la soluzione di creare una Commissione con l’incarico ufficiale di fissare dei paletti alla cooperazione con gli americani e di ridisegnare i termini dell’alleanza.

Che l’esito del lavoro della Commissione Parlamentare per la Sicurezza Nazionale sia in sostanza solo fumo negli occhi per l’opinione pubblica pakistana è confermato infine anche dalle reazioni di Washington. Dagli Stati Uniti si attendeva infatti con ansia il voto del parlamento sulla risoluzione, così da dare una parvenza di dibattito attorno alle questioni più delicate e tornare in fretta alle vecchie consuetudini che prevedono, tra l’altro, incursioni indiscriminate con i droni della CIA e l’utilizzo di rotte fondamentali sul territorio del Pakistan per rifornire le forze di occupazione nel vicino Afghanistan.